Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 20-06-2011, n. 24551 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

LEHAYE Enrico che ha richiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 23 ottobre 2008, la Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunziando sulla domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione avanzata da L.G.D. in data 19 settembre 2006, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 43.000,00 (facendo applicazione del cd. criterio aritmetico) oltre ad interessi legali dalla data di irrevocabilità della pronunzia di assoluzione fino al saldo, avuto riguardo al periodo di carcerazione preventiva subita per giorni 182, dal 24 maggio 2002 fino al 21 novembre 2002, in ordine alla quale non si configurava alcuna condotta dell’istante, connotata da colpa grave.

Ha escluso invece la Corte distrettuale il riconoscimento del suddetto diritto all’equa riparazione, in relazione all’altro periodo di detenzione cautelare sofferta in carcere, dal L.G. tra il 1 aprile 1987 ed il 18 febbraio 1988 quale indagato del delitto di cui all’art. 416 – bis c.p.p., comma 1 contestato fino al 24 marzo 1987. Si è osservato invero nell’ordinanza che,con la sentenza di condanna emessa in data 11 gennaio 1994 dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, passata in giudicato il 13 febbraio 1995 e posta in esecuzione – l’unica rimasta in vigore a seguito della successiva revoca, ex art. 669 cod. proc. pen., della sentenza pronunziata in data 21 febbraio 2001 dalla stessa Corte d’appello sul presupposto della ritenuta identità tra i fatti associativi giudicati – il L. G. era stato definitivamente ritenuto colpevole dell’appartenenza all’associazione mafiosa ex art. 416 bis cod. pen. sia per il primo periodo, contestato fino al marzo 1987 che per il secondo, contestato fino al luglio 1991 oltrechè di altri reati satellite: delitti oggetto di due distinti procedimenti penali conclusi con le due richiamate pronunzie di condanna. Il periodo di custodia cautelare sofferto tra il 1 aprile 1987 ed il 18 febbraio 1988 – ad avviso della Corte d’appello reggina – non costituiva "ingiusta detenzione" nè ex art. 314, comma 1 nè ex art. 314 c.p.p., comma 2, essendo stato il L.G. raggiunto da due successivi provvedimenti cautelari per fatti distinti e sempre in presenza dei necessari presupposti e condizioni di legge ed avendo peraltro lo stesso espiato la condanna a pena detentiva inflittagli dall’11 agosto 1991 fino al 14 gennaio 1997.

Ricorre per cassazione avverso l’ordinanza de qua, il L.G., per tramite del difensore, deducendo un’unica censura, per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 314 c.p.p..

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Reggio Calabria non avrebbe potuto escludere il diritto all’equa riparazione in relazione al periodo di custodia cautelare compreso tra il 1 aprile 1987 ed il 18 febbraio 1988, subita dal L.G. nel procedimento conclusosi con sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 21 febbraio 2001, successivamente revocata dalla stessa Corte d’appello con ordinanza in data 12 luglio 2004, ex art. 669 cod. proc. pen., attesa la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui condiziona, in ogni caso, il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, secondo quanto precisato nella motivazione della sentenza n. 219 di 2008, a prescindere quindi dalla circostanza che comunque, per il fatto contestato, vi sia stata pronunzia di penale responsabilità, in un diverso procedimento. Sicchè, in caso di revoca di una delle due condanne, la custodia cautelare patita, diversa da quella riferibile alla esecuzione della sentenza rimasta in vigore relativa a condanna a pena già interamente espiata e non imputabile a fungibilità ex art. 657 cod. proc. pen., deve esser indennizzata in quanto integrante comunque una oggettiva lesione della libertà.

Chiede quindi conclusivamente il ricorrente l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Con requisitoria scritta in atti il Procuratore Generale conclude per la reiezione del ricorso.

Con memoria di replica depositata in cancelleria il 12 febbraio 2011, l’Amministrazione resistente insta per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto con il conseguente onere del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., del pagamento delle spese del procedimento e di quelle del presente giudizio in favore del Ministero resistente, come liquidate in dispositivo.

Come rilevato dal Procuratore Generale, la Corte distrettuale è pervenuta ad escludere l’indennizzabilità dell’ulteriore periodo di carcerazione preventiva subita dal 1 aprile 1987 fino al 18 febbraio 1988, con congrue e condivisibili argomentazioni, non sussistendone i presupposti richiesti dalla legge, giusta anche l’interpretazione della norma indicata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 230 del 2004.

Ha osservato infatti la Corte d’appello che il L.G. – dichiarato colpevole del delitto previsto dall’art. 416 – bis cod. pen. – commesso fino al 24 marzo 1987 e fino al luglio 1991 – nonchè in ordine ad altri reati satellite di cui agli artt. 640, 629 e 611 cod. pen. con l’unica sentenza rimasta in vigore (posta poi in esecuzione) emessa dalla Corte d’appello di Reggio Calabria in data 11 gennaio 1994 divenuta irrevocabile il 13 febbraio 1995 era stato legittimamente sottoposto al suddetto titolo cautelare custodiale.

Nè, come ancora ineccepibilmente sottolineato dalla Corte distrettuale, ricorre il diverso caso oggetto della testè citata pronunzia della Corte Costituzionale che ha giudicato non fondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 314 c.p., comma 2, qualora un soggetto sia sottoposto a provvedimento custodiale per reati in ordine ai quali era intervenuta una precedente condanna definitiva a pena detentiva già scontata, precisando che "pur se non espressamente previsto, appare indubitabile che, ove dopo l’adozione della misura emerga che per lo stesso fatto l’indagato è stato già giudicato, la forza espansiva del ne bis in idem operi anche agli effetti cautelari".

Nel caso di specie, al contrario, il L.G. era stato colpito da due successivi provvedimenti cautelari per fatti diversi e nella concorrenza dei necessari requisiti previsti dalla legge: nel primo caso, per la partecipazione all’associazione mafiosa fino al marzo 1987; nel secondo, per la partecipazione alla medesima associazione fino al luglio 1991. Con la sentenza rimasta in vigore ne veniva affermata la penale responsabilità per entrambi, altrimenti il G.E. non avrebbe potuto ritenere l’identità o meglio la continenza dei fatti oggetto delle due pronunzie, facendo applicazione dell’art. 669 cod. proc. pen.. Va da ultimo rilevato che tantomeno rileva il dictum della Corte Costituzionale, di cui all’altra sentenza n. 219 del 2008, pure citata dal ricorrente, con cui veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui condiziona in diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dall’imputazione penale, qualora la durata della custodia cautelare abbia ecceduto quella della pena successivamente irrogata in via definitiva.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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