Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 20-06-2011, n. 24550 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- B.A. propone, per il tramite del difensore, ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Potenza, del 7 gennaio 2010, che ha respinto l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione dallo stesso sofferta dal 23 al 27 settembre 2004.

Il B., dipendente del comune di Muro Lucano, era stato arrestato in flagranza del delitto di estorsione perchè trovato in possesso di due assegni, dell’importo complessivo di 4.500,00 Euro, a firma dell’imprenditore edile N.G. che lo aveva in precedenza accusato di avere preteso consistenti somme di denaro per accelerare pratiche edilizie di suo interesse e per ottenere l’assegnazione di lavori. Convalidato l’arresto, il Gip del Tribunale di Potenza ha rigettato la richiesta di applicazione della misura custodiale poichè dalla documentazione prodotta dall’imputato era emerso che le somme contenute nei due assegni rappresentavano il corrispettivo di attività lavorativa dallo stesso svolta in favore dell’imprenditore. Dall’accusa il B. è stato, in seguito, prosciolto dallo stesso Gip. I giudici della riparazione sono pervenuti alla decisione di rigetto dell’istanza riparatoria, avendo ritenuto che il possesso degli assegni, unito alle accuse del N., era tale da ingenerare l’obiettiva convinzione che il B. avesse realmente posto in essere minacce estorsive nei confronti dell’imprenditore; in tutto ciò la corte territoriale ha ritenuto di individuare una condotta dell’istante caratterizzata da profili di colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il B. che deduce violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza di detto presupposto.

-2- Il ricorso è fondato.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa, l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.

Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo. Condotte di tal genere possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, avendo, con motivazione inadeguata e logicamente censurabile, individuato la colpa grave del ricorrente, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, in comportamenti che tuttavia, nei termini in cui sono stati illustrati, non si presentano significativi.

In particolare, è stato addebitato al B., a titolo di colpa grave, il possesso di due assegni, a firma del N., in realtà legittimo, e tale ritenuto dal Gip sulla base delle immediate difese dell’arrestato, il quale ha subito sostenuto, e documentalmente dimostrato, che le somme in questione gli erano state versate quale corrispettivo di attività professionale svolta in favore dell’imprenditore.

La circostanza che, a giudizio della corte territoriale, rivelerebbe una condotta gravemente colposa dell’odierno ricorrente si presenta, dunque, nei termini in cui è stata richiamata, del tutto priva di rilievo nei termini ritenuti dalla stessa corte.

L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione illogica e non in linea con i principi di diritto elaborati in materia da questa Corte, di guisa che essa deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Potenza.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Potenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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