Cons. Stato Sez. VI, Sent., 22-06-2011, n. 3763 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, rubricato al n. 8509/2009, A. Italia s.p.a. ha impugnato il provvedimento 18 giugno 2009, n. 19983 con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva accertato e a suo carico due pratiche commerciali scorrette, irrogandole una sanzione amministrativa dell’importo di Euro 385.000,00.

Le pratiche contestate consistevano in:

a) la commercializzazione da parte delle società A. Italia s.p.a. e A. s.p.a., presso i punti vendita A. e sul sito internet della società finanziaria www.cartaccord.it, della carta di credito cobranded denominata "A.A." senza fornire informative adeguate su natura e modalità di utilizzo della carta, sulle caratteristiche della linea di credito collegata alla carta e della polizza assicurativa relativa alla copertura del rischio del credito. In particolare, ai consumatori venivano fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete ovvero erano omesse informazioni rilevanti in merito: 1) alla natura revolving e alle modalità di utilizzo della carta; 2) alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento di queste, per la quota capitale, ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato; 3) alla natura facoltativa dell’adesione all’assicurazione relativa alla copertura del rischio del credito,

La condotta descritta era stata realizzata, sia nella fase precontrattuale che in quella di acquisizione del consenso del consumatore ad effettuare la richiesta della carta, mediante l’uso di: un documento di sintesi contenente le condizioni economiche dell’operazione denominata "apertura di linea di credito – carta di credito revolving", dove non si forniscono spiegazioni sul significato del termine revolving e sulle caratteristiche della linea di credito; un foglio informativo contenuto nella guida alla trasparenza dove vengono riportate indicazioni poco chiare e/o confusorie in relazione alle caratteristiche dell’operazione denominata "apertura linea di creditocarta di credito revolving o a saldo"; un modulo contrattuale che riporta nella parte superiore l’espressione "Con la presente faccio richiesta di Carta di credito A. A." e non specifica l’oggetto effettivo del contratto rappresentato dalla apertura di una linea di credito utilizzabile anche mediante la carta A.A., la natura revolving della carta e le caratteristiche della linea di credito ad essa sottesa.

Con specifico riferimento al prodotto accessorio, inoltre, il modulo contiene una clausola rubricata "Autorizzazione dichiarazione di buono stato di salute" che, se sottoscritta, comporta l’adesione del consumatore al programma assicurativo e nell’ambito della quale non si specifica la natura facoltativa dell’assicurazione;

b) l’addebito sulla linea di credito della carta "A.A." di un importo relativo alla copertura assicurativa mai richiesta dal consumatore e, in ogni caso, successivamente alla disdetta della stessa;

c) la commercializzazione da parte delle società A. Italia s.p.a. e Sma s.p.a. presso gli ipermercati Cityper e sul sito internet della società finanziaria www.cartaccord.it, della carta di credito cobranded denominata "CityperA.", senza fornire informative adeguate sulla natura e sulle modalità di utilizzo della carta e sulle caratteristiche della linea di credito collegata alla carta. In particolare, ai consumatori erano state fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete ovvero sarebbero state omesse informazioni rilevanti in merito: 1) alla natura revolving e alle modalità di utilizzo della carta stessa; 2) alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse, per la quota capitale, ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato. La condotta descritta era stata realizzata, sia nella fase precontrattuale che in quella di acquisizione del consenso del consumatore ad effettuare la richiesta della carta, mediante l’uso della seguente documentazione: un documento di sintesi contenente le condizioni economiche dell’operazione denominata "apertura di linea di credito – carta di credito revolving" che non fornisce spiegazioni sul significato del termine revolving e sulle caratteristiche della linea di credito; un foglio informativo contenuto nella guida alla trasparenza dove vengono riportate indicazioni poco chiare e/o confusorie in relazione alle caratteristiche dell’operazione denominata apertura linea di creditocarta di credito revolving o a saldo; un modulo contrattuale denominato "modulo di richiesta carta CityperA." che non specifica l’oggetto effettivo del contratto rappresentato dalla apertura di una linea di credito utilizzabile anche mediante la carta "CityperA.", la natura revolving della carta e le caratteristiche della linea di credito ad essa sottesa.

Il procedimento avviato concerneva inoltre la condotta posta in essere da A. Italia s.p.a. consistente:

d) nella concessione, da parte della medesima società, del "prestito personale A." mediante l’uso di un modulo di richiesta reperibile sul sito internetwww.cartaccord.it, nell’ambito del quale è contenuta una clausola rubricata "adesione al programma assicurativo" che omette di indicare la natura facoltativa dell’assicurazione e accettando la quale il consumatore oltre ad aderire alla polizza assicurativa, prende atto che potrà essergli concessa una linea di credito utilizzabile mediante carta. Il modulo, inoltre, è accompagnato da una guida di compilazione dove la sottoscrizione della clausola viene prospettata come necessaria al perfezionamento del contratto.

In relazione alle condotte descritte sub a) e c) veniva assunta la violazione degli artt. 20, 21 e 22, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), in quanto ai consumatori erano state fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete ovvero erano state omesse informazioni rilevanti in merito alla natura revolving e alle modalità di utilizzo delle carte "A.A." e "Cityper- A.", alla circostanza che le carte insistono su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse, per la quota capitale, ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato nonché, con esclusivo riferimento alla carta "A.- A.", alla natura facoltativa dell’adesione all’assicurazione relativa alla copertura del rischio del credito, in modo da indurli in errore e ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso.

In relazione alla condotta descritta sub b) veniva assunta la violazione degli articoli 24, 25 e 26, lett. f), del Codice del consumo, così come altresì richiamati dall’art. 67 – quinquies decies, comma 2, del medesimo Codice, come modificato dall’articolo 8 d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

In relazione alla condotta sub d) veniva assunta per un verso, un’ipotesi di violazione degli articoli 20, 21, 22, del Codice del consumo in quanto ai consumatori erano state fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete ovvero omesse informazioni rilevanti in merito alla natura facoltativa della adesione alla polizza assicurativa nonché in merito alla contestuale richiesta di apertura di una linea di credito utilizzabile con carta, in modo da indurli in errore e ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso; per altro verso, un’ipotesi di violazione degli articoli 24 e 25, lett. a)del Codice del consumo, in quanto, in ragione della natura della condotta, questa avrebbe potuto comportare "un indebito condizionamento che appare idoneo a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori".

Alla luce di quanto emerso dalla risultanze istruttorie, l’Autorità, in conformità al parere reso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, valutava le condotte di cui al punto II, lett. a) e c) del provvedimento, alla stregua di un’unica pratica commerciale, della quale riteneva l’ingannevolezza ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo in quanto "contrarie alla diligenza professionale e idonee a falsare in misura appezzabile il comportamento economico del consumatore medio cui sono destinate" nonché in quanto caratterizzate "da informazioni incomplete e/o da omissioni informative con riferimento alla natura revolving delle carte "A. A." e "Cytiper A." e delle linee di credito ad esse collegate, nonché alla modalità di rimborso degli utilizzi della carta Cityper A.", vietandone l’ulteriore diffusione.

Relativamente alla pratica di cui al Punto II, lett. d) del provvedimento, l’Autorità ravvisava, per un verso, una condotta "ingannevole, ai sensi degli articoli 21 e 22, del Codice del Consumo, in quanto caratterizzata da informazioni incomplete e/o da omissioni informative con riferimento alla natura facoltativa dell’assicurazione accessoria al "prestito personale", che appaiono idonee a limitare la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole e, pertanto, idonee ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso"; per altro verso, valutava la medesima pratica anche "aggressiva, ai sensi degli articoli 24 e 25, lettera a), del Codice del Consumo, in quanto caratterizzata da una condotta, consistente nell’utilizzare un modulo di richiesta per il prestito personale che comporta anche la richiesta da parte del consumatore di una apertura di linea di credito revolving, che appare idonea a determinare un indebito condizionamento che limita notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso". Anche in tale ipotesi veniva vietata l’ulteriore diffusione della pratica.

Alla società A., sono state inoltre irrogate sanzioni amministrative pecuniarie nella misura di:

"200.000 Euro (duecentomila euro) per la pratica commerciale di cui alle lettere a) e c) del punto II del presente provvedimento e di 185.000 Euro (centottantacinquemila euro) per la pratica commerciale di cui alla lettera d) del medesimo punto II".

A. s.p.a. ha impugnato queste determinazioni davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, deducendo:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, par. 4, della direttiva 2005/29/CE e dell’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 206 del 2005. Violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990. Violazione dei principi generali in materia di riparto di competenza tra Autorità indipendenti. Incompetenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Il credito al consumo è materia disciplinata dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e dalla relativa normativa di attuazione, emanata dalla Banca d’Italia, dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) e dal Ministero dell’economia e delle finanze. Con quella disciplina sono state recepite le direttive comunitarie succedutesi nel tempo al fine di creare un mercato unico europeo dei servizi bancari e finanziari ( direttiva 2001/12/CE). La Banca d’Italia, in particolare, detta la disciplina sui requisiti per essere autorizzati quali intermediari finanziari, nonché sugli obblighi di trasparenza e le altre regole di condotta.

La normativa di settore prevede anche un apparato di controllo e sanzionatorio, idoneo ad escludere la concorrente applicazione del Codice del consumo.

Per altro verso nessuna violazione della disciplina settoriale è stata contestata ad A. con riferimento ai prodotti finanziari in questione da parte della Autorità di vigilanza, mentre l’attenzione di questa si è appuntata sul contenuto della documentazione contrattuale e sul relativo livello di trasparenza, ovvero sugli elementi tipici espressamente regolati dalla disciplina settoriale (artt. 122, 123, 124, 125, 128 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, nonché la circolare 4 marzo 2003 del CICR in materia di trasparenza).

Le funzioni e le competenze della Banca d’Italia in materia di trasparenza bancaria sono speculari a quelle della Consob in ambito finanziario, rispetto alle quali il Consiglio di Stato (parere I, n. 3999 del 3 dicembre 2008) ha escluso spazi per concorrenti interventi dell’Autorità.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo. Falsità dei presupposti e travisamento dei fatti in relazione all’asserita esistenza di informazioni inadeguate e/o omissive sulla natura, sulle caratteristiche, sulle condizioni e modalità di utilizzo delle carte A. – A. e Cityper – A., e sulla natura facoltativa del prodotto assicurativo accessorio.

Le informazioni asseritamente mancanti, inesatte o incomplete sono state fornite al cliente nelle condizioni generali di contratto. Ivi sono inoltre disciplinate nei minimi dettagli le modalità di rimborso rateale, le relative condizioni e le conseguenze di eventuali inadempimenti.

Un consumatore mediamente informato ed avveduto non potrebbe quindi non comprendere l’effettiva natura del prodotto finanziario, nella fattispecie vieppiù spiegato dalla "guida alla trasparenza" e dal "documento di sintesi", che contribuiscono a comporre il quadro informativo a sua disposizione. In tali documenti sono contenuti tutti gli elementi esplicativi propri di un finanziamento di tipo rateale.

Relativamente alla circostanza che non sarebbe adeguatamente esplicitato il carattere facoltativo del prodotto assicurativo accessorio, A. evidenzia che la clausola assicurativa richiede comunque una specifica sottoscrizione del cliente, la cui attenzione risulta dunque espressamente richiamata in sede di stipula.

Nel documento di sintesi, inoltre, è contenuto un esplicito richiamo alla natura "opzionale" della polizza. Al riguardo, peraltro, nel provvedimento impugnato, si fa riferimento ad una formulazione ("in caso di adesione"), che non è presente nella documentazione contrattuale e della quale, comunque, si contesta da parte dell’Autorità soltanto la "standardizzazione" che è, nel settore in esame, fenomeno diffuso e ineliminabile, il quale non prova, di per sé, la scarsa intelligibilità intrinseca del complesso delle informazioni presenti nei moduli contrattuali.

3) Violazione e falsa applicazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 lett. a) del Codice del consumo. Difetto di motivazione, illogicità manifesta, in relazione alla pratica concernente il contratto c.d. "prestito personale" riguardo all’offerta congiunta di copertura assicurativa accessoria e alla richiesta di una ulteriore linea di credito.

Relativamente al prodotto denominato "prestito personale", l’Autorità ha addebitato ad A.: i) l’omessa esplicitazione della natura facoltativa del prodotto assicurativo accessorio contestualmente offerto; ii) l’adozione di una clausola contrattuale in forza della quale il cliente richiede altresì un’apertura di credito ulteriore che potrà essere successivamente accettata e concessa dal professionista.

A., premesso che immotivamente l’Autorità ha separatamente valutato e sanzionato siffatta condotta, rispetto a quello di cui alle lettere a) e c), contesta la configurazione in termini di pratica aggressiva operata nel provvedimento. La pratica aggressiva costituisce, infatti, un’autonoma fattispecie illecita, dotata di suoi connotati distintivi che la differenziano radicalmente dalle altre due ipotesi normative, consistenti nelle condotte ingannevoli od omissive.

L’Autorità ha, inoltre, estremamente dilatato la nozione di "indebito condizionamento", recata dall’art. 24 del Codice del consumo, facendone oggetto di un’applicazione ingiustificatamente estensiva e sostanzialmente indiscriminata.

Essa trova, invece, compiuta corrispondenza nella fattispecie, enucleata dalla giurisprudenza dei paesi di common law, denominata undue influence, con cui si allude ad un elemento di alterazione del normale processo negoziale. Tale espressione risulta utilizzata nel testo inglese della direttiva per esprimere il concetto che, nel testo in lingua italiana, è stato reso con l’espressione "indebito condizionamento".

In concreto la società, in occasione della stipula del contratto di prestito personale, si limita a raccogliere il consenso del cliente all’invio di offerte commerciali e promozionali attraverso un’apposita previsione contenuta nella contestata clausola contrattuale. Perciò si riserva di concedere, in un momento successivo a alla conclusione del contratto relativo al finanziamento principale ottenuto dal cliente, un ulteriore e diverso finanziamento, consistente nell’apertura di una linea di credito aggiuntiva. Il consumatore, pertanto, non assume alcun obbligo in relazione a tale diverso finanziamento. Le stesse modalità di svolgimento della pratica escludono in radice che quand’anche la formulazione contrattuale, sul punto, risultasse non pienamente comprensibile (quod non), questi possa effettivamente ritenersi vittima di un indebito condizionamento incidente nella sua sfera di libertà economica.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. 24 novembre 1981, n. 689. Illegittimità dell’applicazione e della quantificazione della sanzione. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed, in particolare, erronea valutazione dei criteri di valutazione dell’infrazione. Errori metodologici, lacune istruttorie, erronea quantificazione della sanzione.

A. afferma di rivestire, sul mercato del credito al consumo, una posizione marginale.

Inoltre, negli esercizi 2007 e 2008, ha registrato perdite di esercizio in costante crescita: circostanza che, contro la prassi decisionale dell’Autorità, è stata ignorata nella concreta determinazione della sanzione.

Sul piano soggettivo, l’Autorità non ha adeguatamente considerato che il ricorso al credito al consumo non è ormai un’esperienza episodica nell’esperienza del consumatore medio.

Non vi è, inoltre, alcuna indicazione, a livello normativo, circa la caratterizzazione in termini di maggiore offensività di una pratica aggressiva. E non vi è un consolidato orientamento in materia dell’AGCM o delle Autorità di settore.

Relativamente alla pratica sub d), l’invio di proposte di attivazione di carte di credito collegate a contratti di prestito personalizzato è cessato già nel luglio del 2008.

Non risultano, infine, esplicitati i criteri che hanno concretamente guidato l’Autorità nella fissazione della sanzione.

A. ha perciò domandato al giudice l’annullamento del provvedimento impugnato.

Con la sentenza 19 maggio 2010, n. 12277il Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, ha accolto in parte il ricorso e per l’effetto ha annullato il provvedimento impugnato nella sola parte in cui qualifica aggressiva la condotta di cui al punto II, lett. d) del provvedimento stesso, ed ha imposto conseguentemente la rideterminazione della sanzione.

2. Avverso la predetta sentenza propongono separati appelli O. s.p.a., già A. Italia s.p.a. (appello n. 9322/10) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (appello n. 9360/10), ciascuno per in relazione alla propria soccombenza, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e, rispettivamente, l’accoglimento e l’integrale rigetto del ricorso di primo grado.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha proposto inoltre appello incidentale nel giudizio proposto dalla parte privata.

Gli appelli sono stati assunti in decisione alla pubblica udienza del 6 maggio 2011.

3. I ricorsi in appello in epigrafe devono essere riuniti onde definirli con unica pronuncia, in quanto riguardano la stessa sentenza di primo grado.

3a. Deve essere trattata per prima la censura con la quale l’appellante O. s.p.a., già A. Italia s.p.a. ricorrente in primo grado, sostiene che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) non è competente ad emettere l’impugnato atto sanzionatorio, in quanto la vicenda, attenendo all’esercizio del credito, rientra nelle competenze della Banca d’Italia ai sensi del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), il quale istituisce un complesso sistema di controllo e sanzionatorio affidato alla Banca d’Italia. La normativa di cui al d. lgs. n. 385 del 1993 costituisce, a suo dire, norma speciale rispetto al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), ed esclude quindi l’applicabilità di quest’ultimo.

La tesi, ritiene la Sezione, non può essere condivisa.

Invero, in aggiunta alle precise osservazioni formulate dal primo giudice deve essere rilevato come i due corpi normativi appena richiamati perseguano interessi diversi.

Questo Consiglio di Stato, in sede consultiva (Cons. Stato, I, 3 dicembre 2008, n. 3999/08) ha rilevato che, se la legge non dispone espressamente, la competenza tra due autorità amministrative indipendenti va suppletivamente regolata secondo il generale principio di specialità, in virtù del quale si individua quello, tra due ordinamenti di settore, che va applicato con l’inerente strumentazione. La specialità va identificata facendo riferimento ai soggetti (attivo e passivo) interessati dall’intervento, ovvero all’oggetto dell’intervento (strumentazione a disposizione, bene e interesse protetto, ecc.), considerando la preferenza, sul riferimento soggettivo (cioè al tipo di operatore interessato o di soggetto tutelato), della valutazione dell’oggetto dell’intervento e dell’interesse generale perseguito. È dominante il tipo di comportamento e il contesto verso cui l’intervento è diretto e si deve guardare, più che al tipo di operatore, alla materia su cui gli interventi vanno ad incidere.

Questi criteri per il nebis in idem formale, cioè per prevenire la duplicazione dell’intervento sanzionatorio di due autorità amministrative indipendenti, valgono anche quando non vi è duplicazione in atto e semplicemente occorre identificare, in caso di fatto complesso come quello presente, l’ordinamento di settore rilevante: cioè la strumentazione di intervento e la relativa competenza.

Nella vicenda qui in esame, infatti, le finalità dei due ordinamenti di settore (della tutela del consumatore, e del credito e risparmio) a una prima apparenza si assommano e in principio assumono entrambe rilievo, considerato che la vicenda riguarda l’offerta di uno strumento di pagamento rivolta espressamente al consumatore generico e, quanto allo specifico ambiente, al consumatore della grande distribuzione.

In altri termini, nella fattispecie in esame parrebbero convergere esigenze di tutela del consumatore generico ed esigenze di tutela del cliente del sistema creditizio.

Qui del resto si ha un comportamento composito, perché l’offerta (invito all’acquisto) della carta di credito revolving avviene in stretta connessione, ambientale e funzionale, con decisioni di natura propriamente commerciale del medesimo consumatore, cioè con altri atti di consumo, finanziabili mediante l’utilizzazione di quello strumento di pagamento. La pratica commerciale di cui si tratta, per quanto sia formalmente incentrata sull’invito all’acquisto della carta, nondimeno concerne nella sua finalità effettiva l’uno e l’altro aspetto.

In questo assetto, dominante però risulta il fatto, cui l’operazione è finalizzata, della connessione con altri atti di consumo: e questo assorbe, per quanto qui interessa, i profili inerenti il credito e il risparmio.

Infatti, dal punto di vista tipologico, la vicenda riguarda, per contesto e carattere sociale, il consumatore generico, non già il risparmiatore o colui che, di sua iniziativa, intende accedere al credito per investimenti o per ragioni diverse da quel consumo.

Dal punto di vista dell’oggetto dell’intervento e dell’interesse perseguito, la prospettazione concerne l’offerta di uno strumento di credito al consumo, cioè un rapporto di finanziamento finalizzato a sostenere altri atti di consumo, attivata presso e in connessione di mercato con un certo grande distributore (e altri collegati) mediante la dilazione o la rateizzazione del pagamento della merce ivi acquistata, con apertura di una linea di credito rotativa (revolving).

Ci si riferisce perciò ad una modalità non di credito al consumo in sé, cioè indistinta quanto a venditore di merce, ma strettamente accessoria all’atto di consumo e finalizzata all’induzione al consumo in un determinato contesto – anche materiale – di grande distribuzione, facilitato dalla rateizzazione del rimborso del saldo mensile: vale a dire attraverso l’ulteriore, rispetto ad una carta di credito ordinaria, dilazione del pagamento della merce acquistata e la suggestione alla reiterazione dell’uso della linea di credito.

Corrispondentemente, l’esigenza di tutela è correlata alla sollecitazione agli acquisti incentrata sull’affievolimento – proprio di quel determinato tipo di contesto commerciale, facilitante la propensione al consumo – della percezione dell’indebitamento del sottoscrittore e dall’apparente disconnessione con il singolo prodotto da acquistare (anche grazie all’utilizzabilità della carta per ulteriori acquisti e per ulteriori finalità personali: es. prestiti personali o prelievi bancomat).

In questo quadro, vale la considerazione che la situazione contestuale e l’interesse potenzialmente leso sono quelli della distorsione del mercato e dell’informazione consapevole del consumatore; non quelli dell’equilibrio del sistema creditizio. Si offre una siffatta carta di credito revolving come strumento non di sostegno ad investimenti, ma di sollecitazione, prima che di credito, alla spesa di consumo nel contesto di una determinata grande distribuzione (e collegati).

Questa connessione è presente nella realtà del rapporto trilaterale ed è resa patente dal fatto che questa carta di credito è cobranded, cioè a marche congiunte tra l’odierna appellante – società finanziaria operante nel credito al consumo – e aziende partner operanti direttamente nella grande distribuzione al dettaglio: e si associa ad un’offerta di prestito personale o di finanziamento finalizzato all’acquisto.

Osserva il Collegio che in questa situazione è palese che l’offerta di strumenti creditizi acceda all’offerta commerciale e la faciliti facendo perno sull’agevolazione del soddisfacimento dei desideri di acquisto del clienteconsumatore.

Rispetto a una tale affiliazione, emerge che il tipo di comportamento dominante e la tipologia sociale ed economica sono quelli del consumatore medio, e la situazione di contesto è di asimmetria e svantaggio informativi, oltre che di minorata vigilanza, del consumatore.

La costituzione del rapporto creditizio, in altri termini, non connota autonomamente la vicenda: a causa della stretta funzionalità a quel consumo, l’apertura di una speciale linea di credito con un tale strumento viene attratta, quanto a tutela generale anticipata e preventiva del contraente debole, nell’ordinamento del consumo.

Per effetto dell’accordo tra intermediario ed emittente della carta e l’interazione che ne discende, il comportamento del consumatore può essere falsato due volte: perché utilizzatore del mezzo di pagamento (indotto ad indebitarsi per soddisfare acquisti) e perché acquirente di merci (indotto ad acquisti ulteriori dal possesso della carta). Ed è quest’ultimo il profilo efficiente.

Si deve allora rilevare che l’ordinamento interessato è quello di cui al Codice del consumo, con la sua tutela della capacità di autodeterminazione del consumatore, non già quello del credito e del risparmio di cui al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Quest’ultimo tutela essenzialmente concorrenza, trasparenza, stabilità ed efficienza di credito e risparmio, cioè il sistema creditizio complessivamente considerato, ma non il consumatore medio nel commercio della grande distruzione al dettaglio.

Inoltre vi è un’asimmetria di base tra i due ordinamenti, perché quello creditizio si limita a regolare soltanto alcuni aspetti, prevalentemente di sistema piuttosto che di tutela del contraente debole: sicché è il secondo a rispondere all’esigenza di cui qui si tratta.

Non soccorre in contrario che il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia rechi un Titolo VI (trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti) con un Capo II dedicato al credito ai consumatori (artt. 121 ss.), dove si fa esplicito riferimento ad istituti dello stesso Codice del consumo, giacché – a parte la ricordata più generale cura di quell’ordinamento – si tratta di fattispecie di credito al consumo non caratterizzate, come la presente, dalla connessione con un certo consumo (con un certo professionista), ma autonome; e comunque (a parte la pubblicità) inerenti alcontratto piuttosto che alle pratiche commerciali.

Vale aggiungere che qui si fa questione di pratiche commerciali inerenti l’offerta di questa carte, prima che dell’attività di credito che ne deriva (come sarebbe, ad es., se si astraesse dal contesto qui in esame, ovvero se si facesse questione del mero tasso di interesse passivo, nel qual caso tornerebbe dominante l’interesse curato da quell’altro ordinamento e dunque competente la Banca d’Italia).

Non convince dunque in senso contrario la separazione qui additata dall’offerente, che vorrebbe ora scindere l’offerta finanziaria dal consumo di merce. Ma invece l’una rappresenta il movente dell’altra ed anzi è essa stesso elemento caratterizzante la condotta.

Pertanto, come bene ha concluso il primo giudice, sussiste la competenza sanzionatoria dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Di conseguenza, l’esigenza di tutela del consumatore generico assume rilevanza assorbente e deve essere soddisfatta mediante gli strumenti tipici dettati dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. È allora infondata la doglianza di incompetenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

3b. Non merita particolare approfondimento in punto di fatto – rispetto a quanto già fatto dal primo giudice – la disamina dei ricordati comportamenti che hanno dato luogo a sanzione, su cui si appuntano le censure sostanziali dell’appellante, che anzitutto afferma che le informazioni asseritamente mancanti, inesatte o incomplete erano state fornite nelle condizioni generali di contratto, e che era stata manifestata la facoltatività del prodotto assicurativo accessorio.

In realtà è corretta la qualificazione dell’azione (nei fatti ricordati) della A. Italia s.p.a. come di pratiche commerciali scorrette di cui all’art. 20 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (come introdotto dall’art. 1 d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146, di attuazione della direttiva 2005/29/CE dell’11 maggio 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno), in particolare, per come ritenuto dall’Autorità, sub specie di pratiche ingannevoli (artt. 21 e ss.), perché con informazioni incomplete e omissioni informative.

La disposizione, come le altre introdotte nella Parte II, Titolo III, del Codice del consumo con il d.lgs. n. 146 del 2007, è volta alla tutela dell’informazione consapevole di un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Qui poi il tipo astratto di consumatore medio è da rapportare al contesto della grande distribuzione al dettaglio, con le caratteristiche comportamentali aggiuntive proprie di quel tipo di contesto, inclusi gli effetti induttivi all’acquisto, anche d’impulso o comunque non preventivato, per di più facilitati da una carta di credito.

La norma riguarda non la singola e concreta vicenda negoziale – cui parrebbero riferirsi gli assunti dell’appellante privata in punto di informazione della controparte – ma il ben più ampio, e soprattutto anticipato, concetto di pratiche commerciali: e dunque una prassi adottata nella fase di contatto comunicazionale prodromica all’acquisto, ed è volta a prevenire scelte svantaggiose generate dall’asimmetria informativa rispetto all’offerente. È in questa complessiva pratica – in cui la contestualizzazione dei singoli atti può essere caratterizzante – che vanno anzitutto ravvisate le informazioni incomplete e le omissioni informative, con il loro effetto decettivo e fuorviante.

Questa tutela di prevenzione impone, in rapporto a quel consumatore medio e in un contesto di fatto caratterizzato dall’assenza di un’effettiva negoziazione, che riduce l’autonomia all’an dell’accettazione dell’offerta, una messa in guardia sull’oggetto dell’imminente prestazione che non sia ristretta alla formazione della volontà negoziale, ma sia adeguata al contesto e all’intera, complessiva pratica. Essa si raccorda al principio generale esplicitato all’art. 2, comma 2, lett. cbis) (inserita dall’art. 2 d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221), del "diritto" del consumatore "all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà": principio che impone il rispetto del canone fondamentale della salvaguardia dell’affidamento – e dunque dell’ordinaria consapevolezza – del destinatario della proposta anche quando è ancora persona incerta.

Questa tutela è approntata nell’interesse generale e non del singolo contraente. Perciò è preventiva e si distingue da quella postuma infracontrattuale, rimessa all’individuale azione civile. Non riguarda l’attività informativa per il singolo contratto, bensì i complessivi, standardizzati comportamenti comunicazionali dell’offerente al pubblico, anche antecedenti il contratto. È basata sul concetto, – proprio della tutela consumeristica nel commercio di massa, caratterizzato dalla standardizzazione – che non solo l’ambito effettivo dell’autonomia contrattuale del consumatore volge ad essere ristretto all’an, ma la stessa consapevolezza di questi sull’oggetto delle prestazioni è ristretta e può essere fuorviata da una comunicazione che è nel suo complesso oggettivamente ingannevole.

Le pratiche commerciali di cui tratta la legge sono costituite, per l’art. 18, comma 1, lett. d) del Codice, da ogni azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, compresa la commercializzazione, in relazione a promozione, vendita o fornitura.

Non è soltanto il contenuto intrinseco dell’informazione, perciò, a dare corpo alla "pratica" (come è per la tutela contrattuale civile), ma la complessiva condotta del professionista, formata da più atti, o prassi, o metodi commerciali – come quelli indicati – volti ad incertam personam e convergenti ad uno stesso scopo (es.: con materiale pubblicitario illustrativo, comunicazione via internet, moduli contrattuali, ecc.), e connotati in modo determinante dall’ambiente circostante alla cui organizzazione l’offerta è affiliata (rete dei punti di vendita della grande distribuzione), espressivi di un particolare metodo o criterio commerciale.

Così, nel caso presente, considerate le modalità di grande distribuzione in cui è inserita la comunicazione e la sollecitazione al consumo propria di un tale contesto, le pratiche di cui si verte – per la loro non chiarezza su caratteristiche, modalità di utilizzo e costi indotti, nonché sull’assicurazione abbinata alle carte, di cui non era precisata la facoltatività – realizzano in concreto anzitutto l’accertata e sanzionata (dall’AGCM) condotta "contraria alla diligenza (cioè: alla correttezza) professionale" (art. 20, comma 2, prima parte).

Ma non basta: anche se non inducevano in una falsa rappresentazione della realtà, le pratiche tenute dall’appellante privata erano idonee – in rapporto a un comportamento medio dell’acquirente – a privare il consumatore medio del diritto ad esser congruamente informato in compensazione alla sollecitazione al consumo propria di quel contesto, come gli era necessario per una decisione consapevole.

Infatti quelle pratiche non solo contravvenivano il comportamento attivo ragionevolmente attendibile da un professionista verso i consumatori, in rispetto ai principi di correttezza e di buona fede del settore che concretano la "diligenza professionale" (art. 18, comma 1, lett. h)), ma erano anche idonee "a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio" (art. 20, comma 2, seconda parte), cioè a generarne un potenziale pregiudizio economico, sospingendolo in quell’ambiente ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso con altrettanta facilità, ed esponendolo a un rischio non bene percepito di sovraindebitamento in rapporto alle sue risorse, vale a dire di entrata in un ciclo individuale di debiti.

In realtà, per non commettere illeciti amministrativi come quello qui sanzionato dall’AGCM e rispettare il canone di lealtà, in un contesto come quello in questione l’offerente dovrebbe a partire dal primo contatto comunicazionale tenere un comportamento attivo (facere) con effetti visibili tali da compensare la minorata vigilanza del consumatore e salvaguardarne il diritto ad un’adeguata ed effettiva informazione. Lo squilibrio informativo originario in cui si trova il consumatore medio nel commercio standardizzato, aggravato dall’affievolimento della sua capacità di percezione e di salvaguardia generati dall’ambiente della grande distribuzione al dettaglio, impone infatti una condotta positiva di specifica cautela consumeristica per riequilibrare la nuova azione di induzione al consumo e all’esposizione finanziaria.

Così, l’offerente dovrebbe – sin dall’offerta o dalla illustrazione via internet, e alla prima pagina del sito circa la carta di credito – evidenziare con nettezza, immediatezza e intelligibilità le condizioni di potenziale pregiudizio per il sottoscrittore, quali ad es. il tasso di interesse passivo applicato (nominale ed effettivo globale), il suo calcolo sulla rata non pagata (piuttosto che sull’intero debito residuo), le scadenze e i montanti di rientro, la durata, il recesso, l’entità del limite di affidamento e le precise conseguenze del suo sconfinamento (es., tasso di ulteriore interesse, commissione di massimo scoperto), il costo totale, le spese fisse e le commissioni e così via.

Parimenti, dovrebbe chiarire così facoltatività, oggetto, costi, modalità e quant’altro del connesso contratto di assicurazione.

Il tutto dovrebbe essere proposto mediante un’informazione preliminare dedicata e il rispetto di una dilazione di riflessione di alcuni giorni. Infatti, perché nella pratica commerciale vi sia equilibrio e lealtà, il consumatore medio, prima di convenire un rapporto pericoloso di creditodebito, deve esser posto in grado di accedere con conoscenza di causa, e con il tempo necessario per una pacata valutazione, al contratto finanziario offertogli e di percepire la differenza, in quel contesto, tra un mezzo di pagamento differito proporzionato alle sue risorse e uno strumento comportante un rischio di sovraindebitamento, pregiudizievole anche per i suoi stessi futuri consumi ordinari.

Ma, se si ha riguardo al caso di specie, comportamenti compensativi come questi non sono stati tenuti nemmeno in parte o comunque in modo sufficiente e adeguato: ciò che è stato, per specifici punti, rilevato dall’atto sanzionatorio.

La sentenza di primo grado va perciò condivisa anche nella parte in cui, con ampia motivazione, rileva che l’ambiguità e la scarsa chiarezza del complesso informativo fornito alla clientela, cui non è nemmeno spiegato il significato del termine "revolving", pur estraneo alla lingua italiana e del tutto inusuale; né viene chiarito in termini immediatamente comprensibili dal consumatore medio quale sia il sistema di pagamento, basato sull’apertura di una linea di credito al consumo, i limiti di affidamento e il sistema di calcolo degli interessi passivi e degli ulteriori indebitamenti finanziari; né è adeguatamente ed efficacemente esplicitato il livello e il meccanismo di connessione con gli altri prodotti, assicurativi e finanziari legati a quella carta di credito.

L’appellante società sostiene di aver posto a disposizione dei clienti un’adeguata quantità di materiale.

Ma, osserva il Collegio, anche a voler restringere la pratica a questo – il che sarebbe illegittimamente riduttivo -, in base alle regole di comune esperienza della comunicazione una grande quantità di documenti fra i quali dover cercare con dedizione di tempo ed energie, concentrazione e pazienza certosina, certo ben superiore all’ordinaria diligenza, l’informazione necessaria, lungi dal superare l’asimmetria informativa di base del consumatore medio, la mantiene nella realtà pratica, perché richiede un comportamento di applicazione e attenzione, cioè di diligenza, particolari da parte del consumatore (il quale, come giustamente è stato considerato dal primo giudice, in assenza di espliciti richiami alla natura della carta o della linea di credito, potrebbe non avvedersi delle relative spiegazioni): quando invece è l’onere di diligenza media a rappresentare, per la norma applicata, il parametro di esigibilità e di responsabilizzazione nella condotta commerciale del consumatore.

Lo scarto tra questi gradi di diligenza, vale a dire il risultato pratico, generato dalle omissioni informative e di richiamo dell’offerente e accentuato dalla circostanze ambientali dell’informazione, consiste nel rendere l’onere adempiuto solo apparentemente.

Rimane nella sostanza altrettanto, se non addirittura più oscuro, invece che più ordinariamente intelligibile, il significato effettivo della proposta commercialefinanziaria. Dal che, anche da questo più ristretto punto di vista, gli effetti decettivi di informazioni incomplete e omissioni informative. Il tutto non è colmato dal riferimento alle decontestualizzanti condizioni generali di contratto o alle generiche definizioni e descrizioni della "guida alla trasparenza", e ostacola nei fatti la decisione consapevole del destinatario dell’offerta. Lo squilibrio informativo generato da quelle modalità e da quelle circostanze in danno dell’ordinaria possibilità di una decisione consapevole del consumatore medio permane integro, e la pratica è per questo sleale.

Corretto è dunque l’accertamento di pratiche commerciali ingannevoli che è a base dell’atto sanzionatorio dell’AGCM in relazione agli artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo.

Le contestazioni dell’Autorità, infine, appaiono ancor più fondate in relazione al prodotto assicurativo che accede al sistema di credito, presentato con una formula palesemente fuorviante (autorizzazione dichiarazione stato di salute) ed il cui carattere accessorio sarebbe esplicitato solo dalla richiesta della specifica sottoscrizione, senza alcun chiarimento sull’effettivo contenuto della proposta.

Giustamente quindi le pratiche commerciali di cui si tratta sono state giudicate ingannevoli e sanzionate dall’Autorità.

Va a questo proposito condiviso il rilievo del primo giudice, per cui l’esigenza di tutelare la capacità di percezione ed auto rappresentazione del tipo medio di consumatore (o, da un punto di vista oggettivo, la sua libertà di autodeterminarsi e di scegliere con cognizione di causa) comporta un’anticipazione della tutela, non solo come tipo di condotta (di pericolo) sanzionabile, ma anche, diacronicamente, già al primo effettivo contatto per l’offerta. La norma infatti non mira ad assicurare una reazione alle lesioni effettivamente arrecate agli interessi patrimoniali del singolo consumatore, ma interviene a un livello generale e antecedente. Perciò è sufficiente, ad integrare la fattispecie dell’art.. 20 del Codice del consumo e qualificare come scorretta, cioè sleale, una prassi commerciale, la presenza di un rischio, per quanto effettivo: vale a dire la potenzialità del pregiudizio per il consumatore medio. Per questa ragione la norma è posta a prevenire distorsioni e squilibri informativi sin dalla fase prodromica rispetto all’instaurazione effettiva del rapporto negoziale.

La Parte II del Codice del consumo, in cui si iscrive il divieto di pratiche commerciali scorrette (art. 20), è del resto essenzialmente orientata a riequilibrare l’originaria asimmetria di conoscenza circa la qualità del prodotto o del servizio, ed è posta per tutelare l’effettività dell’autodeterminazione del consumatore, in modo che egli possa esprimere un consenso quanto più consapevole e responsabile. Figurativamente, la sede dell’interesse protetto è quella del processo intellettivo del consumatore medio. Una congrua messa in guardia compensa non solo lo squilibrio nell’informazione e nell’autonomia contrattuale, ma anche il processo di particolare induzione al consumo. Perciò realizza una tutela anticipata al concreto pericolo di effetto distorsivo.

3c. Quanto all’appello dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato, la valutazione dell’AGCM, come ha ritenuto il primo giudice, non è condivisibile nella parte in cui giudica aggressiva, ai sensi degli artt. 24, 25 e 26, lett. f), del Codice del consumo, la condotta dell’imprenditore, in riferimento all’omessa esplicitazione della natura facoltativa del prodotto assicurativo accessorio contestualmente offerto e all’adozione di una clausola contrattuale, in forza della quale il cliente richiede anche un’apertura di credito ulteriore che potrà essere successivamente accettata e concessa dal professionista.

Il concetto di pratica aggressiva è tipizzato dall’art. 24 del Codice del consumo, ai sensi del quale "è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

La disposizione descrive la pratica aggressiva come una condotta fortemente invasiva, per le pressioni in cui in concreto consiste, della libertà di scelta del consumatore. Tale condotta quindi non incide, quanto meno necessariamente, sulla possibilità per il consumatore di acquisire gli elementi conoscitivi necessari circa il contenuto del contratto, ma sulla stessa volontà di stipularlo pur in presenza di un giudizio negativo sulla sua convenienza.

E’ evidente che la pratica commerciale aggressiva si distingue dalla pratica ingannevole.

Mediante quest’ultima, infatti, l’agente scorretto si propone di ottenere la stipula di un contratto del cui contenuto il consumatore non è ben consapevole; mediante la pratica aggressiva, come si è rilevato, l’agente si propone di condizionare la volontà del consumatore, facendogli concludere un contratto della cui convenienza non è convinto.

Osserva il Collegio che il comportamento dell’impresa odierna appellante non può essere inquadrato nella fattispecie di "pratica aggressiva".

Invero il comportamento dell’appellante privata ha inciso sul processo di conoscenza preliminare alla formazione della volontà contrattuale, impedendo al consumatore di apprezzare compiutamente il contenuto del contratto e lo stesso significato delle clausole che stava approvando, ma non risulta affatto che fosse preordinato, e nemmeno idoneo, a coartare una volontà negativa. Correttamente il primo giudice ha rilevato che la mera ambiguità informativa, che concreta la condotta dell’odierna appellante verso il consumatore, non trasmoda in un "indebito condizionamento", perché non fa fulcro su alcuna situazione necessitante, come sarebbe una presumibile situazione di bisogno: E nemmeno, si aggiunge, ricorre il caso (art. 25) dello sfruttamento di una circostanza tragica o di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore; o dell’ostacolo incongruo all’esercizio dei diritti contrattuali del consumatore.

L’appello dell’Autorità, proposto in via principale ed incidentale, deve pertanto essere respinto.

3d. L’appellante privato insiste nelle argomentazioni di censura relative alla quantificazione della sanzione, sostenendo, in sintesi, il difetto di motivazione e la parziale insussistenza dei presupposti per la qualificazione applicata.

Anche a tale riguardo sono integralmente condivisibili le argomentazioni del primo giudice, il quale ha osservato come l’Autorità abbia considerato congrui i dati per la quantificazione effettuata: dalla significativa dimensione economica dei professionisti coinvolti, alla loro risalente attività, al fatto che le pratiche sanzionate interessavano le fasi dell’intero atto di consumo. alla consapevolezza della natura essenziale delle informazioni sul carattere revolving delle carte di credito e della linea di credito collegata, all’effettivo oggetto del contratto, alle modalità di rimborso degli utilizzi (nel caso della carta Cityper A.), alla durata delle violazione..Giustamente perciò il primo giudice ha ritenuto pienamente intelligibili i criteri di quantificazione della sanzione ed ha affermato che ne giustificano l’ammontare, seppur annullando il provvedimento ed imponendo una nuova liquidazione in relazione all’esclusione del carattere aggressivo della pratica commerciale e alla mancata considerazione delle perdite subite dalla ricorrente in primo grado nel periodo considerato.

La mancata considerazione, da parte dell’Autorità e del primo giudice, della personalità del professionista non può essere condivisa in quanto giustamente è stato dato rilievo preminente alla gravità del comportamento, di cui si è detto al paragrafo 3b.

4. In conclusione, entrambi gli appelli devono essere respinti.

Le spese relative al ricorso in appello n. 9332/10 devono essere poste a carico dell’appellante, come di regola; le spese relative al ricorso in appello n. 9360/10 devono essere integralmente compensate, in ragione della maggiore complessità della questione dedotta.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) riunisce i ricorsi in appello n. 9332/10 e n. 9360/10 e, definitivamente pronunciando, li respinge entrambi.

In relazione all’appello n. 9332/10 condanna l’appellante al pagamento, in favore della controparte costituita, di spese ed onorari del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre agli accessori di legge, se dovuti; compensa integralmente spese ed onorari del giudizio in relazione all’appello n. 9360/10.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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