Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 21-06-2011, n. 24980 Motivazione contraddittoria, insufficiente, mancante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

re e Aricò in sost. Cribani, per l’accoglimento.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Avverso l’ordinanza 7.1-22.2.11 del Tribunale per il riesame di Catanzaro, che confermava la custodia cautelare in carcere, applicatagli dal locale Gip in data 26.il.2010 in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., di cui al capo 1 della rubrica provvisoria, ricorre, a mezzo del difensore fiduciario, B.L., con unico articolato motivo denunciando carenza e illogicità di motivazione e violazione di legge in ordine all’art. 416 bis c.p. e artt. 192 e 273 c.p.p..

Secondo il ricorrente, gli elementi indicati dai giudici del merito cautelare non sarebbero idonei a fondare fumus del delitto ed esigenze cautelari (aspetto, quest’ultimo, poi sprovvisto di deduzione alcuna, con la conseguente inammissibilità della censura su tale punto della decisione):

– quanto alla sussistenza del delitto associativo, – non si sarebbe tenuto conto dell’incidenza del numero ridotto di reati fine e della scarsa incidenza economica del contesto, dandosi rilievo probatorio ad un fatto (episodio di C.) la cui rilevanza penale era già stata esclusa dal medesimo Gip e per il quale sarebbe stata accertata la volontà degli acquirenti di pagare normalmente;

le intercettazioni sarebbero state utilizzate quali "prova e non mera fonte di prova", mentre inconciliabili con la realtà sarebbero le ricostruzioni in fatto sull’esistenza e sul ruolo dell’associazione " B.", in rapporto alle altre famiglie di "zingari", in presenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia non adeguate agli standard normativi e giurisprudenziali;

– quanto alla specifica posizione di B.L., non indagato per i reati fini consumati dopo l’inizio della sua detenzione nel 2005, proprio tale status sarebbe incompatibile con conoscenza e partecipazione di quanto poi avvenuto in Cosenza; in ordine alle intercettazioni, si tratterebbe di normali colloqui tra consanguinei, in ogni caso essendo tuttora impregiudicata la partecipazione dei fratelli all’associazione;

quanto alle dichiarazioni dei collaboratori D.N., B. e S., per le ragioni esposte nelle ultime due pagine del ricorso alle stesse non potrebbe essere attribuita la valenza ex art. 192 c.p.p..

Con motivi aggiunti pervenuti il 4 maggio vengono svolte deduzioni ulteriori relativamente alle dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia.

2. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.

Quanto ai gravi indizi di sussistenza del reato associativo, la motivazione del Tribunale si sottrae alle censure del ricorrente, che sono in realtà generiche laddove non si confrontano con gli elementi di sintesi richiamati dal Giudice collegiale della cautela a pag. 2, 4 e 5, che descrivono aspetti in fatto certamente idonei a configurare tale reato, affermati come esito di accertamenti di polizia giudiziaria, dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni di conversazioni.

Il motivo è invece fondato quanto alla posizione individuale del ricorrente B.L. che, allo stato, si manifesta oggetto di motivazione sostanzialmente solo apparente.

Il Tribunale, infatti, quando ha spiegato l’iter logico-probatorio seguito per giungere alla conclusione che B.L. avesse prestato "un effettivo contributo destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della compagine associativa denominata clan Bruni-Zingari ed al conseguimento degli scopi da questa perseguiti" ha innanzitutto indicato le dichiarazioni dei collaboratori S. – che ha riportato, per quattro pagine -, D.N. – riportate per due pagine e mezzo -, B. – di cui sono riportate quattro risposte -.

Il "commento probatorio autonomo" del Tribunale, rispetto alla mera trascrizione dei testi, si è risolto nel dire che S. aveva indicato B.L. come intraneo con ruoli verticistici, con il termine vice-capo (che la difesa ha oggi osservato essere termine non genuinamente proprio del dichiarante ma contenuto in una domanda a chiarimento del pubblico ministero e quindi fatto proprio dal S.); che tale chiamata in correità rispondeva ai criteri imposti dall’art. 192 c.p.p.; che trovava riscontro nelle parole del D.N. e del B.; che le ‘propalazionì dei collaboratori trovavano riscontro nelle intercettazioni, attestanti l’esistenza di continui rapporti tra lui e sodali anche diversi dai congiunti, quale L.D. (che solo dalla diretta lettura dell’imputazione provvisoria risulta uno dei coimputati per il capo 1).

Ma, con siffatto argomentare, in realtà il Riesame ha finito con l’introdurre ritualmente solo due elementi di fatto specificamente commentati "in proprio" – B.L. definito vice capo da S. e numerose conversazioni tra il ricorrente e sodali non congiunti, quale il L.D. – che per sè sono palesemente incongrui, sul piano logico, a dar conto motivazionale della specifica imputazione provvisoria.

Invero:

– la mera trascrizione di dichiarazioni è del tutto inidonea a costituire motivazione di un assunto, perchè il testo diretto può essere solo la fonte della valutazione autonoma che di esso comunque compete al Giudice, senza poter evitare o sostituire tale valutazione, che costituisce l’essenza dell’obbligo di motivazione:

anche il testo in ipotesi più "evidente", sul piano del significato intrinseco, necessita infatti dell’argomentazione autonoma del giudicante, perchè altrimenti tale apprezzamento è devoluto, necessariamente, al lettore del provvedimento che quindi è chiamato ad integrare, quando non a formulare per la prima volta, l’apprezzamento probatorio. In altri termini, il testo del contenuto di una prova comunque dichiarativa/orale non può mai per sè "autoadempiere" l’obbligo di motivazione. Situazione che si manifesta chiarissima proprio nel giudizio di legittimità: in questa fattispecie, infatti, l’apprezzamento del significato probatorio delle dichiarazioni di D.N. e B. dovrebbe essere fatto direttamente da questa Corte di cassazione, attraverso la lettura critica di quei testi, e quindi con approccio tipico ed esclusivo del giudice del merito, del tutto precluso.

Manca altresì nell’ordinanza impugnata alcuna argomentazione in ordine alla collocazione temporale dei fatti riferiti dai diversi collaboratori ed alle fonti ed ai contesti della loro conoscenza di tali fatti, rispetto oltretutto ad una posizione che si caratterizza, per quanto indicato nell’ordinanza custodiale e nel ricorso, anche per una protratta carcerazione, il cui impatto sull’imputazione pare allo stato ignorato (mentre, a fronte di una contestazione temporale ampia quale quella che allo stato pare emergere dalla contestazione provvisoria, si manifesta necessaria la precisazione se l’apporto del B.L. sarebbe collocabile solo prima della carcerazione o anche durante la sua esecuzione e, in questo secondo caso, con quali modalità tale partecipazione/direzione sarebbe proseguita nonostante la restrizione di libertà).

Nè il generico richiamo a "intercettazioni" (senza precisare l’epoca cui si riferiscono – rispetto al tempo di contestazione – nè fornire alcuna indicazione sul loro contenuto se non quello invero del tutto evanescente, nella sua genericità, di "continui contatti" con sodali anche non familiari, poi esemplificati nel L.) va oltre la mera apparenza dell’argomentazione che spieghi.

L’ordinanza va pertanto annullata sul punto della gravita indiziaria della partecipazione di B.L. all’associazione di cui al capo 1 di imputazione provvisoria, con rinvio per il suo nuovo esame da parte del medesimo Tribunale.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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