Cons. Stato Sez. VI, Sent., 22-06-2011, n. 3755 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Piemonte, rubricato al n. 1656/08, l’arch. P. M. S. impugnava il decreto n. 291 in data 21 ottobre 2008 con il quale il Rettore del Politecnico di Torino aveva approvato gli atti della valutazione comparativa bandita con decreto rettorale n. 487 in data 21 dicembre 2007 per la nomina in ruolo di un ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare ICAR/14 (composizione architettonica ed urbana) presso la seconda facoltà di architettura del Politecnico di Torino e dichiarata vincitrice l’arch. E. V.; estendeva l’impugnazione agli atti presupposti tre i quali, segnatamente, il decreto rettorale n. 298 in data 27 ottobre 2008 di nomina in ruolo dell’arch. Vigliocco, il decreto rettorale n. 173 in data 8 luglio 2008, di nomina della commissione esaminatrice, i verbali dei lavori della medesima, gli allegati "A" e "B" ai medesimi, contenenti i giudizi individuali e collegiali, la relazione riassuntiva dei lavori.

Lamentava:

a) violazione art. 11, primo comma, d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, e dell’art. 51, primo comma punto 1, Cod. proc. civ., in ragione dell’attività professionale in comune fra la vincitrice ed il presidente della commissione;

b) violazione dell’art. 4, paragrafo "allegati alla domanda" e allegato "C" del decreto rettorale 21 dicembre 2007, n. 487, e degli artt. 47, primo comma, e 38, terzo comma, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in quanto la vincitrice non ha presentato il proprio curriculum in forma di dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 47 appena citato;

c) violazione artt. 71, primo comma, e 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in quanto l’Amministrazione ha omesso di verificare la veridicità delle dichiarazioni della vincitrice, specie in relazione a due titoli;

d) violazione art. 8, paragrafo "A", pubblicazioni scientifiche, del decreto rettorale n. 487 ed eccesso di potere in relazione alla valutazione delle pubblicazioni a firma congiunta della vincitrice;

e) violazione art. 4, tredicesimo comma, del d.P.R. 23 marzo 2000, n. 117, ed eccesso di potere per difetto di motivazione e contraddittorietà.

L’arch. S. chiedeva quindi l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Con la sentenza in epigrafe, n. 2820 in data 20 novembre 2009 il Tribunale amministrativo del Piemonte accoglieva il ricorso sotto l’assorbente profilo del primo mezzo, per l’effetto annullando il provvedimento impugnato.

2. Avverso la predetta sentenza propone l’appello in epigrafe, rubricato al n. 735/10, il Politecnico di Torino contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma ed il rigetto del ricorso di primo grado, previa sospensione.

Con ordinanza n. 891 in data 24 febbraio 2010 è stata respinta l’istanza cautelare.

Si è costituito in giudizio l’arch. S. chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo i motivi assorbiti dal primo giudice.

Si è costituita anche l’arch. E. V., chiedendo l’accoglimento dell’appello.

Le parti hanno depositato memorie.

La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 6 maggio 2011.

3. L’appello è infondato.

3a. L’appellante sostiene l’inammissibilità del ricorso di primo grado nella parte in cui si afferma l’obbligo di astensione del presidente della commissione giudicatrice, in ragione dei rapporti professionali intrattenuti con la candidata, poi dichiarata vincitrice.

Ad avviso dell’appellante, infatti, tale censura non è proponibile se il candidato non ha presentato istanza di ricusazione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione della composizione della commissione, secondo il dettato dell’art. 9 d.l. 21 aprile 1995, n. 120 (Disposizioni urgenti per il funzionamento delle università), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, che pone un termine perentorio di trenta giorni per la ricusazione dei componenti della commissione esaminatrice da parte dei candidati a concorsi universitari.

La tesi non può essere condivisa.

Il Collegio ritiene che la disposizione invocata non abbia innovato alla regola generale per cui le cause di astensione o ricusazione che rientrano in quelle tassative di cui al primo comma dell’art. 51 Cod. proc. civ. si possono far valere per la prima volta in sede di impugnazione del provvedimento finale (es. Cons. Stato, VI, 6 ottobre 2005, n. 5437).

Il procedimento in questione è retto – come dev’essere per tutti i procedimenti amministrativi- dal generale principio costituzionale di imparzialità, di cui all’art. 97 Cost., che vuole che l’obbligo di astenersi del singolo componente del collegio esaminatore permanga immanente per tutto il corso del procedimento in ragione del sostanziale conflitto di interessi che lo causa, e non consente che possa essere eliso e posto fittiziamente nel nulla dal mancato esercizio di un formale onere preventivo dell’interessato. Il candidato, infatti mantiene integra la sua legittima pretesa all’imparzialità dei commissari e non è tenuto ad assumersi il rischio, passato un termine fatale, dell’altrui parzialità.

Così stando le cose, la disposizione dell’art. 9 d.l. 21 aprile 1995, n. 120, in realtà, ha solo la funzione di formalizzare una facoltà di ricusazione – usualmente non prevista in sede amministrativa – condizionandola, al fine di contemperarla con l’esigenza di speditezza dell’azione amministrativa, ad un termine M. per imporre una valutazione preventiva (in modo cioè da evitare ricusazioni in corso d’opera); ma non ha anche lo scopo di introdurre un necessario presupposto per una postuma azione giurisdizionale che intenda dolersi del mancato rispetto del dovere di astensione.

Tanto è sufficiente a risolvere la questione. Va del resto rilevato che, a stare alla tesi dell’appellante, la norma invocata andrebbe ad incidere gravemente sulla sostanziale par condicio e il conseguente diritto all’azione dei partecipanti ai concorsi universitari, in quanto, se davvero concretasse un presupposto necessario dell’azione, precluderebbe loro di adire la tutela giurisdizionale proprio in casi di grave violazione del principio della valutazione imparziale.

L’assunto è dunque non solo contrastante con l’art. 97, ma anche con l’art. 24 Cost.,. Perciò la norma invocata dall’appellante va considerata in senso costituzionalmente conforme, cioè opposto a quello reclamato.

L’assunto dell’appellante contrasta, del resto, la comune logica perché configura una presunzione assoluta di affidamento, nonostante la presenza e la persistenza di elementi tali da negarlo e da provocane il difetto e il travolgimento.

La tesi pare basarsi sul mero principio di economia dei mezzi giuridici, che ha ispirato anche l’art. 243bis d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, come modificato dall’art. 6 d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 (informativa in ordine all’intenzione di voler proporre ricorso giurisdizionale). Peraltro, va opposto che l’art. 243bis sanziona l’omissione della dichiarazione qualificandola comportamento valutabile ai fini della decisione sulle spese del giudizio nonché ai sensi dell’art. 1227 Cod. civ.(quinto comma), ma senza precludere o limitare la tutela giurisdizionale di annullamento.

Fermo quanto sopra concluso, si può poi osservare come il principio sostenuto dall’appellante potrebbe essere, tutt’al più, plausibile se le cause di astensione fossero sempre immediatamente percepibili, ma questo non è perché spesso sono ricavabili solo sulla base di indagini complesse e successive. Sarebbe irragionevole imporre che i candidati ad un concorso universitario debbano svolgere tale indagine prima del suo svolgimento. Poiché si tratta di una distinzione comunque assai onerosa e difficile, ne viene quanto sopra rilevato, cioè che la mancata dichiarazione di ricusazione non costituisce un presupposto dell’azione.

Con la decisione 17 marzo 2010, n. 1567 questa Sezione del Consiglio di Stato ha indicato una composizione della diverse esigenze affermando che solo l’esistenza di cause di astensione obbligatoria può imporre la previa ricusazione del commissario, ai sensi dell’invocato art. 9 d.l. 21 aprile 1995, n. 120. Ivi fu rilevato che il rimedio della ricusazione è ammesso nell’ambito del processo civile solo in relazione alle ipotesi di cui all’art. 51, primo comma, Cod. proc. civ., mentre nelle altre, disciplinate dal successivo secondo comma, l’iniziativa è rimessa al giudice, che deve chiedere l’autorizzazione ad astenersi (art. 52).

Ma anche a stare a quella lettura restrittiva, la presente impugnazione permane ammissibile.Infatti il rapporto professionale discontinuo non rientra fra le cause obbligatorie di astensione (cfr. Cass., I, 16 marzo 1994, n. 2512, per il caso in cui componente del collegio giudicante era un vice pretore onorario, che era anche procuratore domiciliatario di una delle parti: non ricorreva l’incompatibilità derll’ art. 51, n. 1, Cod. proc. civ., perché il procuratore domiciliatario non ha un interesse diretto e personale nella causa, essendo irrilevante, per la sua prestazione professionale, la decisione della controversia in senso favorevole o sfavorevole per il proprio cliente).

Nel caso ora sottoposto al Collegio, il problema riguarda specificamente la presenza di intensi, continuativi e rilevanti rapporti professionali fra il presidente della commissione giudicatrice e la candidata, poi dichiarata vincitrice.

Soprattutto, vale considerare che solo la conoscenza degli atti del procedimento ha consentito al ricorrente in primo grado, che ha dovuto formulare istanza d’accesso, di conoscere la situazione che poteva costituire una causa di astensione e di rappresentarsi l’esigenza di una tutela formale dell’imparzialità dell’azione amministrativa che lo riguardava..

Alla luce delle considerazioni appena esposte afferma il Collegio che l’azione che ora occupa non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 9 d.l.. 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, in combinato disposto con l’art. 51 Cod. proc. civ., non riguardando comunque una causa obbligatoria di astensione; e in ogni caso alla luce del fatto che il ricorrente in primo grado ha potuto apprezzare la causa d’incompatibilità solo a seguito della conoscenza degli atti del procedimento.

In conclusione, afferma nel merito il Collegio che correttamente il primo giudice ha ritenuto l’odierno appellato legittimato a proporre il motivo d’impugnazione di cui si tratta.

Il mezzo di gravame proposto dall’appellante deve quindi essere respinto.

3b. Quest’ultimo, unitamente alla vincitrice della selezione, afferma poi l’insussistenza della causa di incompatibilità, essendo sporadici e saltuari i rapporti professionali fra la candidata ed il presidente della commissione.

Osserva il Collegio come solo i rapporti scientifici possano non rilevare come motivo di astensione dai concorsi universitari (Cons. Stato, VI, 29 luglio 2008, n. 3797, e la già citata 17 marzo 2010, n. 1567), mentre rilevano i rapporti professionali, specie se frequenti e di rilevante valore. Cons. Stato, VI, 8 maggio 2001, n. 2589, ha affermato che l’obbligo di astensione sorge nell’ipotesi di una comunanza di interessi economici o di vita tra i due soggetti di intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base a risultanze oggettive della procedura, ma in virtù di conoscenza personale con il commissario. Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2004, n. 563, ha poi affermato che sussiste incompatibilità, con conseguente obbligo di astensione, per il componente di una commissione giudicatrice di concorso ove risulti dimostrato che fra lo stesso e un candidato esista un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico ed una indubbia connotazione fiduciaria.

Il principio, condiviso dal Collegio, è applicabile nella fattispecie.

Invero, gli incarichi professionali svolti dalla vincitrice in collaborazione con il presidente della commissione esaminatrice, personalmente ovvero con il suo studio professionale, riassunti in due pagine e mezza della sentenza di primo grado, sono stati svolti nell’arco temporale di ben otto anni, e riguardano attività di notevole rilevanza, professionale ed economica, tra cui, ad esempio, la redazione del progetto esecutivo per un appalto dell’importo complessivo di Euro 4.469.540,59.

Non v’è dubbio alcuno che, di fronte ad una situazione siffatta, sussistesse l’obbligo di astensione.

Alla luce di tali elementi di fatto deve essere affermato che il primo giudice ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riassunti.

3c. L’appello deve in conclusione essere respinto.

4. L’appellato con la memoria conclusionale ripropone i motivi assorbiti nella sentenza appellata; alla pubblica udienza di discussione ha precisato che la sua azione mira ad escludere la vincitrice dal concorso, al fine di ottenere la sua ripetizione senza la sua partecipazione.

Osserva il Collegio che il vizio nella composizione dell’organo collegiale chiamato ad adottare la determinazione amministrativa che ha dato luogo alla controversia è assimilabile al vizio di incompetenza, e il riscontro della sua esistenza preclude l’esame degli altri profili di legittimità dell’atto in quanto emanato da un organo privo di titolarità e impone di restituire gli atti all’Amministrazione, in modo che possa senz’altro riesaminare l’intera fattispecie sostanziale (es. Cons. Stato, V, 11 dicembre 2007, n. 6408,).

Di conseguenza, giustamente il primo giudice ha assorbito le censure di cui si tratta.

5. In conclusione, l’appello deve essere respinto, ed integralmente confermata la sentenza di primo grado.

Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico dell’appellante, come di regola.

Spese compensate fra le parti private.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello n. 735/2010, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del ricorrente di primo grado, di spese ed onorari del presente grado del giudizio, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge, se dovuti; spese compensate fra le parti private.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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