Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 21-06-2011, n. 24966 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. In data 16.2-12.4.2010 il Tribunale di Tivoli ha assolto, perchè il fatto non sussiste, C.F. da due delitti di favoreggiamento reale, dopo aver dichiarato inutilizzabili le intercettazioni telefoniche, che erano state ritualmente autorizzate ed eseguite nell’ambito di un procedimento penale per violazione degli stupefacenti, davanti l’autorità giudiziaria di Roma, procedimento dal quale la posizione di C. – originariamente anch’egli sottoposto ad indagini in ordine al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con successiva finale riqualificazione delle condotte a lui ascritte, ai sensi dell’art. 379 c.p. – era stata separata per incompetenza territoriale, così nei suoi confronti essendosi proceduto davanti all’autorità giudiziaria di Tivoli.

Secondo il GIP – che richiamava l’insegnamento della sentenza Sez. 6, n. 4942 del 15.1-6.2.2004, Kolakowska – poichè comunque il reato di favoreggiamento reale non rientrava tra quelli previsti dall’art. 266 c.p.p., nessuna utilizzazione poteva esser fatta in questo processo del contenuto delle conversazioni intercettate, mentre i residui elementi di prova erano inidonei a fondare il giudizio di responsabilità. 2. Con ricorso immediato, il procuratore della Repubblica di Tivoli denuncia l’erronea applicazione dell’art. 266 c.p.p..

Ricordato che le conversazioni erano state intercettate in questo stesso procedimento, secondo la parte pubblica ricorrente tutte le intercettazioni regolarmente autorizzate nel presente procedimento sarebbero infatti utilizzabili per tutte le ipotesi di reato in esso contestate, e non solo per le specifiche ipotesi per le quali era intervenuta l’autorizzazione del Gip. 3. La questione di diritto riproposta a questa Corte suprema è se il contenuto di intercettazioni autorizzate ed eseguite in un determinato procedimento penale e per un reato espressamente richiamato dall’art. 266 c.p.p. possa essere utilizzato come prova anche per reati diversi, cui si perviene previa riqualificazione delle stesse condotte ed il cui titolo non consentirebbe autonomamente l’intercettazione, perchè non rientrante nell’elenco di cui al medesimo art. 266 c.p.p. nè rispondente ai parametri contenuti nell’art. 270 c.p.p..

Il mero fatto della successiva separazione della singola posizione processuale è, infatti, per sè irrilevante, come già argomentato dallo stesso Giudice del merito in ossequio alla giurisprudenza di legittimità consolidata sul punto.

La questione ha già ricevuto soluzione positiva nelle precedenti sentenze di questa Corte Sez. 1^, sent. 24163 del 19.5 – 23.6.2010;

Sez. 1, sent. 50001 del 27.11 – 30.12.2009; Sez. 6, sent. 50072 del 20.10-31.12.2009; Sez. 1, sent. 19852 del 20.2 – 11.5.2009.

La sentenza 50072/2009, in particolare, ha espressamente valorizzato l’indicazione normativa fornita dall’art. 271 c.p.p. che, collegando la sanzione dell’inutilizzabilità dei risultati all’evenienza che le intercettazioni siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o senza l’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, la pone in relazione a vizi del momento genetico dell’attività di intercettazione.

A tale incisivo rilievo va aggiunta l’osservazione che – iniziate legittimamente le intercettazioni di conversazioni in relazione a determinati fatti storici e determinate persone – le esigenze proprie della riservatezza delle comunicazioni, che ne limitano rigorosamente la lesione, risultano di fatto venute meno, o quantomeno attenuate.

Nel caso concreto, i due capi di imputazione fanno riferimento a condotte di aiuto a coimputato dell’originario medesimo processo, nell’assicurarsi il prezzo di ripetuti e numerosi reati di cessione di sostanze stupefacenti, mediante la custodia presso la propria abitazione di somme rilevanti, provento dell’attività di spaccio.

Palese è pertanto la sostanziale omogeneità tra fatti e persone del contesto che ha dato origine a legittime intercettazioni e quelli dell’imputazione "riqualificata" per cui è intervenuta condanna.

La sentenza 4942/2004, richiamata dal GIP, non può essere considerata idonea a determinare un attuale contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulla fattispecie astratta concretamente rilevante, per l’assorbente ragione che la stessa – come risulta dalla lettura integrale della sua motivazione – si riferisce alla del tutto differente fattispecie dell’accertamento occasionale di un reato commesso da terza persona, estranea al contesto fattuale e personale che aveva condotto a intercettazioni legittimamente disposte, reato per sè non riconducibile nè all’art. 266 nè all’art. 270 c.p.p..

Il ricorso va pertanto accolto.

Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, ai sensi dell’art. 569 c.p.p., comma 4 alla Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Roma per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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