Cons. Stato Sez. VI, Sent., 22-06-2011, n. 3751 concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a dell’avvocato Rienzi, l’avvocato dello Stato Biagini e l’avvocato Lattanzi;
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza gravata il primo giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui l’associazione odierna appellante ha impugnato il provvedimento di archiviazione adottato dall’Autorità antitrust su segnalazione avente ad oggetto pretesi accordi tra alcuni gestori di telefonia mobile volti a porre termine al servizio di invio gratuito di SMS tramite internet: segnalazione presentata dalla stessa associazione.

A tale esito il primo giudice è pervenuto sul rilievo del difetto di legittimazione del Codacons ad impugnare il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche AGCM) archivia una segnalazione riguardante una ritenuta violazione antitrust.

2. Propone appello il Codacons ritenendo l’erroneità della sentenza impugnata di cui chiede l’annullamento.

3 All’udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso va accolto.

2. Come osservato, in primo grado è stato impugnato il provvedimento di archiviazione adottato dall’Autorità antitrust in seno al procedimento avviato su segnalazione avente ad oggetto pretesi accordi tra alcuni gestori di telefonia mobile volti a porre termine al servizio di invio gratuito di SMS tramite internet: segnalazione presentata dall’associazione odierna appellante.

Con la sentenza gravata, il T.A.R. Lazio ha quindi preso posizione sulla questione relativa alla legittimazione di un’associazione di consumatori (nella specie, il Codacons) ad impugnare il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato archivia una segnalazione riguardante una ritenuta violazione antitrust.

Si tratta di provvedimenti che non incidono in senso sfavorevole sulle imprese che hanno posto in essere il comportamento o l’accordo esaminato -viceversa riconosciuto, espressamente o implicitamente, lecito- ma che possono incidere sulle posizioni di soggetti terzi, controinteressati rispetto al comportamento consentito (tra cui le imprese concorrenti sullo stesso mercato, che si ritengono lese dalla concentrazione o dall’intesa non ritenuta illecita dall’Autorità, ovvero le associazioni dei consumatori che denunciano gli effetti lesivi per la platea dei consumatori, effetti prodotti dalla mancata stigmatizzazione di condotte anticompetitive).

Pur dando atto della recente linea evolutiva emersa sul tema nella giurisprudenza amministrativa, peraltro in accordo con le opzioni interpretative seguite dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, il T.A.R. Lazio, in specie rimarcando ritenute differenze tra la disciplina antitrust e quella concernente la pubblicità ingannevole, ha escluso la legittimazione di Codacons nel caso di specie: tanto sull’assunto per cui, ferma la necessità di subordinare il riconoscimento della legittimazione a ricorrere al riscontro della titolarità di una posizione differenziata e qualificata, la qualità di associazione di consumatori e utenti, certo da riconoscere al Codacons, permette alla stessa di esperire iniziative a tutela dei diritti fondamentali che l’art. 2, co. 2, del Codice del consumo riconosce in favore dei consumatori e utenti, tra cui non sarebbe tuttavia incluso il diritto ad ottenere il rispetto della normativa antitrust.

3. Si tratta di esito ricostruttivo non condiviso dal Collegio.

3.1. Giova, in modo più ampio, considerare che questa Sezione ha ormai da tempo riconosciuto l’impugnabilità da parte di terzi controinteressati dei c.d. provvedimenti negativi, con cui l’Autorità antitrust archivia una determinata denuncia o comunque rifiuta di intervenire; tali provvedimenti o l’inerzia dell’Autorità non incidono in senso sfavorevole sulle imprese che hanno posto in essere il comportamento segnalato, essendone riconosciuta la liceità o espressamente o implicitamente e omettendo l’Autorità di intervenire.

Gli stessi provvedimenti possono tuttavia incidere sulle posizioni di soggetti terzi, destinati ad assumere così la veste di controinteressati rispetto al comportamento consentito.

Rispetto a tali soggetti, l’orientamento giurisprudenziale contrario al riconoscimento della legittimazione a ricorrere è stato superato da questa Sezione, che ha precisato che il denunziante, in quanto tale, non è titolare di un interesse qualificato ad un corretto esame della sua denuncia, ma lo diventa solo quando dimostra di essere portatore di un interesse particolare e differenziato, leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo; la legittimazione deriva allora non dalla qualità di denunciante, ma da quella di controinteressato.

E’ stato così superato quell’indirizzo, a lungo seguito, che limitava la legittimazione processuale all’impugnazione degli atti dell’AGCM ai soli soggetti direttamente incisi dai provvedimenti stessi.

Indirizzo che poggiava su due principali argomentazioni:

– la preordinazione dell’attività dell’AGCM alla tutela dell’interesse pubblico alla libertà di iniziativa economica, a fronte del quale tutti i soggetti diversi dai diretti destinatari del provvedimento sarebbero titolari di un interesse di mero fatto e indifferenziato;

– la scissione fra la partecipazione procedimentale e quella processuale, con la conseguenza che la titolarità della prima non comporta alcun riflesso sul piano processuale (cosicché anche se i terzi sono legittimati a partecipare al procedimento e persino a dargli avvio attraverso una denuncia, ciò non determina la loro legittimazione all’impugnazione del provvedimento adottato dall’Autorità all’esito di quel procedimento).

Ebbene, questa Sezione ha da tempo superato tale orientamento estendendo la legittimazione all’impugnazione degli atti dell’AGCM ai terzi concorrenti e, almeno per quel che attiene al settore della pubblicità ingannevole, ai consumatori (sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3865; 3 febbraio 2005, n. 280).

3.2. In particolare, questa Sezione ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo ad una impresa concorrente avverso un provvedimento di autorizzazione in deroga rilasciata dall’Autorità antitrust ai sensi dell’articolo 4, l. 10 ottobre 1990, n. 287 (Cons. Stato, 14 giugno 2004 n. 3865, caso Motorola).

Con la citata pronuncia, questa Sezione ha ricondotto la questione della legittimazione ad agire avverso i provvedimenti "assolutori" dell’Autorità antitrust nell’ambito dei principi in tema di condizioni dell’azione e di requisiti necessari per individuare una situazione di interesse legittimo, quale è la posizione di colui il quale si contrappone all’esercizio del potere dell’amministrazione, essendo titolare di una posizione giuridica sostanziale lesa ad opera del potere amministrativo, sempre che la lesione abbia i caratteri della personalità, dell’attualità e della concretezza.

I criteri utilizzati ai fini di tale verifica sono quelli della differenziazione e della qualificazione: in quel caso è stato ritenuto che le imprese concorrenti (nel medesimo settore economico) non si trovano sullo stesso piano degli altri appartenenti alla collettività, dato che non sono portatrici di un interesse indifferenziato alla concorrenza nel mercato. Esse vantano invece un interesse personale e individuale al rispetto della normativa antitrust, in quanto dalle determinazioni dell’AGCM, dirette ad altri, possono derivare uno svantaggio (in presenza di deliberazioni di natura autorizzatoria) o un vantaggio (come nel caso di provvedimenti inibitori e sanzionatori), chiaramente riferibili alla loro sfera individuale.

La circostanza che l’Autorità sia tenuta a perseguire l’interesse pubblico alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica non è in grado di escludere in linea di principio -si è sostenuto- che anche soggetti terzi rispetto ai destinatari diretti dei provvedimenti finali possono vantare interessi, pretensivi o oppositivi, suscettibili di ricevere protezione giuridica. E l’interesse delle imprese terze rispetto a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza è oggetto di valutazione positiva da parte dell’ordinamento.

A sostegno della indicata opzione interpretativa è stato in specie rimarcato che l’ordinamento, già nella fase antecedente all’emanazione del provvedimento dell’Autorità:

a) garantisce ai terzi la partecipazione procedimentale (art. 12, co. 1, l. 10 ottobre 1990, n. 287), prevedendo che chiunque vi abbia interesse può portare degli elementi a conoscenza dell’Autorità, e sancisce l’obbligo di comunicare il provvedimento di avvio dell’istruttoria, non solo alle imprese e agli enti interessati, ma anche ai "soggetti che ai sensi dell’articolo 12, comma 1, della legge, avendo un interesse diretto, immediato e attuale, hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria" (art. 6, co. 4, d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217);

b) ammette all’istruttoria i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché le associazioni rappresentative dei consumatori, cui possa derivare un pregiudizio diretto, immediato e attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria o dai provvedimenti adottati in esito alla stessa, e che facciano motivata richiesta di intervenire entro un dato termine (art. 7, co. 1, lett. b, d.P.R. n. 30 aprile 1998, n. 217);

c) stabilisce che l’Autorità notifica l’apertura dell’istruttoria "alle imprese ed agli enti interessati" (art. 14, co. 1, l. 10 ottobre 1990, n. 287) e che la stessa, in ogni momento dell’istruttoria, può richiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili ai fini dell’istruttoria (art. 14, co. 2, l. 10 ottobre 1990, n. 287); "soggetti ai quali è stato notificato il provvedimento di avvio" ( d.P.R. n. 30 aprile 1998, n. 217).

Secondo la indicata decisione n. 3865 del 2004, nei procedimenti in materia di intese e di autorizzazioni in deroga, i terzi possono configurarsi come soggetti tutelati, il cui intervento è funzionale alla protezione degli interessi dei quali sono portatori e che sono suscettibili di essere lesi dalle determinazioni dell’Autorità. Essi, anzi, possono assumere una posizione contrapposta e speculare rispetto a quella dell’impresa destinataria del provvedimento finale.

3.3. Spingendosi oltre nel ripensamento del precedente indirizzo interpretativo, questa Sezione ha anche riconosciuto in capo alle associazioni dei consumatori un interesse qualificato e differenziato alla corretta informazione economica e, conseguentemente, alla libertà di determinazione nelle scelte di acquisto, interessi direttamente lesi da pratiche di pubblicità ingannevole (sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280).

Sulla base di questa posizione, i consumatori e per loro le relative associazioni esponenziali rivestono la posizione di controinteressati rispetto ai provvedimenti adottati dall’Autorità nell’esercizio dei poteri di vigilanza in materia di pubblicità ingannevoli.

Il nuovo indirizzo si è peraltro reso necessario anche alla luce dell’esigenza di un allineamento con la giurisprudenza comunitaria, che si era già espressa in tal senso (Corte giust., 11 ottobre 1983, in causa 210/81,; 28 marzo 1985, in causa 298/83).

3.4. Ebbene, ritiene il Collegio che non ci siano ragioni per escludere l’estensione alla materia antitrust della posizione già espressa dalla Sezione con riferimento al settore della pubblicità ingannevole.

Giova, al riguardo, considerare che la stessa Corte di cassazione, con sentenza a Sezioni unite 4 febbraio 2005, n. 2207, ha precisato che la l. 10 ottobre 1990, n. 287, non è dettata a tutela dei soli imprenditori, ma di tutti i soggetti che fanno parte del mercato, ivi compresi i consumatori.

Opzioni interpretativa confortata tra l’altro, ad avviso delle Sezioni unite, dall’art. 4 della stessa legge 10 ottobre 1990, n. 287 che, nell’attribuire all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il potere di autorizzare un’intesa potenzialmente lesiva della concorrenza, indica tra i parametri di cui tenere conto nell’esercitare discrezionalmente tale potere anche "il beneficio del consumatore".

La Corte di cassazione ha così riconosciuto che gli effetti pregiudizievoli dell’intesa illecita sono suscettibili di propagarsi fino all’ultimo anello della filiera, involgendo il consumatore finale, pregiudicato nel diritto alla libera scelta fra prodotti equivalenti.

La legge antitrust non è quindi la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere.

Come osservato dalla Sezioni unite nella citata sentenza, pertanto, la legge 10 ottobre 1990, n. 287, "non ignora, nella materia della intesa, l’interesse del consumatore al punto da prevedere una ipotesi in cui esso, alla cui tutela la ideologia antitrust è funzionale, può essere tutelato per un periodo limitato addirittura da un allentamento del divieto del più classico comportamento anticoncorrenziale".

Della descritta evoluzione interpretativa ritiene il Collegio di fare piena applicazione al caso di specie, concludendo nel senso della sussistenza quindi della legittimazione di Codacons ad impugnare i c.d. provvedimenti assolutori adottati dall’Autorità garante.

E’ opportuno, al riguardo, considerare che il potere repressivo e quello sanzionatorio sono rivolti alla tutela di un interesse generale al rispetto delle regole, con il quale ben possono intersecarsi posizioni differenziate di singoli soggetti titolari di un interesse specifico al ripristino della legalità vulnerata.

E’ quanto da tempo prende atto la giurisprudenza nella materia dell’edilizia, allorché riconosce ai terzi proprietari di immobili vicini ed alla stesse associazioni esponenziali di interessi diffusi la legittimazione ad impugnare, in presenza dei presupposti soggettivi qualificanti, il silenzio dell’amministrazione nell’esercizio del potere repressivosanzionatorio in materia edilizia.

Con specifico riguardo alla materia che viene qui in rilievo, l’affidamento all’AGCM di una "tutela oggettiva della concorrenza" non esclude certo che la salvaguardia dell’interesse generale ad un assetto concorrenziale del mercato si traduca, sul piano concreto, in misure adottate a salvaguardia anche dei consumatori, lesi dal comportamento anticoncorrenziale posto all’esame dell’Autorità.

Non può quindi il Collegio condividere la tesi che, muovendo dall’assunto della preordinazione del potere autoritativo alla definizione dell’interesse generale, finisce per costringere i consumatori, terzi controinteressati, incisi dall’assetto di mercato creato o tollerato dall’Autorità, ad utilizzare la strada della tutela procedimentale con atti di impulso e di intervento ovvero a percorrere quella, certo non sostituiva né sempre equivalente, ove ne ricorrano i presupposti, dell’azione innanzi al giudice civile ai sensi dell’articolo 33, l. 10 ottobre 1990, n. 287.

3. 5. Ammessa dunque la legittimazione di Codacons all’impugnazione del provvedimento contestato in primo grado, ritiene il Collegio fondato nel merito il ricorso condividendone il motivo con cui si deduce l’inadeguatezza della motivazione addotta dall’AGCM a sostegno dell’archiviazione disposta in seno al procedimento avviato su segnalazione avente ad oggetto pretesi accordi tra alcuni gestori di telefonia mobile volti a porre termine al servizio di invio gratuito di SMS tramite internet.

Con il provvedimento contestato in primo grado, infatti, l’Autorità, nell’esplicitare le ragioni sottese alla determinazione di non avviare l’istruttoria afferma che "la valorizzazione del traffico potrebbe aver trovato, a suo tempo, motivazione economica nel notevole incremento registrato dalla suddetta tipologia di servizio".

Si tratta all’evidenza di apparato motivazionale da cui non è dato cogliere le ragioni che hanno indotto l’Autorità a non avviare gli accertamenti istruttori volti a verificare la fondatezza di quanto segnalato dall’associazione appellante.

4. Alla stregua delle esposte ragioni va pertanto accolto l’appello.

5. Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese in considerazione della delicatezza delle questioni interpretative involte.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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