Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-05-2011) 21-06-2011, n. 24845 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

mento del processo

Con sentenza del 3 giugno 2010, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione con la quale, il 20 ottobre 2006, U.D.M. veniva condannato dal Tribunale di quella città per violenza sessuale in danno di minore la quale, in assenza della madre, veniva dallo stesso palpeggiata dopo averla fatta sdraiare sul letto dell’abitazione di lei.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un unico motivo deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge.

Osservava, a tale proposito, che i giudici dell’appello erano pervenuti ad un non condivisibile giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della minore non considerando il contenuto delle dichiarazioni degli altri testi escussi che smentivano la versione accusatoria della persona offesa.

Rilevava, in particolare, che le affermazioni della minore si ponevano in contrasto con il comportamento tenuto dall’accusato, riguardo al quale risultava dimostrato che, dopo l’episodio che diede origine al processo, lo stesso, anzichè fuggire, si era recato nell’appartamento di fronte per salutare parenti ed amici.

Aggiungeva che la minore si era contraddetta nel corso dell’esame, affermando dapprima di non sapere nulla di una borsa con attrezzi da parrucchiere che il ricorrente recava con se, per poi subito dopo affermare che egli aveva preso "i suoi attrezzi da parrucchiere".

Affermava, poi, che il linguaggio usato dalla minore e, segnatamente, i termini molestare e palpeggiare non era tipico della sua età ((OMISSIS) anni) ed evocava, invece, il convincimento di una suggestione da parte di soggetti adulti, osservando che la madre della minore aveva denunciato in passato il proprio marito per violenza sessuale nei confronti delle figlie ed usava abitualmente, anche in presenza della minore, affrontare l’argomento. La stessa aveva inoltre dimostrato, nel corso del giudizio, di nutrire astio nei confronti del ricorrente.

Richiamava inoltre l’attenzione sul portamento tenuto dalla minore dopo la violenza subita e dalla madre di lei, che non provvide a raggiungerla con il mezzo più veloce a disposizione dopo aver appreso dell’accaduto.

Lamentava, infine, che non vi era stata alcuna sottoposizione della minore ad analisi psicologica nell’ambito di un incidente probatorio, nè era stato sentito il medico che ebbe a visitarla dopo l’episodio affinchè raccontasse quanto appreso direttamente dalla stessa nel corso della visita.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè fondato su un motivo manifestamente infondato.

Occorre preliminarmente osservare che tutti gli argomenti illustrati in ricorso risultano essere già stati prospettati alla Corte territoriale nell’atto di appello, come è dato ricavare dalla semplice lettura della premessa all’impugnata decisione, che li riporta in sintesi.

A tali doglianze i giudici di merito hanno fornito adeguata risposta.

In particolare, si è ritenuta la piena attendibilità della minore rilevando l’ininfluenza, sul contenuto generale della deposizione, di eventuali imprecisioni, sottolineando che la genuinità e spontaneità del narrato trovava conferma nell’atteggiamento assunto dalla persona offesa durante la deposizione, come quando la stessa, dopo aver dichiarato di non ricordare un particolare, alle contestazioni del presidente che la interrogava, pur potendo modificare la propria versione e rispondere affermativamente, ribadì di non ricordare.

La Corte territoriale escludeva inoltre la sussistenza di qualsiasi elemento sintomatico di intenti ritorsivi o calunniatori da parte della minore e giustificava con ampia motivazione la irrilevanza dell’uso, da parte sua, di terminologia non consona all’età.

Tale ultima osservazione è oggetto, in ricorso, di critica basata sul diverso assunto che, essendo la minore di origine (OMISSIS) e vivendo la stessa circondata da persone le quali utilizzano la lingua (OMISSIS) nelle conversazioni, sarebbe inverosimile la affermazione della Corte territoriale circa la maggiore efficacia dell’indotto didattico sul minore straniero in quanto immune dalla contaminazione linguistica conseguente dall’uso della medesima lingua nel contesto familiare.

Si tratta, tuttavia, di una censura generica, fondata su una mera asserzione e del tutto irrilevante nel complessivo giudizio di attendibilità cui è pervenuta la Corte di merito, la quale ha anche escluso l’esistenza di eventuali suggestioni materne nei confronti della minore, evidenziando anche l’irrilevanza della pregressa denuncia per violenza sessuale fatta dalla donna nei confronti del marito che, non riguardando in alcun modo il ricorrente, assume un valore del tutto neutro nella vicenda processuale che lo riguarda.

I giudici dell’appello hanno anche giustificato l’irrilevanza dell’esame clinico, attesa la natura degli atti sessuali compiuti sulla minore, che giustifica però la reazione comportamentale della giovane dopo l’accaduto, riconosciuta perfettamente compatibile con le caratteristiche dell’abuso e concretatasi in una crisi di pianto nell’immediatezza ed in un atteggiamento sereno dopo il ricongiungimento con i genitori. Con tale comportamento, secondo i giudici dell’appello, risulta pienamente compatibile anche l’atteggiamento assunto dopo i fatti dal ricorrente.

La Corte territoriale evidenzia, infine, il buon senso che aveva caratterizzato il comportamento della madre della minore la quale, dopo aver avuto notizia del fatto, ritenne opportuno informarne il marito, dal quale era separata, per poi recarsi con lui dalla figlia.

L’impugnata decisione, come si è in precedenza osservato, ha dunque fornito adeguata risposta a tutte le doglianze mosse con l’atto di appello e non evidenzia alcuna violazione delle disposizioni sostanziali e processuali applicate.

Essa si presenta sostenuta, inoltre, da un apparato argomentativo solido e scevro da cedimenti logici che non viene minimamente scalfito dai rilievi critici mossi con il ricorso, meramente ripetitivi e sostanzialmente diretti ad ottenere una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, inammissibile in questa sede di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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