Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-05-2011) 21-06-2011, n. 24844 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 aprile 2010, la Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione con la quale, in data 5 novembre 2008, il G.U.P. del Tribunale di Palermo, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato A.N. per il reato di violenza sessuale e sequestro di persona nei confronti di minore infraquattordicenne, da lui costretto a salire a bordo della vettura che conduceva, ove veniva trattenuto contro la sua volontà e poi condotto, dopo aver percorso diverse vie della città, in luogo appartato dove, denudato il pene, gli afferrava la mano costringendolo a masturbarlo.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che la Corte d’appello non aveva disposto il richiesto rinvio dell’udienza nonostante il documentato impedimento, certamente invalidante, che giustificava anche la riscontrata assenza di risposta al citofono dell’abitazione al medico dell’ASL inviato dalla Corte territoriale per verificare le sue condizioni di salute.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni del minore sulle quali si fondava l’intero impianto accusatorio e che risultavano, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, connotate da numerose imprecisioni e falsità.

Evidenziava, in particolare, l’inverosimiglianza dell’approccio descritto dal minore, del tentativo di fuga e della costrizione a bere birra pure descritti dalla persona offesa, stigmatizzando la manifesta illogicità e la carenza di motivazione sul punto.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la Corte territoriale ha fatto buon uso delle disposizioni processuali applicate nonchè dei principi formulati dalla giurisprudenza di questa Corte, opportunamente richiamati.

Invero, l’impedimento a comparire del ricorrente era sorretto da certificazione medica risalente al giorno precedente, attestante una sindrome diarroica che i giudici del merito hanno ritenuto non invalidante e risolvibile mediante adeguata terapia farmacologica.

Veniva dato atto in sentenza della mancanza, sul certificato, dell’indicazione dell’assoluta impossibilità di comparire, nonchè della mancata risposta al medico recatosi presso il domicilio del ricorrente per eseguire la visita fiscale disposta dalla Corte d’appello.

Tale ultima circostanza viene ritenuta sintomo evidente della piena capacità del ricorrente di allontanarsi dal domicilio.

Le considerazioni svolte sul punto dalla Corte territoriale appaiono del tutto legittime e non vengono minimamente intaccate dalle argomentazioni prospettate in ricorso, che restano mere asserzioni di situazioni alternative del tutto ipotetiche.

Invero, con riferimento all’impedimento a comparire dell’imputato, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che il giudice, nel disattendere il contenuto del certificato medico, deve considerare la natura dell’infermità e valutarne il carattere impeditivo e può pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l’imputato (SS. UU. n. 36635, 11 ottobre 2005, richiamata nella decisione impugnata).

Successivamente si è anche affermato che la produzione del certificato medico non esclude la possibilità, per il giudice, indipendentemente da una verifica fiscale e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza, di procedere ad una valutazione circa l’effettiva impossibilità di comparire in giudizio se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la salute, che non può ritenersi preclusa dall’indicazione generica della necessità di riposo e cure (Sez. 5 n. 5540, 5 febbraio 2008; v. anche Sez. 6 n. 24398, 16 giugno 2008, entrambe citate dalla Corte territoriale) aggiungendo, successivamente, che la certificazione medica, per essere adeguatamente apprezzata, deve contenere anche quelle indicazioni (quali, nella fattispecie, il grado della febbre) che si rivelano essenziali alla valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento (Sez. 6 n. 20811, 3 giugno 2010).

Sul punto, pertanto, la decisione impugnata si palesa come del tutto immune da censure.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla inverosimiglianza e fantasiosità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

Il ricorrente ripropone, in realtà, argomenti già prospettati al giudice dell’appello il quale, a sua volta, individuava nell’atto di gravame la sostanziale riproposizione delle argomentazioni difensive sottoposte all’attenzione del giudice di prime cure e da questi motivatamente disattese.

Le generiche doglianze formulate in ricorso non intaccano minimamente la solidità dell’apparato logico-argomentativo della decisione impugnata la quale, lungi dal porsi in contrasto con le disposizioni di legge che il ricorrente assume violate ma non indica, si presenta anche del tutto priva di salti logici e carenze motivazionali.

La Corte territoriale ha infatti proceduto ad un puntuale richiamo degli argomenti posti a sostegno della decisione di primo grado, dando atto della genuinità e veridicità del racconto della giovane vittima di abuso sessuale, ripetuto in quattro diversi momenti, da ultimo in occasione di incidente probatorio e la cui spontaneità risultava suffragata dalle dichiarazioni del padre di un amico della piccola vittima presso l’abitazione del quale questi si era rifugiato dopo essere riuscito ad allontanarsi dal ricorrente.

I giudici dell’appello, legittimamente richiamando, per relationem, il contenuto della decisione del giudice di prime cure, recante la quasi totale trasposizione delle dichiarazioni del minore, ricordano come la consulenza psicologica disposta sullo stesso ne avesse accertato la intrinseca attendibilità, evidenziando anche i diversi indicatori di abuso.

Aggiungevano, inoltre, la ritenuta assenza di dati sintomatici rappresentativi di intenti ritorsivi o calunniatori e richiamavano le argomentazioni svolte dal G.U.P. per disattendere le allegazioni difensive, ponendo l’accento, in particolare, sull’esistenza di riscontri esterni al racconto del minore, consistenti in una certificazione medica che documentava la presenza di lesioni alle gambe compatibili con le riferite percosse che il bimbo dichiarava di aver subito al momento della fuga, nelle dichiarazioni dei familiari dello stesso ed in quelle delle persone amiche presso le quali aveva trovato rifugio dopo l’episodio.

Rilevavano come la genuinità del racconto fosse suffragata anche dalla circostanza che il minore, al quale vennero sottoposte oltre 500 foto segnaletiche, non ebbe ad indicare nessuno come l’autore della violenza, mentre riconobbe il ricorrente, del tutto casualmente ed a distanza di mesi, mentre si trovava a passeggio con un nipote.

Tali dati fattuali sono stati nuovamente valorizzati dalla Corte d’Appello nel fornire puntuale risposta ai motivi di gravame e ritenere pienamente condivisibile il contenuto della decisione di primo grado.

Viene così ribadita la documentata spontaneità dell’accusa ed evidenziato come lo stesso racconto del ricorrente, il quale aveva ammesso l’incontro, prospettando però una versione alternativa dei fatti, fornisse ulteriore conferma alle affermazioni del bambino, così come la sua reazione emotiva in occasione del successivo incontro casuale e l’appellativo di "maniaco", utilizzato per indicare il ricorrente, che dimostrava l’inverosimiglianza del racconto di quest’ultimo, il quale aveva riferito di un vero e proprio adescamento con proposte oscene da parte del minore stesso.

La sentenza impugnata, nel sottolineare la veridicità del racconto della persona offesa nel suo nucleo essenziale, chiarisce anche, in modo del tutto convincente, le ragioni per le quali potevano ritenersi giustificate alcune imprecisioni che non inficiavano comunque la tenuta complessiva dello stesso.

Anche sotto tale profilo, dunque, la sentenza impugnata supera agevolmente il vaglio di legittimità quanto a coerenza, logicità e completezza della motivazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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