Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-05-2011) 21-06-2011, n. 24843

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’I giugno 2010, la Corte d’Appello di Torino riformava parzialmente, riducendo la pena inflitta, la pronuncia del G.U.P. del Tribunale di quella città, del 1 marzo 2007, con la quale B.S. era stato condannato per violenza sessuale nei confronti del nipote G., minore degli anni dieci ed affetto da lieve ritardo mentale, concretatasi nell’indurlo a farsi toccare il pene.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un unico motivo di ricorso deduceva la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Osservava, in primo luogo, che la Corte territoriale, nel valutare l’attendibilità del minore, non affrontava in alcun modo la censura difensiva concernente la obiettiva assenza di documentazione delle dichiarazioni rese, raccolte in plurime occasioni senza alcuna cautela volta a preservarne l’attendibilità.

Rilevava anche la natura suggestiva delle domande poste al minore in occasione dell’incidente probatorio, che avevano indotto il G.I.P. anche ad un palese travisamento del fatto (facendo affermare al minore una cosa che, in altra circostanza, egli aveva attribuito allo zio e non al nonno) che la Corte territoriale non aveva rilevato.

Evidenziava poi la natura contraddittoria di tali dichiarazioni, evidentemente condizionate anche dalla frequentazione di un ambiente familiare fortemente sessualizzato e dagli abusi che lo stesso aveva subito ad opera dello zio, nonchè la sostanziale mancanza di motivazione relativamente all’affermazione della Corte territoriale circa il ruolo svolto dal ricorrente, ritenuto dal giudice di prime cure quale causa primaria della catena di abusi verificatisi in ambito familiare.

Concludeva che la Corte d’Appello aveva fondato la propria decisione su argomenti non sostenuti da adeguati dati probatori.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Esso si basa, sostanzialmente, sulla negazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal minore sessualmente abusato.

La Corte del merito, contrariamente a quanto affermato in ricorso, ha fornito ampia, dettagliata ed esaustiva indicazione delle ragioni poste a sostegno della propria decisione.

Premessa infatti una accurata descrizione del problematico contesto familiare entro il quale si è verificata la vicenda per cui è processo, viene proposta una analitica rassegna degli accertamenti espletati, dalle prime rivelazioni del minore alla conclusione delle indagini preliminari, giungendo poi alla indicazione dei dati significativi della sentenza appellata.

A tale proposito viene chiarito come il giudice di prime cure abbia valorizzato la spontaneità delle dichiarazioni del minore, l’assenza di condizionamenti e la presenza di riscontri esterni, pervenendo ad un giudizio positivo circa la credibilità del bimbo.

A conclusioni analoghe giunge anche la Corte territoriale, tenendo conto delle doglianze espresse nei motivi di appello.

In particolare, sul tema della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, i giudici di merito hanno richiamato la descrizione analitica degli esiti delle indagini, facendo riferimento ai verbali delle dichiarazioni endoprocedimentali, ricordando anche come il minore abbia riferito degli abusi subiti in sette diverse occasioni, tanto nel corso del procedimento, quanto durante gli incontri con gli operatori che lo seguivano, i quali poi ne avevano dato atto nelle proprie relazioni.

Tali affermazioni, che forniscono adeguata risposta alla lamentata mancanza di documentazione delle dichiarazioni acquisite, tengono conto non soltanto del contenuto delle dichiarazioni medesime, che viene analizzato evidenziandone spontaneità e veridicità, confermate dalla uniformità dei racconti, dal corretto inquadramento spazio-temporale, dalla specifica attribuzione di singoli comportamenti a soggetti diversi e dalla consapevolezza, nel minore, del fatto che le accuse che egli muoveva erano state la causa dell’allontanamento dai genitori che egli viveva con particolare sofferenza, ma anche dei riscontri delle attività di intercettazione e dal comportamento tenuto dal ricorrente subito dopo l’avvio delle indagini.

Anche l’analisi delle risultanze dell’incidente probatorio non presenta alcun profilo di contraddittorietà.

Il giudici dell’appello hanno infatti affrontato esaurientemente il tema della suggestività di alcune domande, rilevata anche dal giudice di prime cure, concludendo per la validità dell’atto e rimarcando come la resistenza dimostrata dal minore alla reiterazione delle domande costituiva ulteriore prova di attendibilità, respingendo, sul punto, le doglianze mosse con l’atto di appello.

Tali doglianze vengono reiterate in ricorso con l’aggiunta che, su un’unica domanda, la Corte territoriale non avrebbe rilevato un errore nel quale sarebbe incorso il G.U.P. riferendosi a precedenti dichiarazioni (peraltro con la precisazione "… se non ricordo male" riportata nella trascrizione inserita in ricorso).

Tale osservazione non inficia tuttavia il corposo compendio probatorio che i giudici del merito hanno potuto valorizzare per pervenire alla affermazione di penale responsabilità del ricorrente.

La sentenza impugnata è, peraltro, estremamente lineare nell’illustrare il percorso logico argomentativo seguito dai giudici sia per quanto attiene la credibilità del minore, valutata con il necessario rigore e tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti e relativi non solo alla sua persona, ma anche al contesto familiare ed alla modalità delle prime rivelazioni sugli abusi subiti, sia riguardo alla specifica condotta attribuita al ricorrente.

Si tratta di una motivazione coerente, immune da vizi logici che non presenta carenze o profili di contraddittorietà, superando agevolmente il vaglio di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado che liquida in complessivi Euro 1.800,00 oltre ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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