Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 21-06-2011, n. 24955 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GUP presso il Tribunale di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha dichiarato ndp perchè il fatto non sussiste nei confronti di M.E. e di Me.Sa.. La prima è imputata di diffamazione a mezzo stampa in quanto autrice di un articolo, pubblicato in data 11.12.2008, nel corso del quale offendeva la reputazione di P.A., riferendo di una indagine relativa "alla vendita" delle risposte ai test di ammissione presso la Facoltà di Scienze infermieristiche dell’Università Cattolica del SC di Roma. Nell’articolo si sosteneva che un funzionario del predetto ateneo aveva ceduto le risposte in cambio di soldi e di prestazioni sessuali.

Il Me. è imputato del delitto ex art. 57 c.p., perchè, in qualità di direttore del giornale, aveva omesso il dovuto controllo e aveva, in tal modo, consentito la pubblicazione della notizia diffamatoria.

Secondo il giudicante, risulta pubblicata una notizia vera, in quanto esisteva una indagine giudiziaria relativa ai fatti riferiti nell’articolo. Con riferimento a tali fatti, il P. era stato destinatario di una misura restrittiva. Il procedimento si era poi concluso in maniera per lui favorevole. La notizia, tuttavia, attinta da fonti giudiziarie, era comunque lecitamente pubblicarle.

Osserva ancora il GUP, nella sua sentenza, che, per altro, il "funzionario" di cui all’articolo a firma della M. non era sicuramente identificabile nel P., attesa la dimensione della Università Cattolica presso la quale egli presta servizio. Manca quindi un elemento materiale del reato di diffamazione, come contestato. Ricorrono per cassazione i difensori del P. e deducono contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza.

La notizia pubblicata non corrisponde affatto al vero. Dall’esame degli atti giudiziaria non emerge che il P. avesse richiesto prestazioni sessuali in cambio della comunicazione delle risposte ai testai ammissione. Tale condotta è stata contestata ad altro soggetto coinvolto nell’indagine ( T.D.), come si evince chiaramente, ad es. da fol. 347 della richiesta di misura cautelare emessa dal competente PM. E’ evidente, dunque, l’errore nel quale è incorso il giudicante.

Con il ricorso, poi, si deduce anche violazione degli artt. 51 e 57 c.p. e art. 13 legge stampa. Il diritto di cronaca non è stato correttamente esercitato, sia in considerazione della ricordata non rispondenza al vero della notizia, sia in quanto oggetto della cronaca avrebbe dovuto essere un provvedimento giudiziario, che avrebbe dovuto essere presentato come tale, vale a dire come ipotesi dell’accusa, e non il suo contenuto, rappresentato come verità già accertata.

Quanto alla riconducibilità della notizia al P., ancora una volta, con il ricorso, si deduce illogicità della motivazione, atteso che il ricorrente è l’unico funzionario competente con riferimento al servizio e al settore ai quali si fa riferimento nell’articolo. E’ poi evidente che, in ogni caso, nell’ambiente universitario, fu più che agevole individuare nel ricorrente il soggetto che avrebbe scambiato notizie riservate contro favori sessuali. E ciò anche perchè, da un lato, i docenti della predetta Università potevano accedere, per il loro ruolo, a un servizio di rassegna stampa on line, dall’altro, una perquisizione eseguita dai Carabinieri proprio nell’ufficio del P. aveva reso evidente (o comunque indicato come probabile) che proprio nei suoi confronti fossero in corso indagini.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato emerita accoglimento.

La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Roma.

La motivazione della sentenza impugnata raggiunge picchi di allarmante illogicità nella parte in cui sostiene che, non essendo stato indicato nominatim il P. nell’articolo, lo stesso non era identificabile come il funzionario che avrebbe ceduto le rispose ai quiz in cambio di favori sessuali, estorti alle aspiranti matricole della facoltà di Scienze infermieristiche.

L’assunto, se può esser vero per la maggior parte dei lettori del quotidiano sul quale l’articolo della M. fu pubblicato, non è certo vero – in astratto e in linea generale – per le persone interne all’ambiente universitario; quanto meno, per quel che riguarda l’ateneo nel quale il ricorrente prestava servizio.

Il giudicante avrebbe dovuto formare il suo convincimento avendo riguardo alla funzione in concreto esercitata dal P. e alle sue "disavventure" giudiziarie. Se risponde al vero il fatto che l’ufficio del P. fu perquisito e che il predetto fu oggetto di una richiesta di misura cautelare (eseguita), il GUP avrebbe dovuto porsi il problema dell’eventuale conoscenza di tali episodi nell’ambiente di lavoro della PO. Il giudicante, per altro, interpreta anche in maniera errata la giurisprudenza che cita (ASN 200002135 – RV 215476), atteso che ciò che rileva per la individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa – in mancanza di indicazione specifica, ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili a un determinato soggetto – è la deducibilità, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita.

Vale a dire che, in mancanza di indicazione specifica, è certamente sufficiente il riferimento a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili a un determinato soggetto (ASN 200428661 – RV 229313).

Nè può rilevare il numero delle persone cui la notizia sfavorevole sia pervenuta o il numero delle persone che abbia individuato il soggetto denigrato.

La diffamazione, come è noto, presuppone la comunicazione con più persone, vale a dire con un numero superiore a una. E la diffamazione a mezzo stampa, sotto questo aspetto, non fa eccezione.

Quanto alla verità della notizia, è certamente esatto quel che sostiene il ricorrente.

In tema di cronaca giudiziaria, infatti, la notizia è costituita dal provvedimento o comunque dalla condotta degli "attori" del procedimento.

Se il resoconto giornalistico è fedele al contenuto del provvedimento stesso, tanto è sufficiente, atteso che non può certo chiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni prese in sede giudiziaria (ASN 201043382 – RV 248950); ma se non lo è, allora il giornalista deve assumersi la responsabilità di propagare una notizia (evidentemente) appresa aliunde e deve, anteriormente, eseguire i necessari controlli per stabilirne la veridicità.

Orbene, se al P. non fu addebitata la condotta contra legem di cui si fa parola dell’articolo (soluzione dei quiz contro prestazioni sessuali), non è dubbio che la notizia debba essere considerata non corrispondente al vero, non essendo certamente rilevante, sotto tale profilo, che al predetto siano state eventualmente addebitate dalla AG procedente altre e diverse condotte costituenti reato. Il giudice di rinvio dovrà, pertanto, procedere a nuovo esame, tenendo presente i (consolidati) principi di diritto sopra illustrati e tendendo altresì nella dovuta considerazione – se rilevante nel caso sottoposto al suo esame – che, sempre in tema di cronaca giudiziaria, il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori, quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo, e dunque con tutte le implicazioni eventualmente favorevoli o sfavorevoli per l’indagato.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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