Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Riferisce la ricorrente di avere acquistato nel 1959 l’aera fabbricabile sita nel territorio di Terracina, località "Tenute Ponte", confinante da un lato con l’arenile demaniale, in relazione a cui ha ottenuto in data 13 agosto 1962 licenza edilizia per la realizzazione di un villino con giardino adiacente al confine con l’area demaniale.
Espone ancora di avere chiesto ottenuto dalla Capitaneria di Porto competente in data 14 dicembre 1963 l’autorizzazione ai sensi dell’art. 55, cod. nav., attesa la insistenza delle opere edili da eseguire entro una zona di trenta metri dal confine con l’arenile demaniale.
In ragione della esposizione dell’immobile edificato sul fronte mare alle frequenti e violente mareggiate si rendeva necessario eseguire in via d’urgenza a difesa e a rinforzo della palificazione di legno esistente sullo stesso lato un’opera costituita da una doppia fila di pali infissi nel terreno di esclusiva proprietà della ricorrente.
Pertanto, giusta relazione e progetto tecnico in data 16 gennaio 1997, la ricorrente chiedeva all’Ufficio Circondariale Marittimo di Terracina l’autorizzazione ad eseguire un intervento costituito dal posizionamento davanti alla palificazione di una serie di contenitori di plastica ricolmi di sacchetti ripieni di ghiaietto con a completamento una "scarpata" di pietrame discendente verso il mare; detta richiesta, che veniva trasmessa alla competente Capitaneria di Porto con parere favorevole, in data 19 febbraio 1997, era, tuttavia, subordinata ad un lungo iter, essendo necessaria la previa acquisizione da parte della stessa Capitaneria di Porto della deroga della Regione Lazio a delibera che vieta l’esecuzione di opere interessanti il pubblico demanio marittimo, ed ai pareri del competente Ufficio del Genio Civile, dell’Assessorato Urbanistica e Casa della Regione Lazio, dell’Assessorato al Turismo e Spettacolo della stessa Regione, della Circoscrizione Doganale di Roma 1^ e del Comune di Terracina.
Nelle more dell’iter procedimentale attivato, si rendevano non ulteriormente differibili i proposti lavori di rinforzo della esistente palificazione, onde proteggere le stesse fondamenta del villino, poste sulla semplice sabbia, che, a seguito dell’avvicinarsi del mare, e progressiva scomparsa dell’arenile, erano in imminente pericolo di rovina.
Di talché, la ricorrente, a causa dell’aggravamento della situazione sopra esposta, consistente in un dislivello nella pavimentazione del giardinetto a causa del sotterraneo "sgrottamento" operato dal mare e nel crollo della parte già lesionata del muro di recinzione e relativo pilastrino in angolo con la parte terminale della palificazione, fece eseguire la struttura sopra descritta lungo il lato di mt. 18.10 fronte mare a difesa del retrostante giardinetto e del connesso villino con infissione a più di due metri nel terreno di esclusiva proprietà di pali in legno alti quattro metri in doppia fila e la collocazione tra l’una e l’altra fila per l’altezza fuori terra dei pali, di sacchetti ripieni di ghiaietto, il cui livello veniva ricostituito man mano che i sacchetti "scendevano" per il sotterraneo "sgottamento".
Tale difesa "mobile" ha consentito di attendere il lavori di ricostruzione dell’arenile, evitando che l’immobile subisse frattanto danni irrimediabili.
Con il primo dei ricorsi in epigrafe, n. 13528/1997 impugna, pertanto, il provvedimento con cui la Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Gaeta ha ingiunto di rimettere in pristino lo stato dei luoghi, mediante rimozione delle opere abusivamente realizzate nel termine ivi indicato, lamentandone l’illegittimità alla stregua dei seguenti motivi in diritto:
1) Violazione dell’art. 54, cod. nav., in relazione all’art. 28, cod. nav., per quanto concerne la supposta occupazione abusiva dell’area demaniale marittima coperta di contenitori pieni di ghiaietto in sacchetti a ridosso della palificazione e su cui si stende la scarpata di pietrame.
2) Violazione degli artt. 28 e 54, cod. nav., in relazione all’art. 28, c.p.p., per la supposta abusiva occupazione dell’area su cui insiste la palificazione.
3) Violazione ulteriore dell’art. 54, cod. nav., e violazione dell’art. 55, cod. nav., in relazione all’art. 2053, c.c., e all’art. 677, c.p., e conseguente illegittimità del provvedimento di ingiunzione della C. P. di Gaeta sotto il profilo dell’eccesso di potere.
Conclude la parte ricorrente chiedendo, in accoglimento degli esposti mezzi di censura, l’annullamento del provvedimento impugnato.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’intimata Capitaneria di Porto di Gaeta, senza, peraltro, depositare documenti o spiegare scritti difensivi.
Con ordinanza n. 2504/09 del 20 novembre 1997, l’adito Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, incidentalmente proposta, tenuto conto della sussistenza di elementi di fumus boni juris.
Con il secondo dei ricorsi in epigrafe, n. 14931/1997, impugna la parte ricorrente la diffida emessa dal Comune di Terracina a procedere al ripristino dello stato preesistente, rimuovendo le opere abusivamente realizzate in zona sottoposta a vincolo di tutela ambientale.
Questi i motivi di ricorso:
1) Violazione di legge e difetto dei presupposti con particolare riferimento all’art. 1, legge 28/1/1977, n. 10
2) Violazione di legge e difetto dei presupposti con particolare riferimento all’art. 14, legge 28/2/1985, n. 47 e in relazione all’art. 28, c.p.p. per la supposta abusiva occupazione dell’area sulla quale insiste la palificazione.
3) Difetto dei presupposti richiesti dalla legge 8/8/1985, n. 431, art. 1, lett. a) e c).
4) Violazione ulteriore delle citate norme anche con riferimento all’art. 2053 c.c., ed all’art. 677, c.p., e conseguente illegittimità dell’opposto provvedimento del Comune di Terracina sotto il profilo dell’eccesso di potere.
Conclude la parte ricorrente chiedendo, in accoglimento degli esposti mezzi di censura, l’annullamento del provvedimento impugnato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Terracina per resistere al ricorso, eccependone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 2747/1997 del 10 dicembre 1997 l’adito Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, incidentalmente proposta anche nel secondo ricorso, tenuto conto che le opere abusive sono state realizzate a difesa di un immobile autorizzato, per motivi di necessità, in un tratto di costa soggetta ad erosione marina.
Nelle more della definizione di entrambi i giudizi nel merito la ricorrente è deceduta; si sono, dunque, costituiti, in data 29 marzo 2010 gli eredi che, con memorie depositate il successivo 31 dicembre 2010, in entrambi i ricorsi, hanno rappresentato che, a seguito dei lavori che hanno interessato tutto il litorale di Terracina, mediate opposizione di setti ortogonali in sacchi o scogli, si è riformato l’arenile e la vegetazione intorno agli immobili realizzati a distanza regolare dalla costa, ripristinandosi la situazione esistente al tempo della concessione, e, ribadendo i già esposti mezzi di censura, hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi stessi.
Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Si dispone, preliminarmente, la riunione dei ricorsi in epigrafe, attesa la sussistenza di evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.
Come esposto in narrativa, con il ricorso iscritto al R.G. n. 13528/1997, la parte ricorrente impugna l’ingiunzione di rimessa in pristino lo stato dei luoghi, mediante rimozione di opere abusivamente realizzate con occupazione di mq. 102,5 ca. di suolo demaniale, nella qualità di proprietaria di un lotto di terreno a confine con il pubblico demanio marittimo.
Le opere effettuate in assenza di preventiva autorizzazione consistono in:
1) una doppia palizzata realizzata lungo l’intero fronte mare del lotto di terreno di proprietà mediante posizionamento di una doppia fila di pali in legno di mt. 2.20 ca. di altezza, avente all’interno alcuni sacchi di ghiaia;
2) recinzione con rete metallica di altezza di mt. 1.20 ca. installata alla sommità della palizzata interna;
3) installazione di 14 contenitori in plastica (lunghezza mt. 1.20 x larghezza mt. 0.80 x altezza mt. 0.70) posizionati alla base della palizzata esterna;
4) realizzazione, a copertura completa dei contenitori di cui al punto precedente e per tutta la lunghezza del fronte mare (mt. 18.30 ca.), di una scogliera con massi, pietre naturali e riempimento di pietrisco, larga mt. 5 ca. ed avente un’altezza media dal livello del mare di mt. 2.50 ca.;
5) realizzazione di una colonna ottenuta mediante il posizionamento sullo spigolo di levante della palizzata interna di blocchetti precompressi e gettata di cemento.
Con il ricorso iscritto al R.G. n. 14931/1997, la parte ricorrente reclama, altresì, l’annullamento della diffida del Comune di Terracina al ripristino dello stato preesistente, rimuovendo le medesime opere di cui sopra siccome abusivamente realizzate su un tratto di pubblico demanio marittimo di mq. 102,50 ca., mediante realizzazione di una doppia palizzata con pali di legno alti mt. 2,20 ca., con all’interno dei sacchi di ghiaia per l’intero fronte mare della lunghezza di mt. 18,30 ca., ed alla sommità una rete metallica, atteso che la zona interessata dall’intervento risulta sottoposta a vincolo di tutela ambientale di cui all’art. 1, lett. a) e c), legge 431/85 e che le opere sono prive del prescritto titolo.
Occorre, ancora, evidenziare, in punto di fatto, che a seguito della realizzazione di importanti opere che hanno interessato il litorale di Terracina si è riformato l’arenile e la vegetazione intorno agli immobili ivi realizzati a distanza regolare dalla costa, con ripristino, pertanto della situazione esistente al tempo della concessione.
Tale mutamento dello stato dei luoghi, attraverso il ripristino della distanza di rispetto tra le costruzioni a suo tempo regolarmente assentite sul demanio marittimo e la costa, se ha fatto venire meno quelle esigenze di urgenza che avevano indotto la parte ricorrente ad intervenire senza attendere le pure chieste autorizzazioni, realizzando taluni manufatti a presidio della proprietà dal pericolo di smottamento ed erosione marina, non fa, per altrettanto, venir meno l’interesse alla decisione della controversia pendente con due Amministrazioni (marittima e comunale, ognuna per la parte di competenza) che, a suo tempo, hanno ingiunto la demolizione delle opere di cui sopra, perché realizzate abusivamente, tenuto conto che i provvedimenti impugnati non sono frattanto venuti meno, essendone stati solo sospesi gli effetti con le ordinanze n. 2504/09 e n. 2747/1997 di questo Tribunale, in accoglimento delle rispettive istanze cautelari presentate.
Tanto chiarito, ritiene il Collegio che i ricorsi sono fondati.
Ed invero, dal tenore dei provvedimenti impugnati, che sostanzialmente sono identici nelle premesse – rilevazione della esistenza di opera abusiva sul pubblico demanio marittimo – e nella conclusione – ingiunzione di demolizione delle stesse opere – non emerge che le stesse Autorità abbiano tenuto in debito conto la reale consistenza dello stato dei luoghi al momento in cui le stesse opere sono state realizzate.
E’ principio generale che rispetto agli abusi edilizi realizzati sul suolo demaniale marittimo, la p.a. ha una potestà sanzionatoria, ex art. 54, cod.nav., che, non avendo natura possessoria, né tanto meno petitoria, può essere esercitata in ogni tempo a prescindere dall’eventuale lasso di tempo intercorrente tra l’evento abusivo e il suo accertamento.
Per altrettanto, l’esercizio dei poteri repressivi postulati dall’art. 54 citato (che introduce l’obbligo della capitaneria di porto di ordinare lo sgombero delle aree demaniali abusivamente detenute e la demolizione delle opere eventualmente realizzate) non richiede alcuna particolare motivazione specifica in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dello "status quo" ante rispetto a quello del privato alla conservazione dell’occupazione dell’area demaniale marittima.
Ciò in quanto il connotato della "demanialità" impresso dal legislatore con la classificazione codicistica, esprime una duplice appartenenza dei beni ivi citati: alla collettività e al suo ente esponenziale; la titolarità, peraltro, deve essere intesa, in senso stretto, come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione.
Pertanto, la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali competenti non è mai fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della "proprietà", ma comporta per l’ente titolare anche la sussistenza di oneri di governance finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene.
Il presupposto, pertanto, che legittima il potere repressivo degli abusi che tendono, per definizione, alla compressione della fruibilità del bene in favore della collettività, è che, in fatto, si sia dato corso alla occupazione del demanio marittimo.
Ai sensi degli art. 28, lett. a), cod. nav. e 822 c.c. fanno parte del demanio marittimo, fra l’altro, il lido e la spiaggia.
Per lido del mare si intende quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare, da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, ragione per cui è impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo.
La spiaggia è costituita non solo da quei tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l’arenile, cioè, quel tratto di terraferma che risulti relitto dal normale ritirarsi delle acque e che è idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via solo potenziale. Pertanto, perché l’arenile sia ricompreso nel demanio marittimo non è sufficiente che sia derivato dall’abbandono del mare, ma è necessario che non abbia altresì perso l’attitudine a realizzare i pubblici usi del mare.
Nel caso che ne occupa, invero, come dato evincere dalla copiosa documentazione versata in atti, anche fotografica, in prossimità della costruzione di proprietà della parte ricorrente non esisteva più né il lido né l’arenile, completamente erosi dalle forti mareggiate, e, dunque, non sussisteva nessun vincolo di destinazione alla collettività del bene demaniale, stante l’impossibilità per questa, neppure in via potenziale, di servirsene, né, per altrettanto, alcun vincolo di tutela ambientale.
Le Amministrazioni parimenti coinvolte nel procedimento ingiuntivo non hanno, allora, considerato in modo adeguato le circostanze in fatto allora esistenti che hanno indotto la parte ricorrente a predisporre ogni presidio finalizzato alla preservazione del bene a suo tempo assentito, sul presupposto del venir meno, nel corso del tempo, di quella fascia di rispetto che, se non soffre alcuna occupazione permanente di cose, dovendo essere preservata la piena funzionalità all’uso pubblico, allo stesso tempo aveva costituito quel baluardo di sicurezza dei beni immobili legittimamente autorizzati, ponendosi a barriera tra le stesse e i fenomeni marini.
Una volta venuto meno l’arenile ed il lido a causa dei fenomeni naturali, la cui sussistenza, peraltro, non è stata smentita dalle controparti, ma è avvalorata dai successivi interventi realizzati sul tratto di costa in questione, non può essere ragionevolmente contestata alla ricorrente l’abusività della occupazione posta a base degli impugnati provvedimenti, che, invece, era tenuta ad inibire anche la sola minaccia di rovina dell’immobile di proprietà, in ragione di tale titolo, che impone un generale obbligo di conservazione e vigilanza ai proprietari di edifici.
Il Collegio, pertanto, non può che confermare quanto già rilevato in sede cautelare, atteso che la presunta occupazione abusiva, peraltro realizzata a difesa di un immobile regolarmente autorizzato precedentemente dall’amministrazione marittima, non solo è stata realizzata per motivi di necessità, ma insisteva su un tratto di costa che, per effetto dell’erosione marina, aveva perso quelle caratteristiche funzionali all’uso comune, che sole avrebbero giustificato il provvedimento ingiuntivo.
Attesa la fondatezza dei ricorsi, gli stessi devono essere accolti, con annullamento, per l’effetto, dei provvedimenti con gli stessi impugnati.
Rimangono riservate alle Amministrazioni resistenti, ognuna per la parte di competenza, le determinazioni che le stesse riterranno di adottare alla stregua delle intervenute modifiche dello stato dei luoghi.
Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese di entrambi i giudizi tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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