Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 21-06-2011, n. 24836 Costruzioni abusive e illeciti paesaggistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 19.11.2009 la Corte d’Appello di Potenza confermava la condanna alla pena dell’arresto e dell’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a L.C.M. quale colpevole di avere eseguito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, un pontile in profilati di ferro con sovrastante tavolato ancorato agli scogli con cemento, nonchè di avere eseguito innovazioni non autorizzate all’interno dell’area demaniale oggetto della concessione rilasciatagli il 28.05.2002 fette accertato il 9 agosto 2004.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 27 Cost. e agli artt. 494 e 503 c.p.p.; contraddittorietà della motivazione sull’affermazione di responsabilità basata sull’erroneo assunto che il silenzio abbia significato probatorio.

Invece il silenzio garantito all’imputato come oggetto di un suo diritto processuale non può essere utilizzato quale tacita ammissione di colpevolezza e neppure può essere utilizzato come elemento idoneo a completare una prova insufficiente offerta dall’accusa valorizzando tale contegno negativo quale indizio di reità.

Aggiungeva che alcuna prova era emersa a suo carico e che i reati erano prescritti perchè non tutti i rinvii del dibattimento erano computabili nella sospensione dei termini prescrizionali.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Sull’affermazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 54 e 1161 c.n. la contravvenzione paesaggistica non è stata investita dall’appello il ricorso non è puntuale perchè censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell’imputato e confutata ogni obiezione difensiva.

E’ pacifico orientamento di questa Corte che la rinuncia dell’imputato a rendere l’interrogatorio e a non difendersi costituisce esercizio di un suo diritto costituzionale (come riconosce la stessa sentenza impugnata), sicchè dall’esercizio di tale diritto il giudice non può dedurre, neppure indirettamente, un elemento o un indizio di prova a carico del prevenuto, dato che nel nostro ordinamento l’imputato ha il diritto di non parlare, mentre l’onere della prova è a carico dell’accusa.

Quindi, in tema di valutazione della prova, non è consentito al giudice valorizzare, ai fini della decisione, comportamenti – commissivi o omissivi – dell’imputato che siano manifestazione di diritti soggettivi e facoltà processuali che l’ordinamento gli attribuisce quali espressione del diritto di difesa e di libera scelta della strategia processuale ritenuta più opportuna; strategia che ben può porsi in atto anche attraverso il silenzio Cassazione Sezione 5^ n. 2337/1999 RV. 212618); Sezione 3^ n. 9239/2010 RV. 246233.

Nella specie, però, tale principio è stato rispettato perchè i giudici di merito non hanno basato l’affermazione di responsabilità sulla condotta di silenzio dell’imputato ma su una serie di logiche considerazioni, poggianti su obiettivi dati fattuali, che depongono inequivocabilmente nel senso che l’illecito sia da attribuire al predetto, quale autore dell’illecito, stante che, trattandosi di opera funzionalmente e strumentalmente asservita alla sua struttura (stabilimento balneare installata in area demaniale a lui data in concessione), nessun’altra persona avrebbe avuto interesse a eseguire o a commissionare un’opera consistente, per le sue caratteristiche oggettive, in una durevole modificazione dell’area da sfruttare a fini commerciali.

Correttamente, perciò, è stato osservato dalla corte territoriale che l’imputato non aveva opposto alcuna seria obiezione alle ragionevoli considerazioni del primo giudice.

Il ricorrente sostiene che, alla stregua del tempus commissi delicti specificato nella contestazione 9/082004, il reato deve ritenersi estinto per prescrizione dovendo il termine massimo di anni 4 mesi 6 essere aumentato, per rinvii del dibattimento imputabili all’imputato e al difensore, di soli 147 giorni.

La censura è infondata perchè, avendo l’innovazione determinato un’occupazione abusiva dell’area autorizzata, si configura il reato di arbitraria occupazione di area demaniale che ha natura permanente, sicchè il dies a quo per calcolare il tempo della prescrizione coincide con la data della sentenza di primo grado (16.12.2008).

Il reato, quindi, non è prescritto.

Grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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