T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 22-06-2011, n. 916 Agricoltura e alimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente A.A.C.A., con sede a Filago in Provincia di Bergamo, svolge attività di produzione di latte.

2. Come ogni produttore di latte la ricorrente deve mantenersi entro il quantitativo di riferimento individuale (secondo la definizione dell’art. 6 del Reg. CE 29 settembre 2003 n. 1788/2003), ovvero entro la quota individuale (nella terminologia dell’art. 67 del Reg. CE 22 ottobre 2007 n. 1234/2007), al fine di evitare l’applicazione del prelievo sulle eccedenze nell’ipotesi di superamento del quantitativo di riferimento nazionale (ovvero della quota nazionale) spettante all’Italia in base ai suddetti regolamenti (v. rispettivamente l’allegato I e l’allegato IX). Poiché l’Italia è uno dei (pochi) Stati dell’Unione in cui si è verificato storicamente e continua ad esservi un problema di sovrapproduzione di latte rispetto alla quota nazionale (v. considerando n. 8 del Reg. CE 19 gennaio 2009 n. 72/2009), l’esigenza per i singoli produttori di acquisire quote individuali aggiuntive è particolarmente rilevante. Questo almeno fino alla scadenza del regime delle quote: la liberalizzazione del mercato è (attualmente) prevista a partire dal 1 aprile 2015.

3. Poiché la capacità produttiva della propria azienda è superiore alla quota individuale, la ricorrente ha stipulato in data 21 febbraio 2007 un contratto di affitto di quote latte con l’azienda inglese RG Emmott avente sede a Disley (Cheshire). Il contratto prevede l’acquisto da parte della ricorrente di diritti per complessivi 102.987 Kg di latte, che si sommano alla quota individuale originaria pari a 119.667 Kg.

4. Una volta stipulato il contratto la ricorrente ne ha chiesto la validazione alla Provincia di Bergamo. Quest’ultima tuttavia, con provvedimento del dirigente del Servizio Produzioni Agricole del 15 marzo 2007, ha negato la registrazione dell’affitto delle quote articolando la propria posizione in quattro punti che si possono così sintetizzare:

(i) la cessione a qualunque titolo di quote individuali tra produttori di Stati diversi dell’Unione non è prevista dalla normativa nazionale di cui al DL 28 marzo 2003 n. 49;

(ii) questo tipo di cessione non è previsto neppure dalla normativa comunitaria, anzi l’art. 18 par. 2 del Reg. CE 1788/2003 stabilisce espressamente che il trasferimento di quantitativi individuali senza corrispondente cessione di terre avvenga a livello nazionale o in ambiti ancora più ristretti, senza alcuna menzione degli scambi transfrontalieri;

(iii) la giurisprudenza amministrativa si è espressa in senso contrario alla libera circolazione delle quote individuali tra gli Stati dell’Unione (v. TAR Brescia 5 giugno 2006 n. 679);

(iv) la stessa Commissione Europea in un parere (il riferimento sembra diretto alla nota della Direzione Generale Agricoltura e Sviluppo Agricolo del 7 agosto 2006) ha espresso una posizione contraria al passaggio di quote individuali (in quel caso dalla Gran Bretagna e dall’Ungheria all’Italia), in quanto il Reg. CE 1788/2003 rende ogni Stato dell’Unione responsabile della propria quota nazionale e non prevede specificamente il trasferimento da uno Stato all’altro.

5. Contro il suddetto provvedimento la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato l’11 maggio 2007 e depositato il 7 giugno 2007. La tesi della ricorrente si basa sulla natura negoziabile delle quote individuali, espressamente riconosciuta dalla normativa comunitaria. Da tale caratteristica intrinseca deriverebbe quale corollario che alle quote individuali deve essere consentito di passare da uno Stato all’altro senza restrizioni, per il principio di libera circolazione delle merci stabilito dai Trattati, salvo il rispetto del quantitativo complessivo a livello comunitario. Per garantire il limite di produzione comunitario sarebbe sufficiente istituire un registro nazionale delle cessioni transfrontaliere di quote individuali, integrato dalle necessarie notificazioni alla Commissione Europea.

6. Una sollecitazione in questo senso è stata in effetti inviata al Ministero delle Politiche Agricole e alla Regione Lombardia dalla cooperativa La Lombarda, anche nell’interesse dei soci produttori, con lettera del 12 febbraio 2007. Il Ministero ha però respinto il progetto relativo alle cessioni transfrontaliere con nota del 23 febbraio 2007 richiamando il parere della Commissione Europea. Anche la Regione (DG Agricoltura) con nota del 25 maggio 2007 si è espressa negativamente utilizzando argomentazioni analoghe a quelle esposte dalla Provincia nel provvedimento oggetto del presente ricorso.

7. La Provincia, la Regione e le amministrazioni statali interessate si sono costituite in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

8. Sulle questioni proposte dalla ricorrente si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) il mercato comune del latte è sottoposto dal 1984 a una disciplina antiliberistica sul lato dell’offerta (peraltro in Italia, dopo un iniziale periodo di disapplicazione, la normativa comunitaria è stata recepita solo con la legge 26 novembre 1992 n. 468). I regolamenti comunitari prevedono un meccanismo di contenimento della produzione basato sulla fissazione di quote nazionali e di quote individuali (v. art. 1 e 6 del Reg. CE 1788/2003; art. 66 e 67 del Reg. CE 1234/2007). Tale sistema, che impone un sacrificio a tutti i produttori singolarmente intesi, mira al sostegno dei prezzi e quindi garantisce indirettamente il livello di reddito dell’intera categoria;

(b) il meccanismo presuppone un comportamento virtuoso da parte dei produttori ma il contingentamento della produzione è comunque assicurato da un pesante deterrente economico a carico di quanti non rispettano la quota individuale, ossia dal prelievo sulle eccedenze, che si applica quando viene superata complessivamente la quota nazionale (v. art. 1 e 2 del Reg. CE 1788/2003; art. 78 par. 1 del Reg. CE 1234/2007). Gli Stati di appartenenza dei produttori sono responsabili del rispetto della quota nazionale, in quanto da un lato sono debitori diretti verso l’Unione del prelievo sulle eccedenze entro il limite del 99% dell’importo dovuto (v. art. 3 del Reg. CE 1788/2003; art. 78 par. 2 del Reg. CE 1234/2007) e dall’altro sono tenuti a riscuotere il prelievo dai produttori responsabili dello splafonamento (v. art. 4 del Reg. CE 1788/2003; art. 79 del Reg. CE 1234/2007);

(c) in un mercato contingentato le quote individuali sono beni giuridici che accrescono il patrimonio delle aziende agricole. Il rilievo economico ha più profili: (1) la possibilità di produrre latte con una concorrenza limitata e quindi con una garanzia implicita di tenuta dei prezzi; (2) il maggior valore della terra (ossia dell’azienda agricola) se ceduta assieme alle quote individuali; (3) il valore di scambio della quota (o parte di quota) non utilizzata, se ceduta o data in affitto senza contestuale cessione di terre;

(d) la natura di bene commerciabile della quota individuale è implicita nella normativa comunitaria ed è coerente con il principio di libera circolazione delle merci (v. art. 23 TCE; art. 28 TFUE). Il diritto comunitario si preoccupa però di salvaguardare la possibilità che gli Stati perseguano finalità di interesse collettivo limitando o regolando lo scambio delle quote. In particolare agli Stati è data la facoltà di (1) istituire una riserva nazionale (da ripartire poi tra i produttori) ritirando le quote individuali non utilizzate, oppure riducendo in modo lineare le quote individuali, o ancora imponendo una trattenuta sulle quote individuali oggetto di trasferimento tra i produttori (v. art. 14 del Reg. CE 1788/2003; art. 71 del Reg. CE 1234/2007); (2) stabilire specifici vincoli alla cessione temporanea di quote individuali, ad esempio limitando gli acquirenti idonei o restringendo la libertà di trasferimento all’interno di ambiti regionali (v. art. 16 del Reg. CE 1788/2003; art. 73 del Reg. CE 1234/2007);

(e) la discrezionalità riconosciuta dal diritto comunitario agli ordinamenti nazionali determina una notevole frammentazione dei regimi delle cessioni di quote individuali a livello dei singoli Stati. Questi ultimi sono comunque responsabili nei confronti dell’Unione del rispetto della quota nazionale anche con riferimento alle quote individuali oggetto di cessione tra i produttori;

(f) occorre a questo punto fare una parentesi per precisare che all’interno della politica agricola comune il sistema delle quote è affiancato da altre misure a sostegno del mercato del latte e del reddito dei produttori. Inizialmente il sistema era basato su un prezzo indicativo del latte (v. art. 3 del Reg. CE 17 maggio 1999 n. 1255/1999) e su prezzi minimi garantiti (prezzi di intervento) per alcuni prodotti derivati, tra cui il burro e il latte scremato in polvere (v. art. 4 del Reg. CE 1255/1999). Essendo prevista una riduzione graduale dei prezzi indicativi e dei prezzi di intervento, erano programmati in funzione compensativa con decorrenza dal 2005 anche pagamenti diretti a favore dei produttori in misura proporzionale alla consistenza delle quote individuali (v. art. 16 e 17 del Reg. CE 1255/1999). Tutte queste misure operano (tendenzialmente) in antitesi rispetto al sistema delle quote, perché, mentre quest’ultimo attraverso il prelievo sulle eccedenze rende pesantemente antieconomico l’incremento della produzione, i prezzi indicativi e di intervento e i pagamenti diretti basati sulle quote individuali incentivano, al contrario, le aziende agricole a produrre quantità maggiori e ad acquisire tramite affitto o altri schemi contrattuali ulteriori quote individuali. Questo era lo scenario nel 2003;

(g) importanti novità sono però state introdotte dalla riforma della politica agricola comune del 2003 (v. Reg. CE 29 settembre 2003 n. 1782/2003; inoltre con specifico riferimento al settore del latte v. Reg. CE 29 settembre 2003 n. 1787/2003). In particolare, il prezzo indicativo del latte è stato eliminato e i prezzi di intervento sono stati ulteriormente ridotti (v. art. 1 del Reg. CE 1787/2003), mentre i pagamenti diretti sono stati così rimodulati: in una fase transitoria (20042007) sono rimasti accoppiati alle quote latte individuali nella forma di premi base e pagamenti supplementari (v. art. 95 e 96 del Reg. CE 1782/2003), in seguito sono stati disaccoppiati dalla produzione e inseriti nel regime di pagamento unico. In base a tale regime i produttori sono titolari di diritti all’aiuto calcolati suddividendo l’importo di riferimento (ossia la media triennale di premi base e pagamenti supplementari percepiti in un dato periodo) per gli ettari di superficie aziendale considerati ammissibili (v. art. 37 e 43 del Reg. CE 1782/2003). In Italia il passaggio del settore lattierocaseario al regime di pagamento unico è avvenuto con il DM 5 agosto 2004 a decorrere dal 1 gennaio 2006. Il regime di pagamento unico disaccoppiato dalla produzione è stato ribadito nel Reg. CE 19 gennaio 2009 n. 73/2009;

(h) dunque se in passato si poteva supporre che il commercio transfrontaliero delle quote individuali fosse potenzialmente in conflitto con la politica agricola comune, in quanto il pieno sfruttamento del quantitativo di latte stabilito per l’intera Unione provocava anche il pagamento dei sussidi collegati al livello della produzione incrementando così la spesa pubblica comunitaria, questa obiezione non ha più lo stesso valore dopo che vi è stato il passaggio al regime di pagamento unico disaccoppiato. Nel nuovo regime le aziende agricole producono per il mercato e non più per i sussidi (con alcune eccezioni, che però dovrebbero rimanere marginali). In questa prospettiva il vincolo territoriale ha un senso non tanto per le quote latte ma per i diritti all’aiuto (che sostengono economicamente l’insediamento di un’azienda agricola su un certo territorio anche allo scopo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche e ambientali). Al riguardo è significativo che per i diritti all’aiuto la cessione sia consentita solo a favore di un altro agricoltore stabilito nello stesso Stato (v. art. 46 del Reg. CE 1782/2003; art. 43 del Reg. CE 73/2009), mentre non è stata espressamente stabilita un’identica limitazione per le quote latte;

(i) in altri termini, se ormai la politica agricola comune ha svincolato gli aiuti dalla produzione lasciando liberi gli operatori economici di produrre secondo le condizioni di mercato, viene meno una ragione strutturale per impedire la cessione transfrontaliera delle quote latte. Questo tipo di liberalizzazione, nel mercato comunitario del latte, opererebbe come una forma di compensazione tra le quote nazionali. I quantitativi trasferiti verrebbero sottratti alla quota nazionale dello Stato del cedente e contestualmente aggiunti alla quota nazionale dello Stato dell’acquirente, mentre il quantitativo comunitario rimarrebbe invariato. Gli acquirenti avrebbero la possibilità di aumentare la produzione, il che dovrebbe consentire alle aziende agricole più motivate di crescere e raggiungere economie di scala che diventeranno particolarmente importanti quando dal 2015 le quote latte saranno completamente abolite. Vi sarebbero poi in via teorica ulteriori benefici: diminuirebbe il rischio di splafonamento, in quanto verrebbe data un’alternativa legale ai soggetti che non intendono lasciare inutilizzata la propria capacità produttiva, e diminuirebbe anche il rischio di una sottoproduzione a livello comunitario (a un simile rischio fa riferimento il considerando n. 8 del Reg. CE 72/2009, il quale sottolinea come nell’attuale situazione di forte domanda interna ed esterna le quote siano un fattore limitativo dell’espansione della produzione e un elemento in grado di falsare la risposta dei produttori ai segnali di prezzo);

(j) vi sono però alcune condizioni che sembrano tuttora necessarie perché la cessione transfrontaliera possa essere praticata: (1) deve essere accertata la rinuncia degli Stati a dirottare le quote individuali non utilizzate verso la riserva nazionale, o a limitare comunque la cessione di quote individuali; (2) deve esistere un effettivo sistema di notificazioni tra gli Stati interessati e tra questi e la Commissione Europea, allo scopo di assicurare con certezza il rispetto del limite complessivo all’interno dell’Unione; (3) occorre stabilire quale Stato assuma la posizione di debitore nei confronti dell’Unione per il caso di splafonamento connesso alla cessione delle quote individuali, e verso quale produttore vada effettuato il prelievo sulle eccedenze e con quali modalità;

(k) nella fattispecie in esame queste condizioni non sussistono o comunque non sono state evidenziate: (1) non è puntualmente documentata la rinuncia della Gran Bretagna a prevedere una riserva nazionale o altre restrizioni alla circolazione delle quote individuali; (2) il sistema di notificazioni non può funzionare se gli uffici della Commissione Europea non annotano le quantità scambiate certificando erga omnes il rispetto della produzione complessiva a livello comunitario; (3) non è stata chiarita tramite accordi bilaterali la ripartizione della responsabilità verso l’Unione degli Stati a cui appartengono i contraenti, né in via sussidiaria questi ultimi hanno offerto garanzie a copertura del rischio di splafonamento.

9. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *