Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-11-2011, n. 22700

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che M.N., proprietario di un suolo edificatorio in (OMISSIS) chiese nel 1991 la condanna dei proprietari del fondo contiguo, C.N. e R.G., ad eliminare la parte della copertura del loro fabbricato invasiva del proprio fondo e a chiudere tre finestre aperte a distanza irregolare, oltre al risarcimento del danno;

che, nella resistenza dei convenuti, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza dell’11 novembre 2005, condannava i convenuti a rimuovere o, in alternativa, a ridurre a luci le vedute e ad eliminare le opere, fra cui il cornicione, invasive del fondo dell’attore;

che l’appello proposto dai soccombenti, nella resistenza del M., è stato respinto dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza in data 14 maggio 2009, sulla base del rilievo che il Tribunale aveva rettamente giudicato alla luce delle risultanze dei titoli di proprietà per cui non era tenuto a richiamare le risultanze catastali; il citato criterio, del resto, era stato seguito dal CTU nominato in sede di rinnovo delle indagini, sicchè doveva escludersi che gli appellanti potessero pretendere una linea di confine comprendente una estensione maggiore di quella da essi acquistata;

che per la cassazione di questa sentenza C.N. e R.G. hanno proposto ricorso, affidato ad un motivo, notificato agli eredi di M.N.; hanno resistito, con controricorso, M.G. e P.M., nella qualità di eredi di M.N.;

che i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata;

che, con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c., praticamente omessa o comunque del tutto insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla legittimazione dell’attore all’esercizio dell’azione;

che, essendo stato il provvedimento impugnato emesso in data 14 maggio 2009, nel presente giudizio trova piena applicazione il disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione;

che, nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito che il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, col-laborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass., n. 11535 del 2008);

che, in particolare, il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ. (…) consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass., ord. n. 20409 del 2008);

che, inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto. (Cass., S.U., n. 7770 del 2009);

che ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007);

che, nella specie, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto: a) la dedotta violazione di legge non è corredata da alcun quesito di diritto, nè questo è desumibile dal contenuto del ricorso; b) il denunciato vizio di motivazione difetta del tutto del momento di sintesi che, nella giurisprudenza di questa Corte, si è ritenuto necessario a corredo della denuncia di un vizio di motivazione; c) il ricorrente ha denunciato contestualmente, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, e ha omesso di articolare quesiti e momenti di sintesi al termine del motivo, specificamente riferiti a ciascuna delle denunce proposte;

che non rileva, da ultimo, il fatto che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore, in quanto, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, art. 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass. n. 22578 del 2009; Cass. n. 7119 del 2010);

che, in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro e in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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