Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 21-06-2011, n. 24829

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’odierno ricorrente è stato condannato in primo grado per i reati di violenza sessuale (ipotesi di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3) in continuazione con tentata violenza privata. In particolare, egli è stato accusato di avere, con violenza, costretto una ragazza minore degli anni 14 a subire toccamenti lascivi ed avere cercato di intimidirla per ritirare la denuncia. Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha riconosciuto la estinzione per prescrizione del delitto di cui agli artt. 56, 610 ed ha rideterminato la pena nella misura di anni due e mesi sei di reclusione, confermando, quindi, sostanzialmente il giudizio di responsabilità.

Detto in estrema sintesi, al solo fine di contestualizzare le doglianze del ricorrente, gli episodi di cui ha parlato la minore, che all’epoca dei fatti aveva dodici anni, si sarebbero verificati nell’ambito di un rapporto di conoscenza e frequentazione amicale tra la famiglia della ragazzina e l’imputato. La madre della ragazza, di nazionalità russa, era infatti esercente di una agenzia matrimoniale che metteva in contatto uomini italiani con le sue connazionali e lo stesso L. si era rivolto a tale agenzia venendo in contato con tale O. con la quale, però, il rapporto non aveva avuto successo.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge e vizio di motivazione ( art. 606 c.p.p.) in ordine alla affermazione di responsabilità dell’imputato che è basata solo sulla indimostrata attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore. In particolare, si censura il fatto che la Corte:

a) non abbia tenuto conto del clima suggestivo creato intorno alla minore, dalla madre e dal (di lei) compagno che aveva interesse a ricavare denaro dal L.; b) non abbia parlato di indicatori di abuso; c) abbia erroneamente ritenuto di escludere che la minore possa avere architettato un mendacio, con la madre ed il compagno di quest’ultima; d) ha escluso che la minore possa essere stata influenzata; e) ha trascurato la deposizione dei testi M. A. e M.G. dalle quali emerge che la madre della minore ed il suo compagno hanno pubblicizzato su una rivista locale l’utilizzo di un appartamento (locato dal L.) per lo svolgimento di "incontri" con i "clienti" svoltisi anche alla presenza della minore che da ciò ebbe notevoli ripercussioni; f) non ha considerato che l’incontro del L. con O. era avvenuto previa corresponsione della somma di 5 milioni di lire.

Il ricorrente invita, altresì, a considerare il lungo lasso di tempo trascorso tra il primo episodio di asserite molestie e l’epoca della loro denuncia e si evidenzia che nel momento in cui le dichiarazioni di una persona minorenne si prestano a differenti versioni non si può scegliere in malam partem per l’imputato. Si sottolineano, poi, alcune "anomalie" relative all’epoca di presentazione della querela (come ad es. il fatto che sia intervenuta subito dopo la richiesta da parte del L. dei canoni arretrata le contraddizioni in cui è incorsa la minore e si ribadisce – nel riportarne brani – che si tratta di dichiarazioni pilotate;

2) violazione di legge e vizio di motivazione nella valutazione della testimonianza della d.o. dal momento che, trattandosi di minore, le sue parole avrebbero dovuto essere soppesate maggiormente in rapporto al contesto;

3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti ed omessa risposta della Corte su talune circostanze rilevanti evidenziate nell’atto di appello quali: a) il periodo temporale in cui il fatto si è collocato: b) l’inesistenza di una Jeep (mai posseduta dai L.); c) le caratteristiche della strada che conduce verso la località di G. ove non figura alcun deposito di rottami come descritto dalla p.o.; d) le modalità con cui la minore ha fatto le confidenze alla madre; d) gli aspetti logistici della vicenda che la rendono inverosimile;

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.

2.1. La prima censura si risolve in una rivisitazione dei fatti ribadendo argomenti cui la Corte ha dato già replica attenta, congrua, ancorata alle risultanze processuali e non manifestamente illogica. Ciò rende la decisione impugnata scevra da critiche e non è, quindi, producente l’implicito sforzo del ricorrente di indurre questa S.C. a riesaminare i fatti per inferirne conclusioni diverse.

Ed infatti, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione non può spingersi al punto da rivalutare la prova optando per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti (sez. 4^, 17.9.04 n., cricchi, Rv. 229690) perchè diversamente, finirebbe per invadere l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (ex multis Sez. 1^, 27.9.07, Formis, Rv. 237863; Sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 235716).

Ciò è tanto più valido di fronte alla constatazione del fatto che i dubbi e le insinuazioni del presente ricorrente sono stati già affrontati e risolti dai giudici di merito che hanno, in primo luogo, confermato la giusta osservazione del Tribunale che le tre diverse deposizioni rese dalla piccola il 7.7.00, il 21.5.02 ed il 20.6.06, che, nel frattempo era divenuta una ragazza, avevano riportato i fatti in termini sostanzialmente coincidenti. E ciò, sia nella illustrazione della condotta dell’uomo che in quella del contesto spaziale ove si erano svolti i fatti, giustamente la Corte ha ritenuto irrilevanti le modeste discrasie del racconto con riferimento agli orari visto che, in ogni caso, sin dall’inizio la collocazione temporale dei fatti era stata piuttosto approssimativa. la Corte ha ribattuto punto per punto alle questioni difensive liquidando come irrilevante la diversa terminologia usata dalla ragazza ("cosce" e "gambe") ed ha replicato (f 9) che non può certo essere considerata una contraddizione l’omessa indicazione di un dettaglio (il tentativo di spingere la mano verso l’interno) ricordato in due occasioni e non nella terza.

Corretta e da avallare è anche l’obiezione che i giudici di merito fatto alla (analoga alla presente) questione del ricorrente relativa alla non sicura età della p.o.. A prescindere dal rilievo che la stessa, anche in questa sede viene fatta in modo generico e senza che ne sia chiara la finalità, vi è da dire che bene replica la Corte che non si scorge alcuna ragione per dubitare del fatto che la ragazza all’epoca fosse minore degli anni quattordici (come asserito in denuncia dalla stessa minore e dalla madre) "nè risulta che nel giudiziosi primo grado sia stato richiesto dalla difesa alcun approfondimento volto ad accertare l’età della ragazza anche per altre vie" (f. 9).

Giustamente, poi, si sottolinea, nella sentenza impugnata (f 13) che nessuna norma impone di assumere determinate cautele nell’audizione della p.o. minore e ciò nella specie non era giustificato perchè "nell’atto di appello non viene evidenziato alcun elemento specifico da cui trarre il convincimento che l’esame sia stato condotto in concreto con modalità tali da suggestionare la ragazza". Nè, va qui soggiunto, l’analoga censura qui svolta risulta più specifica limitandosi a menzionare genericamente un clima suggestivo tutto da dimostrare.

Nè delle asserite influenze materne si può trovare giustificazione nelle questioni economiche evocate dal ricorrente che lo avrebbero legato alla madre della minore ed al di lei convivente visto che, contrariamente a quanto asserito nel presente ricorso, la Corte ha sottolineato che l’imputato "ha dovuto ammettere che un prestito di L. 8.000.000 che aveva erogato in favore del M., gli era stato regolarmente restituito" (f. 14).

Escluso quindi, il "movente economico" lo stesso ricorrente non ha fornito valide ragioni per spiegare il motivo della presunta calunnia ed anche la richiesta di regolarizzazione dell’affitto della casa che L. aveva spedito alla coppia M. – B. "appare piuttosto la conseguenza della già intervenuta rottura dell’amicizia che si era formata tra i due" (f 15) Anzi, pertinente e, convincente, è l’ulteriore considerazione della sentenza che questa richiesta formale stride con il fatto che il contratto di affitto non fosse stato, invece, mai formalizzato per iscritto.

A tale stregua non si coglie alcuna ragione di strumentalità nella denuncia ed, al contrario, il ricorso si rivela ripetitivo, generico ed in fatto.

L’affermazione appena fatta è tanto più valida per il secondo ed il terzo motivo di ricorso. In particolare, il secondo rinnova genericamente la doglianza circa la necessità che la minore fosse sentita con particolari cautele di cui (si è già detto) non si è giustamente ravvisata la necessità. Il terzo motivo reitera generiche questioni fattuali sugli aspetti logistici e nuovamente insinua il dubbio sulla attendibilità della minore e le modalità con cui ha fatto le proprie rivelazioni alla madre. In realtà, anche questo punto è stato oggetto di valutazione da parte dei giudici di merito che hanno bene evidenziato come le confidenze fatte fossero scaturite dalla visione di un programma sugli abusi e, quindi, in modo del tutto logico e credibile.

Alla presente declaratoria di inammissibilità, segue, per legge ( art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000, nonchè alla rifusione alla parte civile delle spese del grado liquidate in Euro 1335,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000 ed alla rifusione alla parte civile delle spese del grado liquidate in Euro 1335,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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