Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 21-06-2011, n. 24827 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’odierno ricorrente è stato giudicato colpevole, in primo grado, della violazione dell’art. 609 bis, ritenuta l’ipotesi di cui al comma 3, e, con la sentenza qui in esame, la declaratoria di responsabilità è stata confermata dalla Corte d’appello che, però, ha ridotto la pena ad un anno e due mesi di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il fatto cui si ricollega tale pronuncia concerne un episodio di toccamenti delle gambe e dei glutei di una ragazza minorenne (15 anni circa), commessi con gesto improvviso e con violenza.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) mancata assunzione di una prova decisiva ( art. 606 c.p.p., lett. d)) dal momento che la Corte ha respinto il motivo di gravame portato dinanzi ad essa concernente l’audizione di una amica, testimone del fatto, che avrebbe potuto riferire su quanto raccontato poi dalla minore alla propria madre. In particolare, si censura la decisione della Corte di respingere la richiesta di rinnovazione del giudizio mediante la citazione della teste in quanto – osserva la Corte – la stessa p.o. ha riferito che, in occasione dell’accaduto nel bar, l’amica era di spalle perchè intenta a giocare ad un apparecchio elettronico e, quindi, e non aveva potuto vedere quanto accaduto.

Tale motivazione, a detta del ricorrente, è illogica e contraddetta dallo stesso andamento dell’istruttoria dibattimentale nel corso della quale sono, pur tuttavia, stati escussi ben quattro testi che non erano presenti al momento della presunta condotta illecita. Al contempo, però, nè il P.M. nè la P.C. hanno chiesto di sentire alcuno degli avventori presenti nel bar e neppure il fratello della vittima (che pure quella sera serviva i clienti dietro il bancone) quasi che avessero voluto evitare di sentire persone che potessero fornire una versione dei fatti diversa da quella fornita dalla p.o..

In realtà, sostiene il ricorrente, configge con la logica e la ricerca della verità oggettiva il diniego di sentire l’unica teste invocata dalla difesa sol perchè la p.o. ha riferito – venendo creduta in foto – che ella era di spalle. Invece, anche ammesso che la teste richiesta avesse rivolto la schiena alla scena, quantomeno avrebbe potuto riferire sulle frasi ingiuriose che asseritamene l’imputato avrebbe rivolto alla ragazzina.

La necessità di sentire la teste indicata dalla difesa discende anche dal rilievo che, a ben vedere, ella sarebbe l’unica veramente terza rispetto ad una vicenda dalla quale sono scaturiti diversi procedimenti per via delle reciproche denuncie sporte tra i vari soggetti legati all’imputato ed alla persona offesa.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Come è stato ribadito più volte da questa S.C., la rinnovazione del giudizio in appello è un istituto di carattere eccezionale che trova la propria giustificazione nel fatto che il giudice ritenga, nella propria discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti.

Si deve, quindi, trattare del compimento di un ulteriore atto istruttorio la cui verificazione possa risultare sostanzialmente decisiva ai fini del giudizio (sez. 1^ n. 8511/92, Russo Rv 191507;

Sez. 6^ n. 6873/93, Rizzo, Rv. 195141; Sez. 6^ 15.3.96, Riberto, Rv.

205673).

Di certo tale non è il caso in esame dal momento che la motivazione data dalla Corte al proprio convincimento è sintomatica dell’idea che, anche dando per scontato che l’amica della p.o. abbia potuto semplicemente udire e riferire gli insulti che l’imputato avrebbe profferito all’indirizzo della p.o., di certo non si sarebbe acquisito riscontro del reato in contestazione e, cioè, dei toccamenti lascivi della cui verificazione la Corte ha, invece, ritenuto di trovare prova in altri elementi acquisiti nel corso del processo che sono stati attentamente analizzati e commentati in modo tutt’altro che illogico.

I giudici di appello, infatti, pervengono alla decisione di confermare il diniego di rinnovazione dopo avere lungamente esaminato il succedersi degli eventi, così come descritti dalle parole della p.o. e dei testi presenti.

Essi ricordano, pertanto che il giorno dei fatti denunciati, la ragazza stava aiutando il fratello a servire nel bar gestito dalla famiglia quando era entrato il S. chiedendo grappa in proporzione al denaro consegnato (circa 60/70 centesimi). Ricevuta la quantità corrispondente all’importo, egli aveva cominciato a protestare, per la sua esiguità, con epiteti offensivi verso la ragazza che, a propria volta, aveva invitato l’uomo a moderare i termini ricordandogli che si trovava in un locale pubblico. Inoltre, ella (che come aveva poi raccontato, aveva già subito nel recente passato vessazioni dal S.) aveva deciso, a quel punto, di andare a riferire la cosa ai propri genitori che si trovavano nel vicino agriturismo ma, quando era uscita da dietro il bancone, l’uomo ne aveva approfittato per allungare le mani verso le sue parti intime.

A detta della ragazza e dei familiari – che, mentre erano a tavola, se la videro arrivare – ella sopraggiunse piangendo e "riferì loro, in particolare, di essere stata toccata dal S. alle gambe ed al sedere" (f. 10).

Immediatamente, il padre della ragazza decise di recarsi al bar per chiarirsi con il S. accompagnato da un altro figlio (che doveva comunque recarsi al bar per dare il cambio all’altro fratello). Dal "chiarimento" scaturì una piccola rissa con percosse e reciproche denunzie che hanno originato altri procedimenti.

Per soffermare l’attenzione, sul presente processo, deve constatarsi che la Corte ha, innanzitutto, ribadito il concetto – già espresso dal primo giudice – della obiettiva credibilità della p.o. che, sebbene minorenne, è apparsa "matura, credibile e coerente nella descrizione dei particolari della vicenda" (pag. 3 sentenza primo grado).

Essa, si è, poi, soffermata a confutare i dubbi avanzati dalla difesa circa presunte contraddizioni ed ha spiegato congruamente e logicamente la consequenzialità degli eventi sottolineando come fosse da ritenere ragionevole (per intuibile motivi di riserbo e vergogna) che la ragazza non avesse parlato al fratello delle molestie già patite (in precedenza) dall’imputato (ma delle quali aveva invece accennato alla madre e ad una zia) (ff. 7 e 12).

La Corte, quindi, confuta la insinuazione di illogicità avanzata dal ricorrente sottolineando che si trattava di molestie avvenute in tempi diversi.

Ugualmente convincente è la replica che la Corte fa al ricorrente che dubita della credibilità della ragazza sul rilievo che la madre, una volta ricevuto il racconto di quanto accaduto, era scesa all’alimentari per consegnare un qualcosa a B.A. (zia), invece di accompagnare il marito presso il bar ad incontrare il S.. Tale condotta, infatti, non è interpretabile univocamente come indice di disinteresse o del fatto che la madre non avesse creduto alla figlia visto che, al contrario, ella aveva già ricevuto confidenze analoghe ma, semplicemente, essa esprimeva il convincimento che "oramai, per così dire, la figlia era al sicuro nell’agriturismo" (f. 11) mentre già il marito ed il figlio stavano pensando a chiarire i fatti con il S..

Ciò che poi risulta particolarmente convincente – e decisivo della validità di una sentenza che comunque è, in sè, ampia, articolata ed attenta – è la sottolineatura della circostanza (già evidenziata dal giudice di primo grado) che "la difesa dell’imputato non ha fornito una diversa ricostruzione dei fatti ma si è limitata a screditare i testimoni sentiti senza tuttavia riuscirci dal momento che nessuno di questi è caduto in contraddizione e, soprattutto, perchè non è emerso alcun plausibile motivo per cui la minore ed i suoi famigliari avrebbero dovuto scientemente mentire sulla vicenda" (pag. 6 sent. Trib).

Analogo rilievo deve farsi con riferimento al presente ricorso ove, al di là della critica alla mancata assunzione della teste invocata dalla difesa, null’altro si dice di specifico a proposito della non validità degli argomenti svolti dalla Corte per giustificare il proprio convincimento.

Di certo, poi, per tornare all’unico vero motivo di doglianza, non si può che ribadire la giustezza della decisione relativa alla superfluità dell’audizione della teste D.K. perchè anche dando per ammesso che ella avrebbe potuto confermare di avere sentito il S. rivolgersi in modo offensivo verso la p.o., di certo questo non avrebbe rappresentato prova dei toccamenti che, peraltro, in base alla denuncia, si erano verificati subito dopo (quando la ragazza, stanca delle vessazioni dell’uomo aveva deciso di uscire da dietro il bancone per recarsi a riferire l’accaduto ai propri genitori). Giusta è pertanto, l’affermazione (f. 13) che "la D. nulla possa concretamente aggiungere al quadro probatorio".

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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