Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 21-06-2011, n. 24826

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In parziale riforma della decisione del Tribunale, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza 15 giugno 2010 ha ritenuto S. S. responsabile dei reati previsti dalla L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 2 e 8 per avere favorito la prostituzione di una donna e per avere locato un suo appartamento allo scopo di esercizio del meretricio; con la stessa sentenza, i Giudici hanno ritenuto G.E. responsabile del reato di ricettazione di due carte di identità.

Per quanto concerne la posizione dello imputato, la Corte ha rilevato come la richiesta difensiva di applicazione della diminuente per il rito abbreviato (al quale il Giudice per le indagini preliminari non aveva dato ingresso) non esaminata dal Tribunale, non fosse accoglibile; indi, ha passato in rassegna tutte le emergenze probatorie dalle quali ha tratto la conclusione che l’imputato avesse concesso in locazione il suo appartamento edotto dell’uso che ne avrebbe fatto il conduttore. Per la imputata, che si dedicava alla illegale regolarizzazione degli stranieri, la Corte ha ritenuto provata la provenienza da reato, nota all’appellante, degli altrui documenti di identità in suo possesso. Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge.

S. rileva:

– che la Corte non ha correttamente risposto alla richiesta difensiva di applicazione della diminuente per il rito abbreviato non ammesso dal Giudice per le indagini preliminari, benchè ne sussistessero le condizioni, senza acquisire il fascicolo del Pubblico Ministero applicazione analogica dell’art. 135 disp. att. cod. proc. pen.;

– che difetta la prova della sua consapevolezza dell’uso dello appartamento al momento della stipula del contratto di locazione e a conoscenza in epoca successiva non integra il contestato delitto.

La G. deduce di essersi solo dimenticata di consegnare i documenti reperiti nel suo pubblico locale con le modalità previste dall’art. 927 cod. civ.; pertanto, la sua condotta integra il reato di appropriazione di cose smarrite per cui manca la querela.

Le censure di entrambi i ricorrenti (al limite della inammissibilità) non sono fondate.

Per quanto concerne la posizione dello S., è appena il caso di rilevare come la richiesta di rito abbreviato condizionato ad un supplemento istruttorio sia accoglibile se compatibile con le finalità di economia della procedura e necessario al fine di decidere.

Sul tema la Corte ha rilevato come l’imputato avesse sollecitato l’audizione di due testi, l’uno del quale su temi non pertinenti al fine del decidere, l’altro dichiarante era già stato escusso e la difesa non aveva precisato le ulteriori circostanze integrative sulle quale il testimone era chiamato a deporre.

In tale modo, la Corte ha effettuato correttamente il sindacato post dibattimentale sulla praticabilità del rito, in sintonia con la regola probatoria contenuta nell’art. 438 c.p.p., comma 3, con un controllo che, per la sua tipologia, non richiedeva la visione del fascicolo del Pubblico Ministero.

Nel merito, la Corte ha avuto cura di indicare il coacervo probatorio (appostamenti di Polizia, intercettazioni telefoniche, audizione di testimoni) dal quale ha tratto la ragionevole conclusione – resistente ad ipotesi alternative – che l’imputato fosse edotto del reale uso (per stabile esercizio della prostituzione) del suo appartamento.

Sul punto, il ricorrente insiste sul rilevo che non aveva la consapevolezza della destinazione al meretricio della sua abitazione al momento della stipula del contratto, ma l’ha avuta in epoca successiva.

In tale modo formula, una censura (tra l’altro priva della necessaria concretezza) che in fatto si pone in inconciliabile contrasto con le prove messe in risalto dalla Corte territoriale ed, in diritto, è inconferente: il requisito per il perfezionamento della fattispecie evidenziato dal ricorrente non è richiesto dalla norma incriminatrice che punisce chi è consapevole (dallo inizio della locazione o successivamente) che una sua casa è adibita allo esercizio delle prostituzione).

Inoltre, dal testo della impugnata sentenza, emerge che l’imputato avesse contezza dell’uso dello appartamento e non solo nulla ha obiettato, ma rendeva servigi alle donne che si prostituivano per rendere la casa funzionale alle loro esigenze.

Relativamente alla imputata, si osserva che i motivi di ricorso ripopongono al vaglio di legittimità le stesse censure sottoposte all’esame dei Giudici di merito, prese nella dovuta considerazione, e motivatamente disattese; di questo apparato motivazionale, la ricorrente non tiene conto nella redazione delle sue censure che, sotto tale profilo, sono generiche perchè non in sintonia con la ragioni giustificatrici della sentenza impugnata.

La tesi difensiva dell’imputata, che ha sostenuto di avere reperito le carte d’identità all’interno del suo pubblico esercizio è stata disattesa dai Giudici di merito perchè inverosimile dal momento che le persone titolari delle stesse non si erano mai recati nel suo locale; neppure credibile è stata ritenuta la circostanza che l’imputata si fosse dimenticata di consegnare i documenti al posto di Polizia (situato vicino al suo locale).

In tale contesto, la Corte territoriale ha reputato che l’appellante, che si occupava della regolarizzazione di stranieri clandestini, avesse ricevuto le carte di identità consapevole della loro illecita provenienza al fine di utilizzarle per la sua ricordata attività.

La conclusione è congrua e logica e, come tale, non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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