Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 21-06-2011, n. 24823 Opera dell’ingegno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Confermando la decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza 30 aprile 2010, ha ritenuto l’imputato A. K. responsabile del reato previsto dall’art. 648 cod. pen. e dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a e lo ha condannato alla pena di giustizia.

Per giungere a tale conclusione, la Corte ha ritenuto accertato che l’imputato detenesse ai fini della vendita DVD e CD, in numero superiore a cento, sprovvisti del timbro Siae comprovante il pagamento dei diritti di autore; per quanto concerne il residuo delitto, la Corte ha osservato come, dopo la introduzione del D.Lgs. n. 68 del 2003, i due reati potessero concorrere non ravvisandosi un rapporto di specialità a sensi dell’art. 15 cod. pen..

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:

– che i Giudici, nonostante la confutazione difensiva, non hanno tenuto presente la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea (8 novembre 2007 causa C20/05) secondo la quale la norma che prescrive il contrassegno Siae non può essere opposta ai privati:

consegue che la fattispecie contestata all’imputato non ha più rilevanza penale e la mancanza del suddetto timbro non può, neppure essere utilizzata come indizio della illecita riproduzione; – che la Corte non ha accertato il contenuto dei supporti audiovisivi per cui non è dato sapere se si trattasse di opere necessitanti l’apposizione del contrassegno Siae;

– che la fattispecie prevista dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a sanziona la condotta di chi vende o pone in commercio il materiale e, di conseguenza, la mera detenzione per la vendita (tale è il caso in esame) non rientra tra le condotte punibili e non può rientrarvi per il divieto di interpretazione estensiva del precetto penale:

– che, per il delitto di ricettazione, non è provato il reato presupposto. L’imputato ha fatto pervenire una memoria con cui ribadisce quanto scritto nei motivi principali.

Le censure sono meritevoli di accoglimento.

La Corte di Giustizia europea (con sentenza emessa a sensi dell’art. 234 del Trattato CEE l’8 novembre 2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert) ha preso in esame la compatibilità della normativa italiana, che prevede la apposizione del contrassegno Siae, con la direttiva europea 83/189/CEE che ha istituito una necessaria procedura di informazione nel settore delle norme e delle regole tecniche. I Giudici europei hanno rilevato che l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere di arte figurativa il marchio Siae in vista della loro commercializzazione costituisce una regola tecnica che avrebbe dovuto essere notificata (ma non lo è stata) dallo Stato alla Commissione della Comunità europea al fine di verificare la compatibilità del suddetto obbligo con il principio di libera circolazione delle merci.

La Corte europea ha concluso rilevando che la regola tecnica, in caso di mancata comunicazione alla Commissione, non può essere fatta valere nei confronti dei privati e le relative norme interne devono essere disapplicate dal giudice nazionale.

A sensi dell’art. 164 del Trattato CEE, l’interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrativa) degli Stati membri anche ultra partes. Benchè la sentenza dei Giudici europei sia limitata allo oggetto della causa principale, questa Corte ne ha esteso le conclusioni a tutte le disposizioni normative che hanno introdotto la necessità del timbro Siae su ogni tipi di supporto di opere tutelate dal diritto di autore.

Di conseguenza, la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto non penalmente rilevante la condotta di commercializzazione di supporti privi del marchio (per l’epoca antecedente al 21 aprile 2009 quando è stata perfezionata la procedura della notifica della regola tecnica alla Commissione CEE).

Rimane vietata, anche dopo la sentenza Schwibbert, qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione, contraffazione delle opere di ingegno; tuttavia, il principio enucleato nella detta decisione riverbera i suoi effetti anche sulle fattispecie di reato in esame, Ora la Corte di Appello non ha risposto ai motivi di impugnazione relativi alla influenza del sentenza della Corte europea nel caso al suo vaglio ed ha ritenuto il materiale in possesso dello imputato abusivo in quanto sprovvisto del timbro Siae.

I primi Giudici avevano affrontato l’argomento ritenendo cha la mancanza del contrassegno può essere un indizio, in concorso con altri, della illegittima duplicazione; tuttavia, non hanno indicato quali fossero gli ulteriori elementi posti a conforto del loro convincimento. In sostanza, i Giudici hanno optato per la illecita duplicazione avendo come referente la sola mancanza del contrassegno Siae.

Questa carenza non può valere come indizio della abusiva duplicazione o riproduzione essendo la inopponibilità ai privati dello obbligo di apposizione del contrassegno (sino alla avvenuta comunicazione) tale da privarlo del valore, ordinariamente attribuitogli, di garanzia della originalità dell’opera (Sez. 3 sentenze 1073/2010, 44892/2009, 27109/2008, 21579/2008). Il Collegio condivide e recepisce le conclusioni delle ricordate sentenze pur consapevole di un differente orientamento giurisprudenziale che reputa la mancanza del contrassegno come sintomo della abusiva duplicazione (Sez. 3 sentenze 34266/2008, 27764/2008, 13816/2008, 128/2008); la tesi non è condivisibile perchè continua sostanzialmente a ritenere che la marchiatura Siae sia esigibile e non tiene conto che i privati non possono subire alcun pregiudizio per avere tenuto una condotta non conforme ad una norma ad essi non opponibile. Concludendo si rileva che manchi la prova della abusiva duplicazione dei supporti per cui è processo; deriva che viene meno il reato previsto dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2 e, di conseguenza, anche il reato di ricettazione il cui delitto presupposto era la violazione della normativa sul diritto di autore.

Questa conclusione, per il suo carattere assorbente, esonera la Corte dal prendere in esame le residue censure dell’atto di ricorso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè i fatti non sussistono.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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