Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso ritualmente notificato e depositato i ricorrenti, consiglieri comunali in Seveso, hanno chiesto l’annullamento degli atti indicati in epigrafe per violazione di legge. Si è costituito il Comune di Seveso, concludendo per l’inammissibilità del ricorso, e nel merito per l’infondatezza.
La censura mossa alle delibere impugnate, adottate dal Consiglio nella seduta del 19 maggio 2010, investe il difetto del quorum costitutivo, ai sensi degli artt. 59, 32, 41 e 85 del regolamento del Consiglio e dell’art. 16, comma 7, dello Statuto.
In particolare, è pacifico in causa che alla seduta per cui è causa, in prima convocazione, parteciparono 9 consiglieri, oltre al Sindaco, su di un totale di 20. Posto che l’art. 59 del regolamento consiliare stabilisce che l’organo in siffatta sede non può deliberare "se non interviene almeno la metà dei consiglieri assegnati al Comune, senza computare il Sindaco", i ricorrenti lamentano che la delibera n. 14, con cui si è provveduto a sostituire un consigliere cessato dalla carica, è stata assunta con soli 9 partecipanti, giacché il quorum di 10 si sarebbe potuto raggiungere solo includendovi il Sindaco. Conseguentemente, le delibere n. 15 e n. 16, relative al bilancio di previsione 2010, sarebbero a propria volta illegittime per difetto del quorum, atteso che il nuovo consigliere subentrato per effetto della delibera n. 14 non avrebbe potuto considerarsi legittimamente insediato nella carica.
Il Comune avanza un’eccezione preliminare di inammissibilità, relativa alla carenza di legittimazione attiva dei consiglieri ricorrenti: costoro non sarebbero legittimati ad impugnare una delibera consiliare che non ne lede direttamente l’ufficio, ma si espone a meri vizi di legittimità.
In senso contrario, è agevole rilevare che, per costante giurisprudenza amministrativa, il consigliere comunale è legittimato ad impugnare le delibere del Consiglio in caso di difetto di costituzione dell’organo (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, n. 4523 del 2009), trattandosi di un vizio rispetto al quale egli non è in posizione equivalente rispetto al quisque de populo, ma in una posizione differenziata, che viene lesa attraverso l’imputazione al Consiglio, di cui è parte, di un’attività deliberativa che gli è in realtà estranea, in quanto realizzata in difetto di quorum.
Il Comune ritiene di attribuire significato, per superare tale rilievo, alla circostanza per cui i consiglieri di opposizione avrebbero compiuto la scelta politica di non partecipare alla seduta, proprio allo scopo di far mancare il quorum e di paralizzare l’attività consiliare; ma, se anche così fosse, una simile condotta rientrerebbe nel novero delle tipiche tecniche di ostruzionismo della minoranza assembleare, senza implicare alcuna rinuncia alla tutela della propria posizione differenziata in caso di voto privo di quorum, ed anzi presupponendo che tale tutela persista: innanzi a questo Tribunale, in altri termini, non viene in considerazione il carattere politico dell’astensione dai lavori del Consiglio, né il carattere volontario della rinuncia a partecipare, ma il solo effetto di incisione sull’ufficio del consigliere che segue all’adozione di una delibera in assenza, secondo i ricorrenti, del numero legale richiesto.
L’eccezione preliminare è pertanto non fondata.
Nel merito, è vero che, ai sensi dell’art. 59 del regolamento del Consiglio comunale, il quorum sarebbe mancato, poiché non vi si deve computare il Sindaco; tuttavia, il Comune obietta che, in forza dell’art. 24, commi 4 e 5, dello Statuto comunale, il Sindaco non sarebbe incluso nel calcolo del quorum solo in seconda convocazione, mentre vi rientrerebbe in prima convocazione. Infatti, prosegue il Comune, l’art. 24, comma 5, ritiene in seconda convocazione "sufficiente la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati senza computare a tal fine il Sindaco", sicché il silenzio serbato dal comma 4 su tale punto ("il Consiglio si riunisce con l’intervento di almeno la metà dei Consiglieri assegnati") non potrebbe che indicare l’inclusione del Sindaco nel calcolo, posto che questi è a tutti gli effetti membro del Consiglio, ai sensi dell’art. 37 del D.lgs. n. 267 del 2000.
Il Tribunale aggiunge che l’art. 38 del D.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce che "il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte. Il regolamento indica altresì il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia".
Si è perciò in presenza di un quadro normativo composito, che implica, quale primo passo obbligato per la decisione della causa, anzitutto l’individuazione della fonte costituzionalmente competente a disciplinare la materia. Viene in considerazione, anzitutto, la norma recata dal T.U. sugli enti locali del 2000.
Con l’art. 38, il legislatore statale ha posto una duplice regola: da un lato, si è individuata una riserva di competenza a favore della fonte locale regolamentare, cui si è assegnata la funzione di determinare il quorum costitutivo del Consiglio, nell’esercizio della potestà di autorganizzazione dell’organo; dall’altro lato, si è predeterminato un contenuto parziale necessario di siffatto regolamento, costituito dal numero legale minimo di componenti necessari alla validità delle delibere consiliari. Si è poi presa posizione sul rilievo da attribuirsi a tal fine al Sindaco, escludendolo dal computo.
Naturalmente, tali disposizioni sono state dettate nell’esercizio della competenza legislativa primaria che, nel vigore dell’originaria formulazione dell’art. 117 Cost., lo Stato esercitava nei riguardi degli enti locali delle Regioni a Statuto ordinario.
Vi è da chiedersi, pertanto, se una tale competenza sopravviva alla revisione della II Parte del Titolo V della Costituzione, in seno alla quale, come è noto, l’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost. assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane".
Tuttavia, il problema non ha ragione di porsi, allo stato, con riferimento ad un’eventuale sfera di competenza normativa della Regione Lombardia, che non ha finora preteso di legiferare con riferimento alle modalità di funzionamento degli enti locali lombardi, sicché il principio di continuità dell’ordinamento giuridico impone, comunque, di avere riguardo alla persistente efficacia del T.U. nazionale in materia.
Piuttosto, sarebbe necessario valutare la portata del nuovo art. 114 Cost., in base al quale l’autonomia dell’ente locale e il primato della fonte statutaria sotto tale profilo, si fondano direttamente sulla Costituzione, e non più in base ai principi fissati da leggi generali della Repubblica, ai sensi dell’abrogato art. 128 Cost.
Infatti, si potrebbe dubitare che spetti a tutt’oggi alla legge statale l’indicazione di quale specifica fonte, a livello locale, debba determinare una vicenda la cui disciplina viene, nel contempo, assegnata dal legislatore nazionale alla sfera di autonomia dell’ente locale: sotto tale profilo, non è detto che la riserva di competenza cui si è accennato supra, a vantaggio del regolamento consiliare, non sia destinata a cedere, di fronte ad una disposizione statutaria che intervenga direttamente a normare la fattispecie in questione.
Tuttavia, una simile problematica andrebbe affrontata e risolta, qualora la presente controversia attenesse alla sola determinazione del numero costitutivo del quorum di funzionamento del Consiglio, atteso che tale materia parrebbe, in linea di principio, rivendicabile alla sfera di autonomia statutaria. Ma, nel caso di specie, a venire in discussione non è tanto un simile profilo, essendo pacifico che tale quorum sia stato determinato nella metà dei "consiglieri assegnati", quanto il problema, qualitativamente distinto, se in detto quorum vada, o no, computato il Sindaco.
Questo Tribunale ritiene che la risposta a siffatto quesito non possa che provenire dal legislatore statale, poiché esso colora direttamente la natura delle attribuzioni dell’organo di governo costituto dal Sindaco, nei rapporti con il Consiglio comunale, finendo così per rientrare nel campo della competenza legislativa esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost.
È evidente, infatti, che attribuire rilievo al Sindaco, ai fini del calcolo del quorum costitutivo del Consiglio, ovvero negarglielo, significa assumere posizione su di un ambito non indifferente di esercizio delle prerogative connesse al mandato, con riferimento agli stessi rapporti politici con il Consiglio, consentendo, o negando a tale figura, istituzionalmente distinta dai consiglieri, di incidere o no con la propria presenza, sia pure in casi estremi, sull’andamento dei lavori assembleari.
Nel contempo, la scelta di differenziare la posizione del Sindaco da quella dei consiglieri, ai fini del computo del quorum, non può essere anch’essa che espressiva di una determinazione attinente alla forma di governo comunale, rimessa, in sé, al legislatore statale (sul punto, si veda anche l’art. 141, comma 1, lett. b, n. 3 del T.U.).
È, dunque, nell’art. 38 del D.lgs. n. 267 del 2000 che va rinvenuta la fonte abilitata ad equiparare o a distinguere il Sindaco dal consigliere, ai fini dell’osservanza del quorum. Sotto tale profilo, divergendo dalla regola generale di equivalenza delle prerogative nell’ambito del Consiglio segnalata dalla Corte costituzionale anteriormente all’entrata in vigore del T.U. (sentenza n. 44 del 1997), la disposizione statale esclude che il Sindaco sia calcolato ai fini del quorum: contrariamente all’assunto di parte resistente, tale precetto vige non in relazione al solo numero legale minimo imposto alla fonte regolamentare ai fini della validità delle delibere, ma ogni qual volta si tratti di determinare il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, come indicato dalla fonte locale (cfr T.A.R. Campania, sentenza n. 373 del 2002; in senso contrario, T.A.R. Puglia, sentenza n. 1301 del 2004).
Non vi è, infatti, alcuna ragione logica per confinare l’efficacia di tale previsione statale ai soli criteri di calcolo del quorum invalicabile di un terzo, anziché alla individuazione del quorum tout court, atteso che essa esprime una scelta normativa primaria in ordine ad un profilo attinente alla forma di governo locale, che non muta affatto di qualità e di intensità, a seconda della variabile soglia numerica che sia stata fissata di volta in volta e delle circostanze contingibili del caso.
In questa prospettiva, peraltro, converge espressamente l’art. 59 del regolamento consiliare (sicché la denunciata violazione di tale norma equivale a lamentare la lesione della identica regola di diritto stabilita dall’art. 38 del D.lgs. n. 267 del 2000), ma pare potersi leggere lo stesso art. 24, comma 4, dello Statuto, che indica in prima convocazione il quorum nella metà dei consiglieri "assegnati": espressione, quest’ultima, che sembra giustificarsi solo con riferimento all’art. 37 del D.lgs. n. 267 del 2000, ove viene stabilito il numero di membri del Consiglio che spettano a ciascun Comune in base alla popolazione, oltre il Sindaco. "Assegnati" sono, perciò, i consiglieri indicati numericamente dalla legge statale in 20, quanto al Comune di Seveso, cui si aggiunge il Sindaco, con la conseguenza che il quorum è pari a 10 di questi ultimi.
Né vi è motivo di ritenere, come vorrebbe parte resistente, che il quorum subisca modifiche (peraltro non previste espressamente da alcuna norma), quando si tratti di assumere una delibera di surroga di un consigliere con un altro, permanendo la necessità che, ai fini dell’esercizio di un atto di competenza consiliare, siano osservati i requisiti richiesti per la valida assunzione di esso: nessun fondamento ha, dunque, la pretesa del Comune di Seveso di ripiegare, in questi casi, sul quorum di un terzo previsto per la seconda convocazione; piuttosto, a fugare i paventati pregiudizi relativi alla funzionalità del Consiglio, è sufficiente ricordare la possibilità di adottare in seconda convocazione, e con il quorum ridotto, anche le delibere di surroga in questione.
In conclusione, il ricorso è fondato, poiché le delibere impugnate sono state tutte assunte in difetto del quorum richiesto ai fini della valida costituzione del Consiglio: esse vanno, perciò, annullate.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed annulla gli atti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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