T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 22-06-2011, n. 1658

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugnava il provvedimento indicato in epigrafe che aveva negato l’autorizzazione edilizia richiesta poiché non era stato adottato un piano di recupero come previsto dal P.R.G. del Comune e per la mancanza delle autorizzazioni paesaggistica e storicoartistica.

Il ricorso si articola su quattro motivi.

Con il primo l’istante lamenta il difetto di motivazione circa la necessità che venissero acquisiti i pareri delle autorità preposte ai vincoli esistenti sull’immobile; il ricorrente non contesta la necessità di acquisire tali pareri, ma da ciò doveva solo conseguire una dilazione nel rilascio del provvedimento in attesa che venissero espressi i pareri dovuti; peraltro il parere in materia paesaggistica doveva essere emanato dallo stesso Comune in virtù della subdelega prevista dalla L.R. 18\97.

Una simile condotta appare anche sintomatica dello sviamento di potere.

Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 27, 28 e 31 L. 457\78 nonché dell’art. 2 L. 1187\68 oltre all’eccesso di potere per errore sul presupposto e difetto di motivazione.

Non sussisterebbe, per il ricorrente, nessun contrasto con l’art. 21 N.T.A. poiché la previsione del piano di recupero, iscritta nel P.R.G., sarebbe decaduta sia ai sensi dell’art. 28 L. 457\78 sia in virtù dell’ art. 2 L. 1187\68. Perciò alla scadenza del termine quinquennale sarebbe possibile intervenire secondo quanto previsto dall’art. 31 L. 457\78.

L’intervento teso alla realizzazione dei servizi igienicosanitari sarebbe, inoltre, possibile ai sensi dell’art. 27,comma 4, L. 457\78 anche in assenza del piano particolareggiato su immobili in zona di recupero.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 220 R.D. 1265\34 poiché non sarebbe stato acquisito il parere della Commissione Edilizia.

Con il quarto motivo il ricorrente impugna per difetto di motivazione anche il silenzio serbato sull’istanza di riesame del 3.3.2000.

Il Comune di Airuno si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza del 7 giugno 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Il ricorso non è fondato.

Con il secondo motivo di ricorso, che appare da esaminare in via preliminare, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2 della legge 1187/68 e dell’art. 28 della legge 457/78, assumendo la scadenza del vincolo imposto dalle previsioni del piano, essendo trascorsi 5 anni dall’approvazione del PRG e 3 anni senza che il Comune abbia provveduto ad adottare il Piano di recupero previsto dal PRG.

Il motivo è infondato.

Il piano di recupero è a tutti gli effetti un piano attuativo (v. Consiglio Stato 4756/2009) e, non comportando l’inedificabilità assoluta, in quanto il vincolo di destinazione è realizzabile anche attraverso l’iniziativa privata o promiscua senza previa ablazione del bene (così C. Cost. 179/99), deve escludersi la natura espropriativa dello stesso (vedi Cons. di Stato n. 789/92 e, più di recente Tar Toscana 840/2005 laddove si afferma che l’individuazione delle "zone" di recupero non è soggetta a termine di efficacia).

L’art. 27 sopra citato prevede che i Comuni individuino le zone di recupero che possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo art. 28.

Quest’ultimo dispone, poi, che i piani di recupero rechino la disciplina edilizia e urbanistica, che siano approvati con deliberazione del Consiglio comunale, il quale decide anche le opposizioni presentate al piano, e che se l’approvazione non avviene entro 3 anni dall’individuazione degli anzidetti beni, tale individuazione decade e sono consentiti gli interventi edilizi previsti dall’ultimo comma (ora il quarto) del precedente art. 27, e cioè anche gli interventi di cui alla lettera d) dell’art. 31 della stessa legge n. 457/78, consistenti nella ristrutturazione edilizia a condizione "che riguardino singole unità immobiliari" ovvero, se riguardano uno o più edifici, a condizione che la modifica delle destinazioni preesistenti non sia superiore al 25% e il concessionario si impegni a praticare, per la parte mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati col comune e si impegni altresì a concorrere negli oneri di urbanizzazione.

La giurisprudenza condivisa dal Collegio ha, poi, ritenuto che le dette norme si riferiscano ai piani di recupero di iniziativa pubblica e ciò spiega il limite temporale del triennio, perché quello che il legislatore ha voluto evitare è la sottoposizione sine die al potere di adozione del piano di recupero da parte del Comune per immobili già individuati per i quali, in tal modo, si introdurrebbe un vincolo di rilascio della concessione edilizia (Cons. di Stato, IV, n. 789/1992, ma così anche Tar Toscana cit. 940/2005).

Diversa è, invece, l’ipotesi dei piani di recupero ad iniziativa di privati, che sono in via generale (e generica) disciplinati dall’art. 30 della legge n. 457/78.

Se si limitasse parimenti ad un triennio l’obbligo di piani di recupero ad iniziativa di privati si arriverebbe all’assurdo che gli interessati farebbero decorrere il triennio per poter poi presentare la domanda di concessione edilizia non preceduta dal necessario piano attuativo; piano attuativo che è invece necessario proprio per le caratteristiche della zona in cui insiste l’immobile (così Tar Toscana cit. 940/05).

La richiesta di ottenere l’autorizzazione edilizia all’intervento manutentivo, pertanto, è priva di un suo fondamento normativo poiché manca la presentazione di un piano particolareggiato.

Peraltro correttamente il comune ha osservato come attraverso quello che si vuole qualificare come un mero intervento manutentivo si vuole ricavare un organismo del tutto diverso rispetto all’originale unica unità abitativa.

Infatti all’esito della manutenzione straordinaria richiesta verrebbero realizzate singole unità abitative fornite ciascuna dei necessari servizi igienici con un frazionamento che finora è stato ottenuto solo attraverso un’artificiosa suddivisione catastale che non è scaturita da provvedimenti di natura edilizia che abbiano autorizzato il frazionamento dell’unica unità abitativa originaria.

La mancanza del piano di recupero priva di qualunque pregio le considerazioni svolte nel primo e nel terzo motivo, mentre il quarto motivo deve dichiararsi inammissibile poiché non vi è alcun obbligo dell’amministrazione di riesaminare un provvedimento alla luce delle richieste del privato ed in ogni caso avverso l’ipotetico silenzioinadempimento doveva essere promosso un giudizio con il rito previsto per tale tipo di ricorso.

La piena legittimità del diniego comunale comporta il rigetto del ricorso anche quanto alla richiesta di risarcimento danni.

In considerazione della tardiva costituzione del Comune che si è attivato solo a seguito della richiesta istruttoria del Collegio, appare equo compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *