T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 22-06-2011, n. 1657

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente, in qualità di proprietaria di un complesso immobiliare in Seregno, impugna la variante generale al PRG comunale nella parte in cui ha destinato una parte dell’area a zona agricola E2 "spazio aperto non recintato per la produzione agricola estensiva", per i seguenti motivi.

I) Eccesso di potere per travisamento dei fatti in quanto l’area in questione la destinazione urbanistica sarebbe in contrasto con la situazione di fatto e di impossibile realizzazione.

II) Eccesso di potere per difetto di motivazione della proposta di reiezione dell’osservazione al PRG presentata dalla ricorrente in quanto sarebbe erronea e illogica.

III) Eccesso di potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta in quanto l’area confinante a nord è stata inserita, in considerazione della situazione di fatto, in zona BP2.

IV) Violazione della L.R. 24/11/1997 n. 41 in relazione ai poteri di modifica d’ufficio del PRG di cui all’art. 10 L. 1150/42 in quanto, al momento dell’approvazione del PRG sussisteva l’obbligo di dotare il piano di uno studio geologico.

Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna la variante parziale al PRG nella parte in cui ha confermato la previsione urbanistica esistente per i seguenti motivi.

V) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione in quanto mentre nella deliberazione di adozione il Comune aveva azzonato l’area in BP5 ma successivamente e contraddittoriamente avrebbe stralciato in sede di approvazione la nuova destinazione.

VI) Violazione della L.R. 51/75 e 1/2000 ed eccesso di potere in quanto l’osservazione contraria alle disposizioni favorevoli alla ricorrente contenute nel piano adottato sarebbe illegittima nella parte in cui afferma che la variante ex art. 2 c. 4 L.R. 23/97 non sarebbe applicabile laddove produca effetti di sanatoria, in quanto si tratterebbe di variante ordinaria.

La difesa comunale sostiene che l’area ha sempre avuto nei piani urbanistici di Seregno una destinazione agricola, inserita nel parco sovracomunale, con una parte non soggetta ad edificabilità per l’adiacenza della ferrovia. Ne conseguirebbe il difetto di interesse a ricorrere perché l’accoglimento del ricorso avrebbe l’effetto di far rivivere la disciplina precedente che è uguale.

In secondo luogo la destinazione urbanistica di un’area sarebbe una scelta di merito insindacabile dal giudice amministrativo.

In terzo luogo non sussisterebbe il difetto di relazione geologica in quanto al momento dell’adozione tale obbligo non esisteva.

In limine litis le parti hanno confermato le proprie richieste.

All’udienza del 27 aprile 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo occorre ricordare che la giurisprudenza (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. IV, 12 dicembre 1990, n. 1002; Consiglio di Stato, sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2827; Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1095) riconosce che i provvedimenti con i quali i comuni ripartiscono in zone il territorio in sede di pianificazione urbanistica hanno natura ampiamente discrezionale e possono pertanto incidere anche su precedenti difformi destinazioni delle zone stesse, sempre che la nuova suddivisione non sia affetta da errori di fatto o da gravi vizi di illogicità, irrazionalità o contraddittorietà.

Nel caso in questione la destinazione agricola dell’area esistente nella precedente programmazione urbanistica è stata confermata, sebbene la situazione di fatto sia stata modificata dalla ricorrente in modo abusivo o comunque senza dimostrare l’esistenza di un titolo edilizio. In materia occorre ricordare che la pianificazione urbanistica, per la sua funzione di indirizzo dell’uso del territorio, non può ritenersi vincolata alla situazione esistente né ha l’obbligo di conformarsi alla situazione di fatto, perché altrimenti perderebbe del tutto la sua funzione di indirizzo.

Per questa ragione è legittima anche la destinazione a verde di un’area già urbanizzata, anche in modo legittimo, fermo restando che la previsione urbanistica non può incidere sulle opere già realizzate, in quanto essa produce effetto solo per l’avvenire.

A maggior ragione, quindi, la trasformazione edilizia di un’area senza titolo non crea alcuna aspettativa tutelata alla conformazione della situazione di diritto a quella di fatto.

Il secondo motivo è infondato in quanto la motivazione dell’osservazione comunale non appare affetta da errori di fatto o da gravi vizi di illogicità, irrazionalità o contraddittorietà. Essa fa riferimento alla richiesta di trasformare l’area per la realizzazione di una palazzina ad uffici, rispetto alla quale l’amministrazione non ritiene opportuna la trasformazione edilizia. Tale scelta è conforme alla destinazione urbanistica esistente e non può ritenersi illogica, secondo la tesi attorea, perché non ha ammesso una destinazione produttiva in quanto il privato ha chiesto una destinazione residenziale.

Il terzo motivo è infondato in quanto in linea generale non sussiste disparità di trattamento tra previsioni urbanistiche, avendo la zonizzazione effetti intrinsecamente e necessariamente discriminatori connessi alla definizione di diverse destinazioni urbanistiche.

Questa regola generale viene meno solo laddove si dimostri che le aree oltre ad essere contigue si trovino nella medesima situazione di fatto ed abbiano le stesse caratteristiche.

Nel caso in questione le aree viciniori sono state azzonate in area edificabile in conseguenza del condono rilasciato a favore di immobili realizzati su di esse, mentre le aree del ricorrente, pur essendo state abusivamente trasformate non hanno, allo stato, goduto di alcuna regolarizzazione edilizia, con la conseguenza che le due situazioni non possono certamente essere equiparate. Nel caso contrario, infatti, si finirebbe per permettere a coloro che non hanno realizzato aree in ipotesi non condonabili, di ottenere lo stesso risultato di chi ha potuto fruire del condono, attraverso la conformazione dello stato di diritto (la destinazione urbanistica) a quello di fatto (l’area in ipotesi abusivamente trasformata), rendendo quindi addirittura più favorevole il trattamento degli abusi non condonati (o non condonabili) rispetto a quelli condonati, almeno sotto il profilo del risparmio delle spese di condono.

Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto non sussiste interesse del ricorrente a contestare la mancanza dello studio geologico nel PRG approvato, non essendo stati individuati i profili di lesione alla propria sfera giuridica connessi alla mancanza di questo documento.

Venendo ora al ricorso per motivi aggiunti, anch’esso è infondato.

Il quinto motivo di ricorso è infondato in quanto non avendo provato il ricorrente che la situazione di fatto dell’area sia legittima, neppure può vantare una pretesa tutelata al mantenimento della medesima situazione. La giurisprudenza è infatti ferma nell’affermare che i privati hanno una pretesa differenziata e qualificata solo al mantenimento di situazioni di diritto già riconosciute dall’amministrazione, laddove nel caso specifico l’amministrazione non ha mutato la situazione giuridica dell’area né il privato ha dimostrato alcun titolo al mantenimento dello stato di fatto.

Il sesto motivo è infondato in quanto la mancata conferma, in sede di controdeduzioni, della scelta di modificare la destinazione urbanistica dell’area nel senso voluto dal ricorrente, espressa dal consiglio comunale in sede di adozione, non può ritenersi viziata.

Infatti risulta che sull’area si sono concentrati una serie di interventi, alcuni provenienti dalla ricorrenti volti ad ottenere un’ulteriore miglioramento, altri, di senso contrario, provenienti dai vicini e da gruppi politici che hanno spinto l’amministrazione a stralciare la destinazione impressa in precedenza. Tale scelta potrebbe essere ritenuta illegittima solo se in contrasto con le linee generali del piano, non potendo ritenersi che qualsiasi modifica assunta nel corso dell’iter di approvazione del piano sia illegittima per il semplice fatto che si pone in contrasto con le decisioni assunte in sede di adozione, pena il completo svuotamento della natura complessa dell’atto urbanistico in questione, da sempre caratterizzato da una fase di partecipazione dei privati che permette di modificare in corsa le previsioni urbanistiche.

Deve quindi ritenersi che l’atto di adozione assuma la natura di proposta di piano che l’amministrazione può modificare purchè non in senso contrario alle linee fondamentali del piano, pena, in quest’ultimo caso, la riapertura del procedimento.

Poiché non risulta che lo stralcio delle previsioni adottate riguardanti l’area della ricorrente abbia tali caratteristiche, deve ritenersi che non vi siano ragioni per annullarla.

A ciò si aggiunge che l’interesse della ricorrente al riconoscimento giuridico dello stato di fatto esistente non può comunque essere soddisfatto con una zonizzazione favorevole, stante il divieto stabilito dall’art. 36 del DPR 380/01 secondo il quale l’attuale proprietario dell’immobile può ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, non essendo quindi sufficiente la mera identità successiva tra stato di fatto e stato di diritto delle aree.

Sussistono comunque ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sui motivi aggiunti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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