Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 21-06-2011, n. 24814 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Monza con sentenza del 9.3.2007 ai sensi degli artt. 129 e 529 c.p.p. dichiarava non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti di R.G., tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 609 bis c.p. perchè, mediante violenza consistita nell’afferrare per le braccia M. F., nel costringerlo a sdraiarsi su di una panca all’interno di uno spogliatoio del centro sportivo "V.S. VIMO" e nell’abbassargli i pantaloni e gli slip, compiva atti sessuali con la citata p.o. toccandogli lascivamente i genitali (in (OMISSIS)).

Il Tribunale, dopo aver ammesso le prove ma prima della loro assunzione, rilevava che, in assenza di idonea querela da parte del soggetto legittimato, il tenore dell’imputazione era tale da indurre ad una declaratoria di improcedibilità nei termini di cui sopra in quanto non risultava contestata la circostanza di cui all’art. 609 septies c.p., n. 2 nè tale norma era stata richiamata nè, nella descrizione del fatto, nulla era stato contestato all’imputato in ordine alla presunta qualifica rivestita o al ruolo di custodia e vigilanza nei confronti della p.o. Il reato contestato al R. era perciò, nella prospettiva del primo Giudice, procedibile a querela, nella specie non presentata, in assenza di contestazione di elementi atti a renderlo procedibile d’ufficio, rilevato che la novella del 2006 (che aveva esteso la procedibilità d’ufficio anche ai reati commessi ai danni di infradiciottenne) non era, in relazione al tempo del commesso reato e tenuto conto dell’art. 2 c.p., applicabile al caso di specie.

2. Avverso tale sentenza proponeva il P.M. ricorso per cassazione ex art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea applicazione della legge penale avendo il Tribunale pronunciato l’impugnata sentenza prima di dar corso all’istruzione dibattimentale all’esito della quale sarebbe emersa la sussistenza di fattispecie rientrante nella previsione di cui all’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2 e perciò il reato era procedibile d’ufficio.

Questa Corte con sentenza del 2.4.2008, n. 18887, rilevato che la pronuncia del Tribunale – che aveva dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale in pubblica udienza dopo la costituzione delle parti – andava considerata come sentenza dibattimentale ed era soggetta ad appello, riqualificava il ricorso in appello e disponeva la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Milano per il giudizio.

3. Fissato il giudizio di appello, all’udienza del 13.10.2009, la Corte d’appello di Milano, sulle richieste delle parti, adottava ordinanza con la quale, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa dell’imputato nella memoria in atti e riproposta in udienza, disponeva procedersi ai sensi dell’art. 604 c.p.p., comma 6, alla rinnovazione del dibattimento mediante l’assunzione delle prove orali già indicate e ammesse in primo grado.

Nel corso delle successive udienze venivano perciò sentiti i testi indicati dalle parti e si procedeva all’esame dell’imputato nonchè all’acquisizione, su accordo delle parti, delle s.i.t. di F. L. in data 10.2 e 15.9.2005.

All’esito, sentite le conclusioni delle parti, la Corte d’appello di Milano pronunciava sentenza del 3.3.2010 con cui dichiarava l’imputato R.G. responsabile del reato ascrittogli e concesse le attenuanti di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. e art. 62 bis c.p. e lo condannava alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento di entrambi i gradi di giudizio.

Applicava all’imputato la pena accessoria della interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela. Concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena. Condannava l’imputato al risarcimento dei danni subiti dalle parte civili da liquidarsi in separato giudizio liquidando una provvisionale provvisoriamente esecutiva che quantificava in Euro 15.000,00 a favore di M.F. e in Euro 5.000,00 ciascuno in favore di M.M. e Mi.Ma.Te.. Condannava altresì l’imputato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa a favore delle parti civili che liquida in Euro 1.500,00 per il primo grado e in Euro 4.500,00 per il presente grado, oltre al 12,5% spese forfettarie, Iva e Cpa.

In particolare la Corte d’appello poneva in evidenza che la persona offesa M.F., sentita all’udienza del 30.11.2009, ricostruiva puntualmente il fatto occorsogli il 21.10.2004 nello spogliatoio del centro sportivo V.S. VIMO che lui frequentava, in quanto appassionato del gioco del calcio, da circa due/tre mesi e dove il R. era vicepresidente.

La sera del 21.10.2004 doveva disputare una partita amichevole e, in vista di ciò, il R. aveva dato indicazione a lui e ai suoi compagni di squadra perchè si portassero nello spogliatoio 7, ma che aspettassero a cambiarsi in quanto probabilmente avrebbero dovuto fare un cambio di spogliatoio. Difatti di lì a 5-10 minuti il R. aveva detto loro di portarsi nello spogliatoio 3, situato sotto il tunnel, sicchè il M. si accingeva ad uscire dallo spogliatoio 7 per raggiungere il 3 quando il R. lo fermava con la mano e, mentre gli altri giocatori lasciavano lo spogliatoio 7, lo faceva rientrare dicendogli di controllare se qualcuno fosse rimasto in bagno. Il M. così faceva ma quando, dopo avere constatato che non c’era nessuno in bagno, faceva ritorno nello spogliatoio e stava per uscire, il R. chiudeva la porta dello spogliatoio e, dopo avergli rivolto delle strane domande – del tipo se avesse la ragazza, se fosse suo amico – lo spingeva su una panchina, lo faceva sdraiare, gli abbassava i pantaloni della tuta e le mutande fin sopra le ginocchia e, avvicinando la faccia alla sua, gli toccava il pene e lo muoveva cercando di masturbarlo. Al che il M., comprese le intenzioni del R. e nell’intento di sottrarvisi, fingeva di stare male e di svenire, socchiudendo gli occhi e respirando affannosamente, ed otteneva il risultato sperato perchè questi gli tirava su i pantaloni e apriva la porta tanto che la persona offesa riusciva ad uscire dallo spogliatoio. Fuori dallo spogliatoio il R. lo fermava dicendogli di tornare lì il giorno dopo perchè gli voleva parlare, ma il M., preso coraggio, gli rispondeva negativamente e correva via in direzione del tunnel dove era ubicato lo spogliatoio 3. Fuori da tale spogliatoio incontrava il compagno di squadra L.M., che si era già cambiato mentre gli altri compagni erano ancora all’interno, al quale chiedeva il cellulare per chiamare un altro compagno di cui era particolarmente amico, A. F., che però quella sera era rimasto a casa in quanto infortunato. Alla risposta del L. – di non avere credito sul cellulare – il M., pur senza dire quello che gli era successo ma in stato di agitazione e piangente, si dirigeva correndo a casa dell’ A., sita nello stesso stabile dove abitava il M. stesso, e in ciò veniva seguito dal L.. Qui giunto di corsa, suonava al citofono dell’ A., che scendeva e lo faceva salire in casa sua. All’ A. raccontava l’accaduto, mentre la madre di questi, vistolo agitato e piangente, gli dava un bicchiere d’acqua e chiamava i suoi genitori con i quali poi, subito sopraggiunti, nonchè con A.F., si recava dai locali CC per presentare denuncia. Precisava il M. che, poichè si era allontanato di corsa dal centro sportivo, non si era cambiato nè aveva giocato o fatto il riscaldamento ed anzi aveva lasciato al campo la sua borsa contenente la tenuta da gioco, borsa che poi, quella sera stessa, era stata recuperata dal padre che aveva accompagnato presso il centro il L., che doveva disputare la partita.

Osservava ancora la Corte d’appello che numerosi testi, seppure non presenti al momento preciso del fatto, riferivano sulle condizioni psicologiche del M. nell’immediatezza dell’accaduto e ciò costituiva indiretto riscontro della attendibilità della narrazione della parte offesa.

4. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con sei motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in sei motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la incompetenza funzionale della corte d’appello di Milano a giudicare sulla procedimento con conseguente nullità assoluta della sentenza. In particolare il ricorrente denuncia all’intervenuta inammissibile conversione in appello del ricorso immediato per cassazione della pubblico ministero.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza con conseguente violazione dell’art. 521 c.p.p.. In particolare il ricorrente deduce che dall’imputazione non risultava il fatto dell’affidamento del minore per ragioni di vigilanza e di custodia poi contestato nel giudizio d’appello nè risultava richiamato l’art. 609 septies c.p., n. 2.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’assoluta mancanza di motivazione dell’ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale emessa dalla Corte d’appello di Milano in data 13 ottobre 2009.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole della mancata escussione del teste F.L. e quindi della mancata assunzione di una prova decisiva.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione come risultante dal testo della sentenza e dalle sommarie informazioni testimoniali rese dal teste F.L. e acquisite previo consenso delle parti agli atti del dibattimento.

Con il sesto ed ultimo motivo e il ricorrente denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla deposizione resa dal teste S.R. all’udienza del 25 gennaio 2010. 2. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

3. Il primo motivo è infondato in una ragione della incontrovertibilità e definitività della sentenza di questa Corte (sent. del 2 aprile 2008, n. 18887, cit.) che pronunciandosi sul ricorso del pubblico ministero ha ritenuto che la sentenza emessa dal tribunale fosse suscettibile di appello e non già di ricorso per cassazione e pertanto ha convertito il ricorso del pubblico ministero in appello. Tale pronuncia, in quanto resa da questa corte in grado di legittimità, non è suscettibile di riesame.

4. Il secondo motivo riguarda la corrispondenza tra il fatto contestato e quello del quale l’imputato è stato riconosciuto responsabile ( art. 521 c.p.p.). In proposito deve rilevarsi che esattamente la corte d’appello ha ritenuto che l’art. 417 c.p.p., comma 1, lett. b), prevede l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza; ciò al fine della validità del decreto o della richiesta di rinvio a giudizio.

Pertanto non è richiesta l’indicazione delle condizioni di procedibilità della dell’azione penale; sicchè la circostanza che l’imputato fosse il vice presidente della società sportiva nonchè direttore sportivo e che comunque fosse quello al quale la parte offesa – il giovane M.F. – fosse stato affidato non necessariamente doveva risultare dalla richiesta di rinvio a giudizio. Ovviamente era necessario che su questa circostanza ci fosse il contraddittorio – così come c’è stato nella specie – e che poi risultassero provati – così come è emerso dalle risultanze probatorie del processo – gli elementi di fatto che integravano la procedibilità dell’azione penale ossia, nella specie, l’affidamento del minore all’imputato.

In proposito questa Corte (Cass., sez. un., 15 luglio 2010 – 13 ottobre 2010, n. 36551) ha affermato che, al fine della necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Nella specie l’abuso sessuale risulta puntualmente contestato all’imputato ed è di questa condotta che è stato ritenuto responsabile nel pieno rispetto del principio di correlazione tra imputazione e sentenza sancito dall’art. 321 c.p.p..

5. Il terzo motivo è manifestamente infondato giacchè la radicale omissione dell’istruttoria dibattimentale nel primo grado rendeva del tutto evidente la necessità dell’istruttoria dibattimentale in grado d’appello. Piuttosto il problema era quello della perdita di un grado di merito e ciò aveva indotto la difesa dell’imputato a prospettare una questione di costituzionalità che la Corte distrettuale ha ritenuto manifestamente infondata e che in questa sede il ricorrente non ripropone più. Comunque la Corte costituzionale con l’ord. 4 luglio 2002, n. 316, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 604 c.p.p., comma 6, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice d’appello, ove riconosca che il giudice di primo grado ha erroneamente dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale, decide nel merito, disponendo, ove necessario, la rinnovazione del dibattimento, anzichè rinviare gli atti al medesimo giudice per la celebrazione del giudizio.

6. Il quarto ed il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente tra loro, in quanto connessi, ed unitamente al sesto motivo, attendo tutti alla prova dei fatti, sono infondati giacchè sull’accordo delle parti è stata data lettura delle dichiarazioni rese dal teste F.L., dichiarazioni che la Corte d’appello ha valutato con apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità. La Corte d’appello ha motivatamente ritenuto inattendibile la circostanza riferita dal F. di essere stato lui l’ultimo a lasciare lo spogliatoio 7 chiudendo a chiave la relativa porta.

Il sesto motivo è inammissibile perchè esprime soltanto una diversa valutazione della deposizione del teste S.R. che è stata puntualmente valutato alla corte d’appello con apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità.

Del resto più in generale deve considerarsi che questa Corte (Cass., sez. 3^, 4 ottobre 2007 – 21 novembre 2007, n. 42984) ha più volte affermato che in tema di valutazione della prova testimoniale, ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni del teste minorenne che sia vittima di reati sessuali, il ragionamento probatorio non può prescindere dalla necessità che tali dichiarazioni debbano riguardare cose e persone realmente esistenti rispetto alle quali sia verosimile, al di là di ogni ragionevole dubbio, per la specificità dei dettagli e dei racconti, che il minore possa aver avuto un impatto con un’esperienza da questi vissuta come inusitata, fastidiosa e sovente traumatica. Cfr. anche Cass., sez. 3^, 18 ottobre 2001 – 3 dicembre 2001, n. 43303) che ha precisato che la deposizione della parte lesa, anche se rappresenta l’unica prova del fatto da accertare e manchino riscontri esterni, può essere posta a base del convincimento del giudice, atteso che a tali dichiarazioni non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità, dovendo peraltro il controllo sulle dichiarazioni della persona offesa, considerato l’interesse del quale può essere portatrice, essere più rigoroso in specie se trattasi di minore e l’esame concerna fatti che possono interagire con i delicati aspetti della personalità come in materia di reati contro la libertà sessuale.

Nella specie la Corte d’appello ha puntualmente motivato in ordine alla sua valutazione – comunque di merito – di piena attendibilità delle dichiarazioni della parte lesa.

7. Pertanto il ricorso, nel suo complesso, va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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