T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 22-06-2011, n. 1642

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il presente gravame la ricorrente, inquadrata nella sesta qualifica funzionale come Istruttore dell’Ufficio di Segreteria, impugna il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il comune di Solaro ha respinto l’istanza dalla stessa presentata di riconoscimento di mansioni superiori corrispondenti alla settima qualifica funzionale dalla stessa asseritamente svolte dal primo gennaio 1992 al 31 marzo 1996 nella qualità di Capo dell’Ufficio del Segretario, deducendo, sostanzialmente, la violazione da parte dell’amministrazione intimata dell’allegato A al D.P.R. n. 347/83, dal quale si evincerebbe la riconducibilità delle mansioni superiori in via di fatto svolte dalla medesima alla VII qualifica funzionaleIstruttore Direttivo.

La ricorrente in via principale formula istanza di riconoscimento del diritto alla retribuzione corrispondente alla VII qualifica funzionale, in relazione alle mansioni superiori effettivamente svolte, ed in via subordinata chiede l’accertamento del diritto all’indennità ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Si è costituita l’amministrazione intimata, che ha chiesto che il ricorso sia respinto per infondatezza nel merito.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza del 21 giugno 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Come risulta dal granitico orientamento sul punto espresso dalla giurisprudenza amministrativa, prima dell’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 – che ha natura innovativa e portata non retroattiva – nell’ambito del pubblico impiego l’eventuale svolgimento di mansioni superiori poteva dare luogo alla corresponsione delle differenze retributive non in virtù del mero richiamo all’art. 36 della Costituzione, ma solo ove una norma speciale consentisse tale assegnazione e la maggiorazione retributiva (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 758; Cons. Stato, A.P., 18 novembre 1999, n. 22; 23 febbraio 2000, n. 11; 23 febbraio 2006, n. 3).

Come più volte ribadito dal giudice di appello (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 2365 del 2010), in difetto di espresse previsioni normative che consentano l’utilizzo del dipendente in posizione diversa da quella formalmente rivestita ed attribuiscano a questa destinazione effetti modificativi del suo status di dipendente, vige il principio di irrilevanza delle mansioni superiori svolte in via di fatto, agli effetti sia dell’inquadramento che della retribuzione.

Ostano, infatti, all’attribuzione di effetti giuridici alla destinazione in via di mero fatto diversi elementi: il carattere rigido delle dotazioni di organico delle amministrazioni e i relativi flussi di spesa; l’assenza di un potere del preposto al vertice dell’ufficio di gestire in via autonoma la posizione di status dei dipendenti e il relativo trattamento economico; la garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operano nella struttura organizzativa e che possano aspirare di accedere alle mansioni di qualifica superiore in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione.

La rilevanza agli effetti economici dell’esercizio di mansioni non riconducibili alla qualifica formalmente rivestita è disciplinata dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni, per cui non è consentita la corresponsione di una remunerazione difforme da quella prevista in via tabellare per la qualifica rivestita (cfr. Cons. Stato,VI, 5 febbraio 2010, n. 532).

Devono, dunque, richiamarsi i seguenti principi enucleati dalla citata giurisprudenza e, nella specie, applicabili per il periodo di svolgimento del rapporto di lavoro dell’odierna ricorrente (19921996):

– la retribuzione corrispondente all’esercizio delle mansioni superiori può aver luogo non in virtù del mero richiamo all’art. 36 della Costituzione, ma solo ove una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva (Cons. Stato, ad. plen., n. 22 del 1999);

– l’ art. 57 del d.lgs. 29 del 1993, recante una nuova disciplina dell’attribuzione temporanea di mansioni superiori, è stato abrogato dall’art. 43 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 senza avere mai avuto applicazione, essendo stata la sua operatività più volte differita dalla legge prima dell’abrogazione e da ultimo fino al 31 dicembre 1998;

– la materia è restata disciplinata dall’art. 56 d.lgs. n. 29 del 1993, poi sostituito dall’art. 25 d.lgs. n. 80 del 1998 che, nel recepire l’indirizzo della giurisprudenza, ha previsto la retribuzione dello svolgimento delle mansioni superiori, rinviandone tuttavia l’attuazione alla nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza ivi stabilita, disponendo altresì che "fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore" (art. 56, comma 6);

– le parole "a differenze retributive" sono state poi abrogate dall’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, ma "con effetto dalla sua entrata in vigore" (Cons. Stato, ad. plen., n. 22 del 1999), con la conseguenza che l’innovazione legislativa spiega effetto a partire dall’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo n. 387 e cioè dal 22 novembre 1998;

– il diritto al trattamento economico per l’ esercizio di mansioni superiori ha, quindi, la sua disciplina in una disposizione (art. 15 d.lgs. n. 387 del 1998) a carattere innovativo, e non meramente interpretativo della disciplina previgente, per cui il riconoscimento legislativo "non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse" (Cons. Stato, ad. plen., n. 11 del 2000 e n. 3 del 2006);

– il carattere non interpretativo della innovazione introdotta dal richiamato art. 15 trova conferma nel contenuto precettivo della disposizione così modificata.

Per il periodo dal primo gennaio 1992 al 31 marzo 1996, dunque, in assenza di specifiche disposizioni per il relativo comparto di impiego che consentano la retribuzione delle mansioni superiori, come nel caso di specie, non può trovare accoglimento la pretesa patrimoniale della ricorrente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 758).

Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono, tuttavia, in considerazione della particolarità della fattispecie, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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