Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con sentenza del 14 gennaio 2009 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza resa in prime cure dal Tribunale di Savona in data 3.5.2006 e con essa la condanna dell’appellante S.N. alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, perchè giudicato colpevole del reato di cui all’art. 434 c.p., contestatogli "……perchè apriva la bombola di gas GPL da Kg. 15, apponendo sopra la valvola di apertura alcuni stracci onde favorire la trasformazione del liquido allo stato gassoso e sigillando nel contempo la finestra del locale adibito a bagno della propria abitazione, così saturando di gas l’alloggio tanto da commettere un atto diretto a cagionare il crollo della costruzione, da ciò derivandone pericolo per la pubblica incolumità. In (OMISSIS)".
A sostegno della sentenza la Corte distrettuale rilevava che quello in esame è reato di pericolo, che la concentrazione di gas era stata provata in termini di pericolosità esplosiva e che l’imputato agì nella piena consapevolezza delle gravi conseguenze disastrose connesse alla saturazione di gas volontariamente realizzata nel bagno del suo appartamento condominiale.
2. Si duole della pronuncia anzidetta l’imputato, che ricorre per cassazione con l’assistenza del suo avvocato di fiducia, chiedendone l’annullamento perchè viziata, secondo prospettazione difensiva, da violazione di legge, difetto di motivazione, mancata assunzione di una prova decisiva ai fini del decidere ed illustrando all’uopo quattro motivi di impugnazione.
2.1 Col primo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente la violazione dell’art. 434 c.p., dappoichè insussistente nel caso di specie la volontà diretta ("specifica di" annota il ricorrente) a provocare il danno, come richiesto dalla norma incriminatrice.
Tutt’al più ricorrebbe nel caso di specie, rileva altresì la difesa impugnante, una ipotesi di colpa cosciente, dappoichè accertate nel processo alcune cautele poste in essere dall’agente, sintomatiche della sua volontà di non provocare alcun danno e di mettere in guardia i consociati dal pericolo che egli stava determinando con la sua azione (biglietto di avviso del pericolo, disinserimento dell’impianto elettrico a servizio dell’abitazione).
3. La censura è fondata.
3.1 Secondo l’ormai consolidata lezione dottrinale, si ha dolo diretto o intenzionale quando la volontà dell’agente è diretta ad un determinato risultato.
Si ritengono altresì voluti i risultati di quei comportamenti che siano stati comunque previsti dal soggetto, anche soltanto come possibili, purchè egli ne abbia accettato il rischio, o, più semplicemente, purchè non abbia agito con la sicura convinzione che non si sarebbero verificati. In questa ipotesi il dolo viene qualificato dolo indiretto o eventuale.
Nell’ambito dell’elemento psicologico del reato, però, quest’ultima categoria di dolo non è ipotizzatale per ogni tipo di condotta delittuosa dolosa.
Quando accade, infatti, che la norma incriminatrice richieda espressamente che il soggetto abbia agito con un determinato fine, non è possibile ipotizzare che egli abbia agito a costo di determinarlo, dappoichè evidente in tal caso l’incongruità logica tra la premessa ed in dato ad essa collegato.
E’ quanto si registra nella ipotesi in esame. Venendo infatti alla norma incriminatrice di cui all’art. 434 c.p., la tipizzazione codicistica richiede per la sussistenza del reato che l’agente commetta "un fatto diretto a cagionare un crollo di una costruzione o di una parte di esso ovvero ad un altro disastro…", di guisa che, nella ipotesi in cui il fatto consumato sia stato posto in essere non già per conseguire questo risultato, e cioè un crollo rovinoso ovvero altro disastro, ma per conseguire altra finalità, viene a mancare sia l’elemento oggettivo del reato, che per la sua configurazione richiede, appunto, "un fatto diretto a cagionare" crolli o disastri, sia l’elemento psicologico del reato, dappoichè il dolo delineato nella ipotesi anzidescritta dalla fattispecie criminosa in esame, comporta la volontà diretta a cagionare detto crollo od altro disastro. In altri termini, è possibile ipotizzare la tipologia teoretica del dolo eventuale soltanto allorchè la legge non richieda, espressamente, che il soggetto agente si sia determinato alla consumazione della condotta con un determinato fine.
3.2 Nel caso in esame i giudici di merito hanno motivato il giudizio di colpevolezza dando per acquisito che l’imputato abbia agito al fine di suicidarsi, saturando un ambiente della sua abitazione condominiale con gas GPL liberato da una bombola da kg. 15 e valorizzando poi, come dato decisivo ai fini del giudizio, che ciò facendo l’imputato avrebbe accettato volontariamente il rischio di uno scoppio idoneo a provocare il crollo della costruzione. Ciò non toglie però, osserva in contrario il Collegio, che l’azione non fu diretta, come prescrive l’ipotesi delittuosa contestata, a cagionare il crollo, ma a togliersi la vita, di guisa che si conferma ulteriormente che nel caso in esame difetta sia l’elemento oggettivo del reato che quello psicologico e che il Tribunale, anzicchè applicare la norma di cui all’art. 434 c.p. che detta, giova ribadirlo, "….. chiunque …. commette un fatto diretto a cagionare …" ha letto la norma nel senso che essa statuisce "….. chiunque …… commette un fatto idoneo a cagionare……". 3.3 Possono, in conclusione, affermarsi i seguenti principi di diritto:
A) il dolo eventuale è incompatibile con le ipotesi delittuose nelle quali l’elemento psicologico del reato sia tipizzato nei termini di volontà diretta al raggiungimento di uno scopo preciso, opportunamente descritto dalla norma incriminatrice;
B) l’elemento psicologico richiesto dall’art. 434 c.p. per la sussistenza del reato, in quanto descritto nella ipotesi tipizzata dal legislatore come volontà diretta a cagionare un crollo od altro evento disastroso, esclude la possibilità di ipotesi concrete incriminabili a titolo di dolo eventuale.
4. Il ricorrente, come già anticipato, ha altresì illustrato ulteriori motivi di impugnazione, denunciando: a) il difetto di motivazione nella sentenza per cui è causa sotto il profilo della mancata valorizzazione da parte del giudice territoriale e comunque della errata valutazione degli elementi acquisiti al processo che avrebbero comprovato la volontà dell’imputato di evitare qualsiasi conseguenza dannosa del suo gesto; b) la mancata assunzione di prove decisive volte all’accertamento peritale che effettivamente l’azione dell’imputato abbia determinato un pericolo di crollo; c) il difetto di motivazione nel rigetto delle istanze difensive volte all’accertamento di cui al punto precedente.
Trattasi di censure la cui delibazione rimane assorbita nell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
5. La sentenza, conclusivamente, va cassata senza rinvio ricorrendo nella fattispecie l’ipotesi di cui all’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), giacchè possibile per questa Corte indicare col dispositivo le cause dell’annullamento, di per sè idonee a definire il giudizio.
P.Q.M.
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2009
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