Cass. civ. Sez. I, Sent., 03-11-2011, n. 22795 Lodo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 9.7.04, ha respinto l’impugnazione proposta dal Comune di Garniga Terme contro il lodo arbitrale del 17.7.99 che lo aveva condannato a pagare all’Impresa Costruzioni F.lli Azzzolini s.r.l., cui il Comune aveva appaltato i lavori di completamento dello stabilimento "bagni di fieno", la somma di L. 190.473.400, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno subito per l’illegittima sospensione dei lavori, nonchè L. 86.380.349 a titolo di interessi per ritardata emissione dei certificati di pagamento e per ritardato pagamento dei titoli di spesa. La Corte territoriale, accolto il motivo di impugnazione con il quale il Comune aveva denunciato il vizio di omessa pronuncia degli arbitri sull’eccezione di decadenza dell’appaltatrice, per essersi questa limitata a formulare le sue riserve solo al momento della sottoscrizione del verbale di ripresa dei lavori, senza aver sollevato alcuna contestazione nel corso della lunghissima sospensione, e dichiarata per tale ragione la parziale nullità del lodo, ha ritenuto l’eccezione infondata nel merito, osservando che la concreta idoneità della sospensione ad arrecare danni all’impresa si era manifestata nella sua effettiva consistenza proprio a causa del protrarsi del periodo di inattività per un lasso di tempo assai consistente ed imprevedibile, sicchè l’onere della riserva doveva ritenersi tempestivamente adempiuto mediante iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori.

Il Comune di Garniga Terme ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un unico motivo ed illustrata da memoria.

L’Impresa Costruzioni F.lli Azzolini s.r.l. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, il Comune di Garniga denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 54 nonchè vizio di insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Rileva che la Corte d’Appello non ha spiegato le ragioni per le quali l’idoneità della sospensione ad arrecare danni all’Impresa Azzolini si sarebbe manifestata solo a seguito del protrarsi del periodo di inattività. Osserva in proposito che, secondo la giurisprudenza della S.C., la formulazione di riserva nel verbale di ripresa dei lavori, anzichè in quello di sospensione, deve ritenersi tempestiva soltanto quando si tratti di sospensione legittima, divenuta illegittima per fatti sopravvenuti, ovvero quando la sospensione, illegittima ab origine, non era agevolmente riscontrabile come tale, o infine, se la potenzialità della sospensione ad arrecare danni è emersa solo successivamente alla cessazione della sospensione.

Deduce che la Corte territoriale, oltre a fare erronea applicazione dei predetti principi, non ha tenuto conto delle circostanze evidenziate da esso ricorrente nei propri scritti difensivi e non contestate dall’appaltatrice, ovvero: che, la sospensione, disposta per poter approvare una perizia di variante, era intervenuta in un momento in cui i lavori appaltati erano stati quasi completamente ultimati; che esso Comune non disponeva delle risorse economiche necessarie alla realizzazione della variante, che avrebbe dovuto essere finanziata (così come è in effetti accaduto) dalla Provincia Autonoma di Trento; che la perizia, oltre ad essere di variante, era anche suppletiva, comportando un notevole aumento di spesa; che l’Impresa Azzolini confidava di vedersi assegnare anche i lavoro oggetto di tale perizia; che la perizia ha comportato una radicale modifica del progetto originario, tant’è che proprio per tale ragione la sospensione è stata ritenuta illegittima; che tutte queste circostanze erano note all’appaltatrice. Assume che, a fronte di tali circostanze, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se la sospensione era da considerarsi illegittima ab origine o meno, essendo nel primo caso pacifico che l’Impresa Azzolini avrebbe dovuto apporre le riserve in calce al verbale di sospensione; che ancorchè tale accertamento sia stato totalmente omesso dalla Corte, è stata la stessa appaltatrice a riconoscere l’illegittimità originaria della sospensione.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, l’onere per l’appaltatore di tempestiva iscrizione della riserva per i maggiori costi sostenuti e/o per il pregiudizio derivatogli dalla sospensione dei lavori, non sorge necessariamente sin dal momento della sospensione, neppure se questa appaia ab origine non rientrante in una delle ipotesi contemplate dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 ma solo allorchè la potenzialità dannosa della stessa risulti concretamente percepibile secondo un criterio di ordinaria diligenza (Cass. nn. 17083/08, 15693/08, 5540/04, 15485/00, / 13038/99, 4502/98, 10502/98).

Valutare se l’appaltatore fosse o meno tenuto ad iscrivere la riserva all’atto della sospensione costituisce, pertanto, tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione.

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto che la concreta idoneità della sospensione ad arrecare danni all’impresa Azzolini si è manifestata proprio "a seguito del protrarsi del periodo di inattività per un lasso di tempo assai consistente e non prevedibile". Il ricorrente, nel criticare tale motivazione, rimprovera alla Corte di non aver considerato una serie di circostanze che, a suo dire, rendevano sin dall’inizio obbiettivamente apprezzabile, secondo criteri di ordinaria diligenza e buona fede, la potenzialità dannosa della sospensione e che avrebbero pertanto dovuto indurre l’impresa ad iscrivere la riserva già nel relativo verbale.

Sennonchè, sotto un primo profilo, deve escludersi la decisività di tali circostanze, che, quand’anche globalmente considerate, non varrebbero ad escludere la rilevanza probatoria di quelle cui la Corte territoriale ha dato prevalenza e sulle quali poggia la motivazione della pronuncia impugnata.

Per altro verso, va poi rilevato che, poichè nessuna di esse può ricavarsi dalla sentenza impugnata, mentre solo la prima risulta menzionata nell’atto di impugnazione del lodo (sebbene non nell’ambito del motivo volto a contestare la decadenza dell’appaltatrice dal diritto ad ottenere il rimborso dei maggiori oneri derivati dalla sospensione), il Comune, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, avrebbe dovuto indicare in quali dei propri ulteriori scritti difensivi ed in quali esatti termini le aveva allegate e chiarire perchè dovevano ritenersi non contestate dalla controparte. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Comune di Garniga Terme a pagare all’Impresa Costruzioni F.lli Azzolini le spese del giudizio, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *