T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 23-06-2011, n. 3357 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, Ispettore Superiore S.U.P.S. della Polizia di Stato, ha chiesto l’accertamento della sussistenza, nei suoi confronti, di una fattispecie di mobbing, ovvero, in subordine, di una ipotesi di demansionamento e dequalificazione professionale, ovvero ancora di una tecnopatia contratta a causa della condotta datoriale; nonché la conseguente condanna dell’intimato Ministero al risarcimento di tutti i danni.

La domanda è affidata ad una dettagliata ricostruzione dei fatti susseguitisi a partire dall’inizio del 2008, integranti, a giudizio del ricorrente, una palese violazione dell’art. 2087 del codice civile, il quale impone al datore di lavoro di adottare le cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.

Si è costituita l’amministrazione instando per la reiezione del gravame, alla luce della riconducibilità dei fatti indicati come sintomatici di comportamento persecutorio nei confronti del ricorrente ad oggettive esigenze organizzative dell’ufficio ovvero a comportamenti originati dallo stesso interessato.

Le conclusioni della difesa erariale sono state contestate dal ricorrente con memoria depositata il 30 marzo 2011.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 4 maggio 2011.

Motivi della decisione

Espone il ricorrente, arruolatosi nel 1981 ed assegnato alla Squadra Mobile di Napoli fin dal 1994, di essersi occupato, a partire dal 1997, del processo di informatizzazione della Squadra Mobile di Napoli, seguendo in prima persona prima i lavori di cablaggio, installazione e funzionamento dei servers e dei personal computers, poi l’organizzazione e la partenza di un servizio CED ed infine la creazione del primo portale internet della struttura di appartenenza.

Rileva come tale importante lavoro di organizzazione ha richiesto, oltre all’impegno e alla dedizione da lui ordinariamente profusi nell’attività lavorativa, sacrificio del suo tempo libero e utilizzo di risorse proprie per acquisire le necessarie competenze, senza che l’amministrazione si sia fatta in alcun modo carico della sua formazione.

Rappresenta, poi, come, a seguito del fatto che, nel dicembre 2007, si era lamentato con il dirigente della condotta poco diligente dell’agente che collaborava con lui (agente Trombino), egli ha cominciato ad essere oggetto di continue sottrazioni di sfere di competenza, fino ad essere sostanzialmente privato di qualsiasi mansione e, addirittura, di una scrivania e di un armadio nel quale custodire le sue carte, per essere, infine, trasferito in un ufficio con competenze radicalmente diverse da quelle da lui maturate nel tempo.

In seguito, assegnato all’ufficio il vice ispettore Marro, nominato in sostituzione dell’agente Trombino, il dirigente dell’ufficio operò uno sdoppiamento delle sue originarie attribuzioni, stabilendo che il nuovo arrivato si dovesse occupare delle attività di assistenza al personale del CED ed ai computers, mentre il ricorrente si doveva occupare (solo) delle attività di manutenzione del server e dello sviluppo del software.

Tale decisione, vissuta dal C.M. come penalizzante, creava a suo giudizio delle disfunzioni organizzative, ma dal momento in cui egli rappresentò la circostanza al superiore, cominciò ad essere oggetto di un trattamento sostanzialmente punitivo, per cui non veniva interpellato neppure in relazione alle decisioni relative al suo ufficio.

Altro episodio fonte di frustrazione fu la richiesta, a lui rivolta dal dirigente nel febbraio 2008 e poco dopo che aveva avuto notizia di un delicato intervento chirurgico al quale avrebbe dovuto essere sottoposta la figlia invalida al 100%, di trasmettere le sue competenze informatiche, faticosamente raggiunte a proprie spese, ad altro agente assegnato all’ufficio (agente Cristofano), per il caso in cui vi fosse una necessità di sostituzione.

Nell’occasione il C.M. chiedeva al Dirigente di sostenere una sua eventuale domanda di trasferimento al reparto mobile di Napoli, ma la richiesta veniva respinta per conservare all’ufficio la professionalità del ricorrente.

L’amministrazione, intanto, non poneva in alcun modo rimedio alle disfunzioni organizzative dell’ufficio segnalate dal ricorrente, il quale lamentava di essere costretto a sostituire il Marro in caso di assenza, con conseguenti disguidi e frizioni personali.

In data 22 gennaio 2009, gli veniva, poi, notificata una circolare secondo la quale, a seguito del disposto trasferimento del CED in altra area del palazzo e del conseguente affidamento della gestione al personale dell’Ufficio Tecnico Logistico, egli rimaneva "in attesa di incarico".

Il successivo 17 marzo, in un colloquio con il dirigente, che lo invitava a scegliere un ufficio presso il quale essere trasferito, il ricorrente riferiva che, ove non vi fosse possibilità di essere trasferito presso il CENI o all’aeroporto, egli non era interessato ad incarichi che prevedessero un suo trasferimento dalla Squadra Mobile, atteso che lo riteneva l’ufficio più adatto alla professionalità maturata.

Il dirigente lo informava che l’unico posto ove poteva essere trasferito era, tuttavia, l’ufficio prevenzione e sicurezza, a meno che il ricorrente non acquisisse la specifica richiesta di un sostituto commissario che lo chiamasse nella sua squadra, soluzione da lui reputata non perseguibile atteso che avrebbe comportato il suo collocamento in subordine rispetto a colleghi collocati in graduatoria in posizione inferiore alla sua.

A quel punto gli veniva intimato di dividere la scrivania con un collega che lavorava presso la segreteria tecnica del Dirigente e, solo a seguito dell’intervento del rappresentante sindacale, gli veniva poi concesso di "appoggiarsi" ad una scrivania all’interno dell’Ufficio Terminali, presso il quale rimaneva privo di mansioni.

Nel mese di giugno 2009, infine, gli veniva notificato un provvedimento di trasferimento d’ufficio al 3° nucleo dell’ufficio di gabinetto, da lui impugnato con ricorso a questo T.A.R., respinto con sentenza (n. 9223 del 22.12.2009) avverso la quale pende appello.

Il 15 giugno 2009, infine, gli venivano sequestrati il tesserino di riconoscimento, la pistola di ordinanza, la patente ministeriale e le manette di sicurezza.

Intanto presso strutture mediche pubbliche gli venivano diagnosticati disturbi da mobbing riconducibili, "con elevata probabilità", alle sue vicende lavorative.

La resistente amministrazione, nella sua memoria di costituzione, ha sostenuto:

che la separazione tra competenze tra lui e il vice ispettore Marro era stata determinata da "rilevanti problemi di relazione interpersonale" emersi all’interno della squadra mobile;

che anche dopo tale riassetto organizzativo permanevano le difficoltà relazionali all’interno dell’ufficio, anche in considerazione del fatto che il ricorrente aveva accentrato su di se alcune importanti funzioni, così che per la soluzione di determinati problemi erano indispensabili la sua collaborazione e la sua password;

che il trasferimento delle originarie competenze della sala server presso la squadra mobile all’ufficio tecnico logistico è stato determinato da una esigenza di centralizzazione e ottimizzazione della gestione della rete e delle risorse informatiche,

che lo spostamento di competenze informatiche presso l’U.T.L., giustificato anche dalla necessità di garantire la sicurezza della rete e il rispetto del d.lgs. 196/2003, in materia di protezione dei dati informatici, ha riguardato l’intera Questura;

che la prospettata opportunità di chiedere altra assegnazione all’interno della squadra mobile non veniva presa in considerazione dal ricorrente, il quale indicava solo sedi di assegnazione ministeriale, dimostrando, in ogni caso, di non avere interesse a permanere nella originaria struttura;

che il provvedimento con il quale il ricorrente era stato collocato in attesa di incarico, ferma restando la sua assegnazione alla squadra mobile, era stato determinato dalla sua lunga assenza dal servizio per malattia e che, comunque, era venuto meno con il provvedimento di assegnazione all’ufficio di gabinetto, corrispondente alle mansioni della qualifica di appartenenza;

che la patente ministeriale è stata revocata in conseguenza delle patologie dell’istante, anche tenuto conto della delicatezza delle funzioni da questo ricoperte;

che, con riferimento al nesso causale, era ragionevole ritenere che altra significativa forma di stress per il ricorrente è la grave patologia da cui è affetta una delle figlie.

Nella memoria depositata il 30 marzo 2011, tuttavia, il ricorrente ha contestato le conclusioni rassegnate dall’amministrazione, rilevando come:

a) anche dopo il trasferimento di competenze all’ufficio tecnico logistico sono rimasti tre addetti

all’ufficio informatico presso la squadra mobile;

b) non vi erano problemi di relazione interpersonale tra esso ricorrente e il restante personale della squadra mobile, tant’è che non vi era mai stato un corrispondente procedimento disciplinare;

c) non vi è stata alcuna attività dell’amministrazione finalizzata alla ricomposizione dei rapporti interpersonali all’interno della struttura;

d) presso l’ufficio server della squadra mobile altre due persone, oltre lui, erano dotate di password di accesso al sistema e di analoghe competenze nella risoluzione di problematiche operative del sistema medesimo;

d) la richiesta di trasferimento al CENI era stata formulata in considerazione della impossibilità di poter permanere presso la squadra mobile con attribuzioni consone al suo grado direttivo;

e) sebbene egli fosse assente dal servizio al momento in cui veniva collocato in attesa di incarico, egli era rimasto privo di attribuzioni dal 14 marzo 2009, data del suo rientro in ufficio, al successivo 8 giugno, data della nuova assegnazione;

f) la revoca del profilo di amministratore di dominio e dell’incarico di responsabile dell’unità di elaborazione dati con attribuzione al settore affari generali nell’ambito della squadra mobile, non poteva essere stata effettuata dall’ingegnere preposto all’U.T.L. (non nominato all’epoca dei fatti) e non poteva essere giustificata da una (non corrispondente ai fatti) connotazione lavorativa spiccatamente burocratica;

g) nell’ufficio di Gabinetto, di attuale appartenenza e nel quale è rientrato nel settembre 2010 dopo l’assenza per malattia causatagli dall’ingiustizia subita non svolge compiti operativi,

h) la malattia della figlia non ha mai inciso sulla sua presenza in ufficio e non è alla base dei suoi disturbi da stress, come accertato da strutture mediche pubbliche;

i) la patente ministeriale non rientra tra i documenti che devono essere restituiti in caso di patologie in atto.

L’amministrazione non ha ulteriormente replicato.

Il ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.

Quanto alla richiesta di accertamento della sussistenza di una fattispecie di mobbing, il ricorso è infondato e, conseguentemente, deve essere respinto in parte qua.

Come noto, per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (ex multis, T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 31 marzo 2011, n. 528, che a sua volta richiama Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785).

Nel caso in esame, anche tenuto conto delle precisazioni e delle puntualizzazioni operate dal ricorrente nella memoria di replica alla costituzione dell’amministrazione, rimane incontestabile la riconducibilità delle scelte salienti contestate (ripartizione delle competenze originarie della sala server tra due diversi soggetti, successivo trasferimento delle competenze all’U.T.L., collocamento del ricorrente nella posizione di attesa di assegnazione a causa dell’assenza di malattia del medesimo e assegnazione ad altro ufficio con mansioni equivalenti) ad esigenze organizzative dell’ufficio.

La circostanza che alla soddisfazione di tali obiettive esigenze organizzative sia conseguita una frustrazione delle aspettative o dei desiderata del ricorrente, non può, di per sé, attribuire alle scelte datoriali dell’amministrazione una connotazione persecutoria.

Tale connotazione persecutoria, peraltro, è stata già esclusa da questa sezione con la sentenza n. 9223 del 22.12.2009, avente ad oggetto il provvedimento di trasferimento del ricorrente dalla Squadra Mobile all’Ufficio di Gabinetto, nella quale è stato affermato che "Non risulta dal provvedimento, né aliunde – sebbene avvenimenti relativamente circostanziati siano stati sul punto riferiti in ricorso – che motivi emulativi o ritorsivi siano alla base della scelta riorganizzativa impugnata".

Del resto le difficoltà relazionali manifestate dal ricorrente, e alle quali pure l’amministrazione ha inteso porre fine mediante gli atti organizzativi contestati in questa sede, risultano confermate dalla stessa narrazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, che riferisce di (sostanzialmente) continue rimostranze del C.M. nei confronti di tutti i collaboratori a lui affiancati, lasciando sostanzialmente trapelare come egli, rivendicando a sé stesso una sorta di paternità dell’ufficio, abbia, fin dall’inizio, contestato qualsiasi novità apportata all’assetto originario da lui prescelto, soggettivamente considerato come una sorta di dovuta retribuzione all’impegno personale profuso nell’organizzazione e tale da tingere di una valenza penalizzante qualsiasi modifica apportata da terzi all’assetto medesimo.

Né può ritenersi, come prospettato nella memoria depositata da ultimo dal ricorrente, che ogni frizione personale all’interno degli uffici debba automaticamente essere accertata e sanzionata a mezzo di apposito procedimento disciplinare, restando tale opzione riservata alle ipotesi più gravi di contrasti e comunque, correttamente, evitata, ove possibile, con un tentativo di ricomposizione interna.

I singoli provvedimenti organizzatori contestati, dunque, come già affermato nella precedente sentenza n. 9223/2009 avverso il provvedimento di movimentazione del personale prot. n. 3/14429 dell’8.06.2009, risultano riconducibili a ragioni ed esigenze organizzative e funzionali effettivamente ricorrenti e non a "motivi emulativi o ritorsivi".

A tanto consegue la non qualificabilità della fattispecie in esame in termini di mobbing, in considerazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la ricorrenza di tale specifica ipotesi deve essere esclusa quando manchi la sistematicità degli episodi, ovvero i comportamenti su cui viene basata la pretesa risarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore di lavoro, funzionale all’assetto dell’apparato amministrativo o, infine, ricorra una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale(cfr., in particolare, sulla estraneità alla fattispecie del mobbing di comportamenti dell’amministrazione dei quali sia dimostrata la ragionevole e alternativa spiegazione Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015, T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 31 marzo 2011, n. 528, T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 24 settembre 2010, n. 469).

La rilevata assenza, nel caso in esame, del preteso carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del ricorrente con riferimento agli elementi fondanti della ricostruzione in fatto proposta in atti, comporta la conseguente dequotazione delle vicende secondarie ulteriori, descritte come sintomatiche di un generico clima di ostilità, peraltro, nella maggior parte dei casi, neppure sostenute da idoneo corredo probatorio.

Occorre, inoltre, ribadire come, il mobbing – proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo – non può essere ravvisato laddove la situazione di disagio debba essere ricondotta, in via prevalente, al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Umbria Perugia, 469/ 2010, cit, T.A.R. Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877).

Una particolare cautela nel valutare i comportamenti datoriali riconducibili ad esigenze organizzative generali, senza aderire alla rappresentazione e alla percezione soggettiva dell’interessato, infine, si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un corpo militare, caratterizzato per definizione da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate (T.A.R. Umbria Perugia, 2010/469 cit.).

L’accertata assenza dell’elemento materiale esonera il collegio dalla necessità di valutare gli ulteriori elementi integranti la ricorrenza del mobbing, con conseguente reiezione della domanda di accertamento e di quella riscarcitoria, dalla prima dipendente.

Va pure respinta, in quanto infondata, anche la domanda di accertamento di demansionamento o dequalificazione, formulata, in via subordinata, con riferimento al (solo) periodo che va dal 22 gennaio 2009 al successivo al 11 giugno e nel corso del quale il ricorrente è rimasto presso la squadra mobile in attesa di incarico.

Deve, infatti, osservarsi come il provvedimento che ha disposto l’assegnazione de qua è stato adottato in un momento in cui, da un lato, vi era l’obiettiva esigenza di dare conto degli effetti del (legittimo) provvedimento di riorganizzazione dell’ufficio server della squadra mobile e, dall’altro, vi era il dato obiettivo della assenza dall’ufficio del ricorrente per malattia.

Al momento del suo rientro, peraltro, nel successivo mese di marzo, al ricorrente è stato chiesto di valutare l’opportunità di una domanda di trasferimento nell’ambito della Questura, in assenza della quale, e senza che sia venuta meno la formale appartenenza del medesimo all’originario ufficio, è seguita la sua assegnazione all’ufficio di gabinetto, la cui formale equivalenza alle mansioni precedentemente svolte non è contestata dal ricorrente e il cui concreto contenuto, materialmente apprezzato dall’istante solo dopo il suo rientro in servizio nel settembre 2010, attiene a vicende successive alla proposizione del presente gravame.

In conclusione, il provvedimento del gennaio 2010, peraltro neppure tempestivamente impugnato dall’interessato, si rivela, in considerazione della fondatezza delle ragioni sottese all’adozione, delle cautele adottate al momento del rientro in servizio del ricorrente, della non apprezzabile durata degli effetti prodotti in concreto e della perdurante appartenenza di quest’ultimo alla squadra mobile nel periodo de quo, inidoneo a fondare la domanda di accertamento di demansionamento (cfr., quanto alla necessità di valutare l’aspetto temporale e la ricorrenza dell’elemento soggettivo, Cassazione civile, sezione lavoro, 22 marzo 2010, n. 6847).

Va, poi, dichiarata inammissibile la domanda di accertamento della tecnopatia che si sostiene essere stata contratta a causa della conseguente condotta datoriale, atteso che il giudizio instaurato innanzi al g.a. per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia o di una menomazione fisica, così come anche quello volto alla liquidazione di un equo indennizzo per le stesse, si configura come giudizio di impugnazione, essendo la posizione del dipendente di interesse legittimo; mentre una posizione di diritto soggettivo sorge solo una volta che ne sia avvenuto il riconoscimento ad opera della p.a. (cfr., da ultimo, T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 05 agosto 2010, n. 17232).

Alla luce dell’esito delle domande di cui sopra deve, conseguentemente, essere respinta la dipendente domanda risarcitoria.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della natura della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile nella parte in cui si chiede l’accertamento della tecnopatia e lo respinge per il resto, come meglio specificato in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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