Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-11-2011, n. 22740 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13.01.2006 il Tribunale di Siena accoglieva il ricorso proposto da F.C. e per l’effetto annullava il licenziamento a lui irrogato dal Ministero dell’Interno, ritenendo sproporzionata la sanzione espulsiva in considerazione della personalità del ricorrente, della sua storia lavorativa e delle sue condizioni familiari. Tale decisione, a seguito di appello del Ministero dell’Interno, è stata riformata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 212 del 2008, che, in accoglimento del gravame, ha rigettato l’originario ricorso del F.. La Corte ha osservato che il F. era stato tratto in arresto il 30.11.2002 in conseguenza del delitto di rapina aggravata in danno della Banca di Monteriggioni – Agenzia di (OMISSIS), era stato sospeso dal servizio il 22.01.2003 e quindi licenziato il 17.05.2005. Il procedimento penale si era concluso con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.. Su tale presupposto del "fatto commesso" – ad avviso della Corte – il datore di lavoro non aveva alcun margine di autonoma determinazione valutativa.

La stessa Corte territoriale non ha ritenuto di accedere alla deduzione preliminare dell’appellato circa la cessazione della materia del contendere.

Il F. ricorre per cassazione con tre motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.

Il F. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 100 c.p.c. e vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con formulazione di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

In particolare il F. rileva che il giudice di appello ha in modo erroneo rigettato la deduzione preliminare di cessazione della materia del contendere per carenza di interesse dell’Amministrazione a seguito della dichiarazione di inidoneità dal servizio del lavoratore.

Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha fornito sul punto adeguata e coerente motivazione, osservando che il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro era intervenuto su una condizione lavorativa ancora sub iudice, essendo del tutto pacifico che – al momento della dichiarazione dell’inidoneità – il F. prestasse servizio in esecuzione della sentenza di primo grado che lo aveva reintegrato nel posto di lavoro. Lo stesso giudice ha aggiunto che la successiva risoluzione non realizzava alcuna rinuncia ad utilizzare la prima, come era dimostrato dal fatto della proposizione dell’appello contro la sentenza del Tribunale di Siena. In tal modo, ad avviso della Corte territoriale, l’efficacia della seconda risoluzione avrebbe potuto spiegare comunque i suoi effetti solo nell’ipotesi della conferma della decisione di primo grado. Correttamente pertanto il giudice di appello ha ritenuto che anche a seguito della dichiarazione di inidoneità fisica del lavoratore permanesse un interesse dell’Amministrazione ad ottenere una pronuncia favorevole di annullamento della decisione di primo grado, e ciò anche in relazione al profilo della regolamentazione delle spese di lite.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, nel lamentare violazione dell’art. 2126 cod. civ. con formulazione di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., rileva che il giudice di appello non ha fatto buongoverno della richiamata norma, giacchè il servizio, reso nel periodo compreso tra la reintegrazione nel posto di lavoro e la dichiarazione di inidoneità, aveva prodotto effetti giuridici favorevoli al lavoratore, tra i quali il riconoscimento della retribuzione e della pensione di inabilità.

La doglianza è priva di pregio e va disattesa, giacchè nell’iter logico seguito dal giudice di appello, che, come già detto, ha escluso la ricorrenza dei presupposti della cessazione della materia del contendere in conseguenza della dichiarazione di inidonetà, trova giustificazione l’omesso richiamo al profilo dell’applicazione dell’art. 2126 c.c., che disciplina le prestazioni di fatto con violazione della legge.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 38 CCNL, degli artt. 444, 445 e 653 c.p.p. e dell’art. 2119 cod. civ., con formulazione di quesiti di diritto.

Il F. contesta la decisione di appello nella parte in cui non ha rilevato l’eccezione di illegittimità del licenziamento per mancata indicazione della violazione disciplinare commessa in relazione alla disciplina di cui all’art. 38 del CCNL, non potendosi irrogare la sanzione del licenziamento in modo automatico sulla base del solo giudicato penale, relativo a sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. che non spiega effetti automatici anche nel processo civile. Anche le esposte censure sono infondate, atteso che il giudice di appello, richiamandosi a consolidata giurisprudenza, ha ribadito l’efficacia di giudicato nei giudizi disciplinari della sentenza di patteggiamento in sede penale e su tale base ha motivato, con autonoma discrezionalità valutativa, con ricostruzione dei fatti controversi e decisivi del giudizio in ordine al gravissimo illecito commesso dal F. e sull’incidenza di tale illecito sul rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 40,00 oltre Euro 2500,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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