T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 23-06-2011, n. 5593

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento datato 31.12.2010 l’Ambasciata d’Italia in Kenya ha rigettato la domanda di visto turistico di ingresso presentata dalla ricorrente in data 21.12.2010.

Nel ricorso in epigrafe la ricorrente ha prospettato i seguenti motivi di diritto:

1). Violazione e o erronea e o falsa applicazione art. 4, comma 3, del D. lg.vo n. 286/98, violazione art. 5, comma 6, DPR n. 394/99, violazione DM Affari Esteri del 12.7.2000 e relativi allegati e della direttiva del Ministero dell’Interno dell’1.3.2000;

2). Violazione e o erronea applicazione artt. 10 e 10 bis L. 241/90 e successive modifiche; difetto di istruttoria.

In data 2.3.2011 controparte ha depositato memoria di chiarimenti.

Successivamente, le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive.

Il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa; di ciò sono stati resi edotti i difensori delle parti.

Tanto premesso, nel ricorso la ricorrente sostiene la mancanza di istruttoria e di motivazione nel provvedimento impugnato e la violazione dell’art. 10 bis L. 241/90.

Il Collegio, invece, ritiene di poter condividere quanto sostenuto in replica dall’Avvocatura che ha, puntualmente, chiarito che:

a). il visto richiesto è stato negato per mancanza di adeguate garanzie personali e conseguente rischio migratorio;

b). circa le fonti di reddito la ricorrente, nel corso di specifica intervista disposta nel quadro di una più approfondita istruttoria, ha asserito di disporre di un salario fisso mensile di 30.000 scellini keniani, a fronte del più modesto stipendio dichiarato telefonicamente dal presunto datore di lavoro, variabile tra i 10.000 e i 15.000 scellini (circa 100 euro), a seconda dell’andamento della stagione turistica;

c). è motivo di perplessità la constatazione che una assenza di 90 giorni dal posto di lavoro sia stata programmata e concessa proprio durante l’alta stagione;

d). in merito al nucleo familiare e centro della sua vita affettiva la ricorrente ha dichiarato l’esistenza di una figlia di dieci anni senza produrne l’atto di nascita, che sarebbe affidata a una nonna, e non come asserito nel ricorso, accudita dall’altro genitore del quale non risulta l’esistenza, né l’interessata ha mai fatto stato.

Dunque, in sintesi, si ritiene sussistente un serio rischio migratorio non essendo stato dimostrato un effettivo interesse della richiedente a fare rientro nel suo paese al termine del periodo di validità di un eventuale visto di ingresso in Italia.

Al riguardo, nel caso in esame l’Amministrazione ha dato -adeguatamente- conto della sussistenza di motivi ostativi, atti a supportare la legittima adozione del diniego; pertanto, nessuna contestazione può essere mossa alla stessa.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del presente giudizio, il cui importo viene liquidato come da dispositivo, debbono essere poste a carico della ricorrente in quanto soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso, come in epigrafe proposto.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della resistente per complessivi Euro 1000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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