Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-11-2011, n. 22996 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.E., F.A. e Fa.Al., quali eredi di F.G., hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto in data 10 giugno 2009, nella parte in cui la Corte di appello di Napoli – nell’accogliere la domanda di equa riparazione da loro proposta iure hereditatis, della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso dal dante causa davanti al Tribunale di Salerno con citazione notificata il 17 ottobre 1994 e definito con sentenza di primo grado del 29 dicembre 2001, impugnata in grado di appello dal de cuius, successivamente deceduto il (OMISSIS) – aveva ritenuto prescritto il diritto all’indennizzo maturato tra il 21 dicembre 1997 e il 23 maggio 1998 (dieci anni prima della proposizione del ricorso per equa riparazione), accertando così una durata non ragionevole di tre anni, quattro mesi e ventotto giorni e condannando il Ministero della Giustizia a pagare agli eredi un indennizzo complessivo di Euro 3.450,00 liquidato all’attualità.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con un unico motivo i ricorrenti censura l’applicazione della prescrizione da parte della Corte di appello di Napoli.

Il ricorso è fondato.

In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 2009/27719; 2011/478).

Il ricorso merita pertanto accoglimento e il decreto impugnato deve essere di conseguenza annullato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Premesso che il giudizio presupposto è iniziato il 17 ottobre 1994 ed è stato definito in primo grado con sentenza del 29 dicembre 2001, appellata dal de cuius Fa.Al., successivamente deceduto il (OMISSIS) durante lo svolgimento del giudizio di appello, deve tenersi conto, ai fini dell’accertamento della eventuale violazione del termine ragionevole di durata del processo, soltanto della durata complessiva del giudizio di primo grado, essendosi il grado di appello protrattosi, alla data del decesso del cuius, per un periodo inferiore alla durata di due anni, da ritenersi ragionevole alla stregua della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione.

La durata complessiva del giudizio di primo grado va dunque stabilita in sette anni e tre mesi, con conseguente superamento nella misura di quattro anni e tre mesi del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri dalla giurisprudenza sopra richiamata.

Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di quattro anni e tre mesi, l’indennizzo di Euro 3.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione delle stesse in favore del difensore dei ricorrenti, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dei ricorrenti, pro quota ereditaria, della somma complessiva di Euro 3.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.073,00 di cui Euro 578,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore del procuratore dei ricorrenti, avv. Remigio Fiorillo, dichiaratosi antistatario.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione delle stesse in favore del difensore dei ricorrenti, avv. Remigio Fiorillo, dichiaratosi antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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