Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-03-2011) 21-06-2011, n. 24942

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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Milano, pronunciando ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ha applicato a D.N. A. – imputato del reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p. per avere cagionato a J.Z. lesioni personali consistite in due ferite penetranti nella zona addominale, colpendolo con un coltello a serramanico; con recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale – la pena concordata dalle parti.

Avverso la decisione anzidetta, il PG di Milano ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Il PG ricorrente denuncia erronea qualificazione giuridica del fatto in contestazione, che avrebbe dovuto essere ricondotto al paradigma del tentato omicidio anzichè alla previsione di lesioni personali aggravate, avuto riguardo alle modalità della fattispecie, in ordine alla quale la modesta entità delle lesioni era dovuta anche al fatto che l’impatto della coltellata era rimasto attutito dalla cintura in pelle indossata dallo stesso offeso e recante un vistoso taglio.

2. – E’ indiscusso insegnamento giurisprudenziale di legittimità che, in tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) (cfr, in questi termini, Cass. Sez. Un. 19.1.2000, n. 5, rv. 215825).

Nondimeno, l’errore sul corretto nomen iuris deve essere manifesto secondo l’insegnamento di questo Giudice di legittimità, che ne ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (cfr. Cass. sez. 4, 11.3.2010, n. 10692, rv. 246394).

L’anzidetta situazione non è configurabile nel caso di specie, posto che, alla stregua delle relative peculiarità (numero delle coltellate, modesta entità delle lesioni; circostanza fattuale che la persona offesa fosse intervenuta solo per dirimere una contesa in corso e, verosimilmente, non potesse, quindi, essere segno di pregresse intenzioni omicide), non risultavano elementi idonei a sostegno di una ragionevole ipotesi di una volontà omicida in capo all’agente. E’, invero, risaputo che l’elemento discretivo tra le fattispecie del tentato omicidio e di lesioni personali risiede proprio nell’elemento soggettivo, in riferimento all’animus necandi desumibile proprio dalle oggettive modalità della condotta e delle particolarità della fattispecie (cfr. Cass. sez. 1, 20.10.1997, n. 9949, rv. 208933).

Palesemente infondato è anche il rilievo critico relativo alla motivazione, in quanto la pur sintetica enunciazione del giudice a quo in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto deve ritenersi sufficiente in riferimento alla particolare natura della sentenza di patteggiamento, siccome idonea a dar conto della previa, doverosa, valutazione del giudice in ordine al fatto ed al suo nomen iuris.

3. – Per quanto precede il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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