Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-11-2011, n. 22985 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.G., quale erede di S.M., ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 10 giugno 2009, nella parte in cui la Corte di appello di Milano ha rigettato, in quanto prescritta, la domanda di equa riparazione da lei proposta iure hereditatis, L. n. 89 del 2001, ex art. 2, per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso dal dante causa davanti alla Corte di conti con ricorso del 22 aprile 1991 e definito con sentenza del 16 aprile 2008, dopo che il menzionato de cuius era deceduto l'(OMISSIS).

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dal controricorrente per inidoneità del quesito di diritto, formulato nei seguenti termini:

"Può il giudice, in materia di giudizi ex L. n. 89 del 2001 applicare l’eccezione di prescrizione, li dove vi è uno specifico riferimento normativo all’istituto della decadenza?". Infatti il quesito di diritto articolato nel ricorso soddisfa i requisiti previsti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis, in quanto indica con sufficiente chiarezza la regola di diritto posta a base del decreto impugnato e la diversa regola ritenuta applicabile da parte ricorrente.

Con un unico motivo la ricorrente censura l’applicazione della prescrizione da parte della Corte di appello di Milano.

Il ricorso è fondato.

In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 2009/27719; 2011/478).

Il ricorso merita pertanto accoglimento e il decreto impugnato deve essere di conseguenza annullato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Al riguardo va preliminarmente disattesa la tesi esposta dal Pubblico Ministero, secondo il quale nella specie andrebbe esclusa la sussistenza del danno non patrimoniale, avendo la ricorrente riassunto in proprio il giudizio a distanza di molti anni, così dimostrando disinteresse all’esito del giudizio stesso e mancanza di patema d’animo per il protrarsi della sua durata. Infatti nel caso di specie il ricorrente ha proposto il ricorso per cassazione esclusivamente nella sua qualità di erede, facendo così valere ii diritto già maturato in capo al de cuius e non il diritto proprio conseguente alla riassunzione del giudizio da parte sua, potendo semmai tale non sollecita riassunzione incidere sulla determinazione dell’ammontare dell’indennizzo. Quanto alla decisione nel merito – premesso che il giudizio presupposto è iniziato il 22 aprile 1991 e che il de cuius della ricorrente è deceduto l'(OMISSIS) – la durata complessiva di detto giudizio va stabilita in tre anni e dieci mesi, con conseguente superamento nella misura di dieci mesi del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione.

Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di dieci mesi, l’indennizzo di Euro 625,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione delle stesse in favore dei difensori della ricorrente, dichiaratisi antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 625,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 775,00 di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore dei procuratori della ricorrente, avv.ti Cosimo Lovelli e Daniele Oliviero, dichiaratisi antistatari. Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione delle stesse in favore dei difensori della ricorrente, avv.ti Cosimo Lovelli e Daniele Oliviero, dichiaratisi antistatari.

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