Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-03-2011) 21-06-2011, n. 24934Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1 luglio 2010 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, su richiesta ex art. 444 c.p.p., ha applicato la pena di anni due e mesi otto di reclusione a C.S. per i reati di bancarotta patrimoniale, documentale e societaria, unificati dal vincolo della continuazione.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente lamenta che il giudice di merito non abbia verifica-to in concreto l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., limitandosi ad escluderla con formula stereotipata.

Col secondo motivo si duole che, nella modulazione della pena secondo il regime della continuazione, si sia omessa l’indicazione del reato individuato come il più grave.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, in conformità alla richiesta del Procuratore Generale in sede.

Per quanto concerne il primo motivo va qui ribadito il principio, già ripetutamente affermato da questa Corte Suprema, a tenore del quale la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p. (Cass. 10 gennaio 2007 n. 4688).

A confutazione del secondo motivo va detto che l’irretrattabilità dell’accordo raggiunto dall’imputato col pubblico ministero in ordine alla sussistenza e qualificazione giuridica del fatto, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e alle modalità di applicazione della pena non consente che le determinazioni assunte dal giudice in conformità a tale accordo vengano sindacate in sede di legittimità, se non nell’ipotesi – qui neppure prospettata – in cui sia stata irrogata una pena illegale.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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