Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-03-2011) 21-06-2011, n. 24880

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A seguito dell’annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di una precedente sentenza assolutoria, il giudice di pace di Aversa è stato nuovamente investito del giudizio sulla responsabilità penale di A.G. per il delitto di minaccia ai danni di D.A..

Secondo l’ipotesi accusatoria la A. aveva indirizzato alla D. le parole "se questa non la finisce, la faccio finire a modo mio".

Con sentenza in data 20 gennaio 2010 il giudice ha assolto l’imputata ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, ravvisando uno stato di incertezza sia sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sia sull’efficacia intimidatoria delle espressioni attribuite all’imputata.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, affidandolo a un solo motivo. Con esso si richiama al principio giurisprudenziale secondo cui le dichiarazioni della persona offesa posso assurgere anche da sole a fonte di prova, purchè superino il vaglio di attendibilità; sotto altro profilo contrasta il giudizio dubitativo espresso dal giudice di merito in ordine all’efficacia intimidatoria delle espressioni usate dalla A., richiamandosi anche al suo comportamento complessivo.

Il ricorso è privo di fondamento.

E’ bensì vero che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, le dichiarazioni della persona offesa dal reato possono anche da sole costituire prova di responsabilità dell’imputato.

Perchè ciò possa aver luogo, tuttavia, è necessario che la deposizione superi il vaglio di attendibilità ad opera del giudice:

il quale deve essere ancor più rigoroso quando la persona offesa, costituendosi parte civile, si ponga in una posizione di specifico interesse all’esito del processo.

Di ciò il giudice di pace ha dimostrato di farsi carico, analizzando la deposizione testimoniale della D. e rinvenendo al suo interno delle reticenze, riguardanti la pendenza di controversie civili fra le parti o i loro familiari, aventi ad oggetto i rapporti di vicinato. Ciò ha indotto il giudicante a porre in dubbio l’attendibilità della persona offesa e, in assenza di ulteriori risultanze istruttorie, a considerare non adeguatamente provata la ricostruzione dell’episodio offerta dalla D.: donde la disposta assoluzione della A. ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

Siffatta linea argomentativa è del tutto conforme a legge e resiste al vaglio di consequenzialità logica: per cui, resistendo a critica la valutazione in punto di fatto, non è necessario addentrarsi nella disamina della questione inerente alla valenza intimidatoria – pur essa posta in dubbio dal giudice di merito – delle espressioni attribuite all’imputata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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