Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-03-2011) 21-06-2011, n. 24879 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 3 novembre 2009 il Tribunale di Ascoli Piceno – sezione distaccata di San Benedetto del Tronto – in composizione monocratica, confermando la decisione assunta dal locale giudice di pace, ha riconosciuto C.T. responsabile dei delitti di ingiuria e minaccia aggravata, unificati dal vincolo della continuazione, ai danni del vice brigadiere dei carabinieri Ca.Gi. e dell’appuntato Ca.Do.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il C. aveva minacciato i due militari di rovinarli e di farli trasferire in (OMISSIS), accusandoli di "rompere i coglioni alla gente che abita a dieci metri".

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a cinque motivi.

Col primo motivo il ricorrente denuncia illogicità di motivazione nella parte in cui il giudice di appello ha disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, con la quale si era inteso far valere l’incomprensibilità del deliberato insita nella disposta applicazione delle "aggravanti generiche" in regime di prevalenza sulle attenuanti; sostiene che il Tribunale, interpretando la statuizione nel senso della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, ne ha poi contraddittoriamente affermata l’equivalenza. Osserva che, in alternativa, vi sarebbe nella sentenza di appello una reformatio in peius, non essendo consentito – in assenza di impugnazione del pubblico ministero – modificare in senso peggiorativo il bilanciamento tra circostanze.

Col secondo motivo il ricorrente ripropone in questa sede le eccezioni di nullità della sentenza di primo grado per: 1) inosservanza del principio di correlazione fra accusa e condanna, avendo il giudice di pace ravvisato la sussistenza di "aggravanti generiche" mai contestate; 2) impossibilità di stabilire la norma di riferimento in ordine alle "aggravanti generiche"; 3) omissione grafica della motivazione in ordine al bilanciamento delle circostanze.

Col terzo motivo il C. lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, che indica dell’assunzione del teste Ca.

E., presente ai fatti e già ammesso con un provvedimento poi inaspettatamente revocato.

Col quarto motivo deduce la difformità del contenuto della deposizione resa dal teste c.f., rispetto a quanto riferito nella sentenza.

Col quinto motivo, infine, il ricorrente contesta la configurabilità dei reati di cui agli art. 594 e 612 c.p., negando valenza offensiva o intimidatoria alle frasi pronunciate nella circostanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato soltanto nella parte concernente il trattamento sanzionatorio, onde va accolto per quanto di ragione.

Ciò non è a dirsi in ordine al terzo, quarto e quinto motivo, alla cui trattazione conviene assegnare priorità in quanto sottopongono questioni attinenti alla responsabilità dell’imputato.

In ordine all’invocata riapertura dell’istruzione dibattimentale per dare ingresso all’audizione del teste Ca.El., ammesso in un primo tempo dal giudice di pace con provvedimento poi revocato, il giudice di appello ha esaurientemente motivato il proprio diniego con l’osservare che il necessario presupposto perchè possa farsi luogo all’integrazione probatoria è costituito dalla decisività del mezzo di prova: la quale, ha subito aggiunto, nel caso di specie è del tutto carente; infatti la circostanza sulla quale il teste dovrebbe essere chiamato a deporre (cioè la distanza fra l’imputato e gli operanti al momento del fatto) è già acquisita al processo in virtù di altra deposizione testimoniale, nonchè di ammissione delle stesse parti civili.

Corre poi l’obbligo di osservare, con notazione di dirimente valenza, che il carattere decisivo del mezzo istruttorio pretermesso è richiesto, altresì, dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) perchè la mancata assunzione possa essere denunciata quale vizio della sentenza nel giudizio di cassazione.

Le contestazioni mosse dal ricorrente relativamente al contenuto della deposizione del teste c.f. si appuntano sulla ricostruzione di fatti successivi che, a ben guardare, non sono determinanti ai fini dell’affermazione di responsabilità del C. per l’episodio descritto dal capo d’imputazione. Il giudice di merito ha accertato che, nel corso dello scontro verbale avuto col Ca.Gi. e col Ca.Do., l’imputato ebbe effettivamente a rivolgersi a costoro in termini non soltanto ingiuriosi, ma accompagnati dalla minaccia di rovinare la loro carriera e di farli trasferire in (OMISSIS). Sempre in quel contesto – ancora secondo la ricostruzione scaturita dal giudizio di merito – egli preannunciò ai due interlocutori che avrebbe immediatamente telefonato al Procuratore della Repubblica Dott. c. per denunciare il loro comportamento e far loro passare la voglia di "rompere i coglioni alla gente che abita a dieci metri". Che poi abbia dato effettivamente seguito a quella minaccia, oppure no, non rileva ai fini della consumazione del reato ex art. 612 c.p., per la quale non si richiede che il fatto ingiusto prospettato al soggetto passivo sia poi effettivamente posto in essere.

Quanto testè osservato apre la strada alla disamina del quinto motivo, con cui il ricorrente infondatamente contesta la valenza offensiva e minacciosa delle espressioni da lui rivolte ai graduati dei carabinieri che aveva di fronte. La prospettazione di effetti nocivi sulla loro carriera, da provocarsi attraverso l’intervento di superiori gerarchici che il C. ostentava di conoscere personalmente, integra senza dubbio la minaccia di un danno ingiusto potenzialmente idonea ad intimidire gli interlocutori: il che soltanto rileva, vertendosi in tema di reato di pericolo; quanto al volgare lessico utilizzato nel riferirsi alla violazione contestatagli dai verbalizzanti, non merita censura il giudizio espresso dai giudici di primo e di secondo grado circa la sua attitudine a ledere il decoro dei pubblici ufficiali cui tali parole furono rivolte.

Venendo ora al trattamento sanzionatorio, evidente è l’anomalia insita nella apparente applicazione, da parte del giudice di pace, di "aggravanti generiche" non codificate e prive di qualsiasi addentellato con le norme codicistiche. A ben guardare, peraltro, tale anomalia ben si spiega in base a un errore materiale in forza del quale l’aggettivo "generiche" è stato involontariamente apposto al sostantivo "aggravanti", anzichè a quello "attenuanti", cui normalmente accede. A una rilettura della sentenza di primo grado, finalizzata a emendarla dal menzionato errore, si riscontra che il giudice di pace ha inteso, nel giudizio di bilanciamento, attribuire alle contestate aggravanti una prevalenza sulle attenuanti generiche.

Da ciò deriva che il giudice di secondo grado, nel rivedere la comparazione delle circostanze pervenendo a un giudizio di equivalenza, non è certamente incorso in una reformatio in peius, avendo modificato la statuizione in senso più favorevole all’imputato. Ha tuttavia mancato di trame le dovute conseguenze, omettendo di evidenziare la riforma nel dispositivo e di ridurre correlativamente la pena irrogata al C..

Il vizio così evidenziato della sentenza impugnata ne comporta l’annullamento in parte qua; non occorre, tuttavia, disporre il rinvio al giudice di merito, in quanto all’omessa riduzione di pena è possibile sopperire in questa sede. Avuto riguardo alla sanzione irrogata dal giudice di primo grado (Euro 800,00 di multa) ed eliminato l’aumento per l’aggravante – unica contestata – di cui all’art. 61 c.p., n. 10, la pena viene ad essere rideterminata in Euro 600,00 di multa.

Poichè la rilevata infondatezza delle censure concernenti la colpevolezza del C. comporta il mantenimento delle statuizioni civili, ne emerge la soccombenza dell’imputato nei confronti delle parti civili, alle quali pertanto compete la rifusione delle ulteriori spese sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata nella somma di Euro 1.105,16, comprensiva di Euro 1.000,00 per onorari, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’entità della pena, che ridetermina in Euro 600,00 di multa;

rigetta il ricorso nel resto e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in complessivi Euro 1.105,16, di cui 1.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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