T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 23-06-2011, n. 1686

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto del 19.5.2008, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia, ha comunicato al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria che il ricorrente "a) è rappresentante legale della società F.D. srl in liquidazione, ancora operativa, che svolge attività di elaborazione elettronica dati contabili, con sede in Piazza Borromeo 10, Milano. La sede della società corrisponde alla sede legale della Ditta individuale, intestata al predetto, che ha svolto, a tale titolo, attività professionale sino al 4.2.1998; b) il figlio del Dott. D.N., Luca, è contitolare della società "fiscalità srl, con sede sempre in via Borromeo 10, Milano. Quest’ultima società è depositaria di scritture contabili di diverse società, fra cui alcune già gestire da F.D. il cui legale rappresentante è, come innanzi detto, il dott. A.D.N.".

Con atto notificato al ricorrente in data 24.11.2008, il Consiglio di Presidenza ha deliberato "l’apertura del procedimento dell’accertamento di eventuali cause di incompatibilità nei confronti del Dott. A.D.N." prospettando "l’ipotesi di sussistenza delle cause di incompatibilità di cui all’art. 8, 1° comma, lett. m) ed i) del D.Lgs. 545/92".

In sede istruttoria, il Consiglio ha convocato e sentito il ricorrente in data 24.3.2009 ed ha richiesto all’Agenzia delle Entrate ulteriori chiarimenti in ordine alle notizie dalla medesima già fornite.

Acquisiti detti esiti istruttori, l’Amministrazione ha adottato il provvedimento di decadenza che parte ricorrente ha in questa sede impugnato, deducendo, sotto svariati profili, la violazione degli artt. 8, comma 1, lett. i), 12 e 24 del D.Lgs. n. 545/1992, dell’art. 10 della L. n. 241/1990, degli artt. 3, 4, 36 e 97 della Costituzione, degli artt. 2484 e ss. c.c., dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, degli artt. 53, 63, comma 2, c.p.c. affermando l’insussistenza dei presupposti di applicazione della norma, nonché il difetto di istruttoria e di motivazione e la contraddittorietà dell’agire amministrativo.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del TAR adito, stante l’intervenuta impugnazione di un provvedimento promanante da un’Autorità centrale e, nel merito, l’infondatezza delle avverse doglianze.

Nella camera di consiglio del 13 ottobre 2010, il Collegio, preso atto dell’eccezione sollevata dalla resistente Amministrazione, ha proposto, con ordinanza m. 190, regolamento di competenza ex art. 15 comma 5 c.p.a. senza adozione di alcuna misura.

Nelle more del giudizio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con decreto del 21.9.2010, notificato all’interessato il 22.12.2010, ha disposto la decadenza del ricorrente dall’incarico di giudice della Commissione tributaria provinciale di Milano.

Detto decreto è stato impugnato con motivi aggiunti depositati il 24.2.2011, con reiterazione dell’istanza di sospensione, deducendo l’illegittimità in via derivata del provvedimento sopravvenuto.

Nella camera di consiglio del 23 marzo 2011, ritenendo che le ragioni del ricorrente potessero essere tutelate mediante una sollecita fissazione della discussione nel merito del ricorso, la causa è stata rinviata, per la trattazione, all’odierna pubblica udienza all’esito della quale è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato in virtù della intervenuta cessazione della causa di incompatibilità in epoca antecedente all’avvio del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di decadenza, dedotta con il primo motivo di ricorso, nonché della palese contraddittorietà dell’agire amministrativo evidenziata in sede di formulazione del secondo motivo di ricorso.

Con il primo motivo, parte ricorrente ha contestato la ricorrenza dei presupposti di applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. i) del D. Lgs. n. 545/1992 a norma del quale "non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali:…i) a decorrere dal 1 ottobre 2001, coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l’assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario".

Il motivo è fondato.

L’Amministrazione, in particolare, ha contestato al ricorrente lo svolgimento dell’attività di liquidatore di una società ancora operativa, in possesso di scritture contabili per conto della clientela e svolgente attività di consulenza "che non può ritenersi occasionale o sporadica".

Il ricorrente, nominato Giudice della Commissione tributaria provinciale di Milano nel 1986, ha effettivamente svolto, dal 18.1.2006 al 19.9.2008, la funzione di liquidatore della Società F.D. S.r.l. (posta in liquidazione il 18.1.2006 con assunzione della denominazione di F.D. S.r.l. in liquidazione) avente quale oggetto sociale un variegato ventaglio di attività di consulenza ed intermediazione, ma "con espressa esclusione dello svolgimento di tutte le attività previste dalla legge disciplinante le società di intermediazione mobiliare e con la precisione che le attività riservate agli iscritti in albi professionali vengano svolte con il possesso di tale requisito. L’attività di natura finanziaria anche se strumentale, non sarà comunque esercitata nei confronti del pubblico".

La cessazione dalla carica individuata dall’Amministrazione quale causa di incompatibilità rilevante ai sensi del citato art. 8, come evidenziano le date sopra riportate, anche quando avesse comportato lo svolgimento di attività incompatibili con lo status di giudice tributario (e la circostanza non è in ogni caso stata provata), come sopra evidenziato, é precedente all’avvio del procedimento finalizzato alla determinazione della decadenza del ricorrente intervenuto solo in data 24.11.2008.

Il provvedimento impugnato è, quindi, stato adottato in un momento in cui il presupposto dell’agire amministrativo era già venuto meno mentre, come la giurisprudenza maggioritaria ha avuto modo di precisare, l’adozione del provvedimento di decadenza presuppone il perdurare della condizione ostativa, riconoscendo ai soggetti che versano nelle situazioni di incompatibilità rilevanti ai sensi della sopra richiamata normativa, di sottrarsi alla misura inibitoria rimuovendo la causa di incompatibilità (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 3 giugno 2004, n. 2353).

La disciplina normativa prevede, infatti, che il Giudice tributario interessato venga "notiziato dall’organo d’autogoverno dell’apertura di siffatto procedimento e degli elementi in base ai quali l’Organo reputa di dover procedere, in forza di un’apposita deliberazione del CPGT stesso, la quale dà all’interessato la facoltà, tra l’altro, di presentare deduzioni e documenti. Sicché questi, fin dal momento in cui riceve la deliberazione con cui il CPGT attiva il procedimento ex art. 12 del Dlg 545/1992, è sempre in grado, se lo vuole, di far cessare immediatamente la causa d’incompatibilità e, per l’effetto, paralizzare ogni declaratoria di decadenza (cfr, TAR Pescara, 20 febbraio 2003 n. 296)". (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 2 luglio 2009, n. 6379).

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto l’erroneità della affermazione relativa alla perdurante operatività della Società Fiscal data.

In disparte l’impossibilità giuridica di tale condizione, stante la modifica dell’oggetto sociale una volta intrapresa la fase liquidatoria, l’allegata cessazione di ogni attività di consulenza della Società, già partire dal gennaio 2006, trova conferma nella nota datata 27.7.2007 della stessa Agenzia delle Entrate nella quale (in esito a istanza della medesima di disapplicazione delle norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del DPR n. 600/1973) si riconosce che F.D. "ha dimostrato l’effettività dello stato di liquidazione e l’inequivocabile intenzione di portare a termine la procedura, ha inoltre indicato e documentato le strategie e le principali cessioni effettuate nel primo anno di liquidazione. Si osserva, infatti, che la stessa ha posto in essere una serie di operazioni riconducibili alle finalità tipiche della procedura liquidatoria; in particolare ha provveduto a ridurre le immobilizzazioni materiali nonché ad incassare parte dei crediti commerciali sino dimezzarli".

Ciò evidenzia un palese profilo di contraddittorietà dell’agire amministrativo, derivante da una carente attività istruttoria, tale da minare l’attendibilità della determinazione in questa sede impugnata.

La fondatezza delle descritte censure determina l’accoglimento del ricorso relativamente alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati.

Il ricorrente ha chiesto altresì il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’adozione del provvedimento impugnato consistente nella privazione dello stipendio a partire dal mese di giugno 2010 e nella lesione della propria immagine.

La domanda è da accogliersi parzialmente.

Il danno prodotto in capo al ricorrente è oggettivamente sussistente e si identifica nella mancata percezione degli emolumenti che gli sarebbero derivati dall’esercizio delle funzioni.

Altrettanto certo è che il pregiudizio patito si pone in rapporto di diretta consequenzialità con la già accertata illegittimità del provvedimento.

Quanto all’elemento psicologico, sebbene la sola accertata illegittimità dell’atto non comporti, per ciò solo, la sussistenza di un danno risarcibile (Cons. Stato, Sez. VI, 14 settembre 2009, n. 5323) è, tuttavia, pacifico in giurisprudenza che il particolare modo di atteggiarsi dell’elemento psicologico, qualora il soggetto agente sia una pubblica amministrazione, non richiede al privato danneggiato l’assolvimento di particolari oneri probatori (Cons. Stato, Sez. VI, n. sentenza 9 marzo 2007, n. 1114).

Pur non essendo, infatti, configurabile una generalizzata presunzione di colpa dell’Amministrazione in presenza di un atto illegittimo, in simili casi, possono tuttavia operare regole di comune esperienza e le presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. e

"il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile". (Cons Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

Nel caso di specie l’evidenza degli illustrati profili di illegittimità del provvedimento impugnato, nonché la mancanza di univoche allegazioni dell’Amministrazione nel senso, escludono di per sé la ricorrenza di una simile esimente.

Residua quindi la sola questione relativa alla quantificazione del danno che il ricorrente chiede di quantificare nei seguenti termini:

– quanto alla mancata corresponsione della retribuzione, nell’importo corrispondente alle mensilità non percepite calcolate in via presuntiva sulla base degli emolumenti risultanti dall’ultima dichiarazione dei redditi (anno 2009);

– quanto al danno all’immagine, in un importo determinato in via equitativa.

Con riferimento alle mensilità non percepite si rileva che la retribuzione del ricorrente si compone di una quota fissa, pari a Euro 311 mensili, e di una variabile in funzione della produttività, ovvero determinata dal numero di provvedimenti redatti.

Relativamente alla prima componente, il ricorrente deve essere ristorato integralmente con un importo pari alla suddetta quota fissa moltiplicata per tutte le mensilità non percepite nel periodo di illegittima sospensione dalle funzioni.

Con riferimento alla seconda componente si ritiene che il criterio la quantificazione dell’importo in questione possa essere individuato sulla base della retribuzione pregressa ma, ai fini di una maggior attendibilità del dato presuntivo, riferendosi, in luogo dei soli redditi 2009, al reddito medio registrato nell’ultimo triennio.

Deve, infine, essere respinta la domanda risarcitoria riferita al preteso danno all’immagine subito dal ricorrente in conseguenza della notorietà assunta dalla misura illegittimamente subita nel proprio contesto lavorativo, stante la estrema genericità con la quale è stata formulata in ricorso e in ogni caso il pieno ristoro conseguito con l’accoglimento dell’introdotta impugnativa.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto quanto alla domanda di annullamento e accolto in parte quanto alla domanda risarcitoria.

Sussistono, tuttavia, in virtù della peculiarità delle questioni trattate, giuste ragioni per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe proposto lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati e condanna l’Amministrazione resistente al risarcimento del danno nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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