Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-03-2011) 21-06-2011, n. 24869 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 20.4.09, il tribunale di Pescara ha confermato la sentenza 27.5.08 del giudice di pace della stessa sede, con la quale F.F. era stato condannato alla pena di Euro 250 di multa,al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perchè ritenuto colpevole dei reati, uniti ex art. 81 cpv. c.p., di ingiuria e minaccia in danno di D.S.. Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. vizio di motivazione, in quanto il tribunale, trascurando le prospettazioni difensive, ha effettuato un esame sommario degli elementi probatori. In particolare, a fronte della critica concernente la mancanza di inidoneità della frase pronunciata dal F. a limitare la libertà psichica del querelante, il giudice di appello si è limitato ad affermare che l’espressione "appare soprattutto nella parte relativa alla paventata aggressione fisica " idonea a coartare l’altrui determinazione. Per quanto concerne la mancata applicazione della scriminante della provocazione, si è limitata di nuovo ad affermate che la condotta, attribuita al D., di essersi opposto all’accesso "appare immune da censure". Con l’uso della parola "appare" il giudice ha messo in evidenza che l’affermazione della responsabilità non è ancorata a criteri di certezza processuale, necessari affinchè sia irrogata una sanzione penale.

Il giudice ha inoltre valorizzato ,a conferma delle dichiarazioni della persona offesa,l’affermazione del teste, secondo cui l’imputato "ebbe ad imprecare", senza considerare che il teste ha aggiunto che questi non offese o minacciò alcuno dei presenti.

2. violazione della legge penale, in riferimento all’art. 599 c.p., comma 2.

Un attento esame della vicenda processuale consente di rilevare che la condotta del D. ha i caratteri della provocazione.

Il F. e il geometra V. avevano chiesto all’inquilino di accedere al locale, per effettuare un legittimo accertamento urbanistico, ai fini della concessione del condono in sanatoria, ma l’accesso è stato negato senza giustificato motivo, realizzandosi quindi un comportamento illegittimo o comunque contrario alle norme del vivere civile.

3. vizio di motivazione per travisamento del fatto: il giudice di appello ha addotto, a dimostrazione della fondatezza delle sue argomentazioni, elementi privi di completezza in relazione alle specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi di appello , dotate del requisito della decisività.

Il ricorso si articolo in motivi manifestamente infondati.

Appare pienamente confacente al significato corrente delle espressioni usate dal F. ("ti meno, ti faccio vedere io") la loro qualifica come minacciose, ex art. 612 c.p., in virtù del riconoscimento della loro attitudine a coartare la libertà morale dell’inquilino, al fine di consentire l’ingiustificato ingresso nella sua abitazione.

Quanto al contrasto di questo comportamento con specifiche norme giuridiche o a regole di convivenza civile, correttamente il giudice ne ha ricostruito la causa (il D. conduceva in locazione i locali, con contratto stipulato con la moglie dell’imputato e non era al corrente della necessità dell’accertamento a fini del condono) e ha concluso che la persona offesa non era quindi tenuto a consentire l’accesso a persone non legittimate. Ne deriva l’assoluta conformità alle risultanze processuali (lineari e precise affermazioni accusatorie del D. e la parziale conferma derivanti dal riconoscimento di "imprecazioni" del F.) della ricostruzione dei fatti e della loro logica interpretazione, contenute nelle conclusioni del giudice di appello: è stato corretto e giustificato il divieto di ingresso opposto dalla persona offesa e la mancanza di qualsiasi giustificazione per le affermazione fortemente offensive dell’imputato.

Il ricorso è quindi inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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