Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-02-2011) 21-06-2011, n. 24932

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Verona, pronunciando ai sensi dell’art. 444 c.p.p., applicava a V. M. la pena concordata dalle parti (anni uno di reclusione ed Euro 400,00 di multa, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata e riconosciuta altresì la continuazione, in relazione al reato di cui agli artt. 110, 56 e 624- bis c.p. e art. 625 c.p., nn. 2 e 5 perchè, in concorso con altri, aveva posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di valori, beni ed effetti personali di F. F., sottraendoli dall’abitazione dello stesso, in particolare introducendosi in tale abitazione previo sfondamento di un vero di una finestra e forzatura del relativo infisso e rivoltando all’interno dei mobili; evento non verificatosi per cause non dipendenti dalla sua volontà, e del reato di cui agli artt. 110 e 707 c.p. perchè, già condannata per delitto determinato da motivi di lucro, era stata trovata in possesso di un grosso cacciavite e di una tenaglia; con l’aggravante della violenza sulle cose e del fatto commesso da quattro persone riunite.

Avverso la decisione anzidetta, il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo d’impugnativa, parte ricorrente denuncia violazione di legge, con riferimento all’erronea interpretazione dell’art. 99 c.p., comma 4, come modificato dalla L. n. 251 del 2005.

La Corte Costituzionale aveva dichiarato facoltativa la recidiva prevista dalla norma anzidetta, mentre era stata ritenuta obbligatoria l’ipotesi di recidiva di cui al comma 5 della stessa disposizione sostanziale. Erroneamente il giudice aveva ritenuto che il giudizio di equivalenza delle generiche fosse limitato alla sola recidiva, senza estenderlo alle altre aggravanti contestate. La pena avrebbe dovuto essere determinata in relazione al reato autonomo di cui agli artt. 56, 624 bis e 625 e quindi nella misura di mesi quattro di reclusione; il giudicante aveva invece ritenuto che fosse da individuarsi in quello di cui all’art. 56 c.p..

2. – La censura è palesemente infondata. Ed invero, al di là dell’erronea indicazione delle parti e del riferimento in dispositivo, non v’è dubbio, anche in ragione dell’entità della pena applicata, che il giudizio di equivalenza sia stato di fatto esteso a tutte le contestate aggravanti. Di talchè, la pena in concreto inflitta all’imputata (anni uno di reclusione ed Euro 400 di multa) non è illegale in quanto ricompresa nei limiti edittali previsti per la fattispecie del reato tentato ai sensi degli artt. 56 e 624 bis (minimo legale tra mesi quattro e mesi otto e mesi di reclusione e quello massimo tra anni due ed anni quattro di reclusione; mentre il minimo della multa va da Euro 103 a Euro 206;

mentre il massimo va da Euro 344 a Euro 688).

3. – Per quanto precede il ricorso è inammissibile ed alla relativa declaratoria conseguono le statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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