Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-02-2011) 21-06-2011, n. 24930Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Trieste, pronunciando ai sensi dell’art. 444 c.p.p., applicava a C. S. la pena concordata dalle parti in relazione al reato di cui agli artt. 81 e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2 e artt. 56 e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2, per essersi impossessato di danaro e vari beni introducendosi nello studio di un avvocato, nella sede di un’associazione, negli uffici di una società ovvero tentato di introdursi in appartamenti.

Avverso la decisione anzidetta, il PG ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Il PG ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 624, 624-bis e 625 c.p., nella forma tentata e consumata, sul rilievo che i fatti in contestazione rientravano nel paradigma dell’art. 624 bis in quanto compiuti in luoghi di privata dimora, nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Deduceva, quindi, che il calcolo della pena era errato, di talchè l’impugnata sentenza avrebbe dovuto essere annullata.

2. – Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.

E’ indiscusso, in proposito, che, con il ricorso per cassazione può essere denunciata l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) (cfr., in questi termini, Cass. Sez. Un. 19.1.2000, n. 5, rv. 215825).

Nel caso di specie, era evidente, alla stregua della stessa formulazione del fatto racchiusa nei capi d’imputazione, che le fattispecie contestate in rubrica erano riconducibili al paradigma dell’art. 624 bis, essendo pacifico – come esattamente rilevato nella requisitoria scritta del PG in sede – che il reato di cui all’anzidetta norma sostanziale resti integrato ogni qual volta la condotta delittuosa sia compiuta nei luoghi nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, come studi professionali, esercizi commerciali, negozi et similia.

Orbene, la norma di cui all’art. 624 bis c.p., che avrebbe dovuto essere applicata al caso di specie, prevede l’ipotesi aggravata ove ricorra una o più delle circostanze previste dall’art. 625, comma 1, comminando la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da Euro 206 a Euro 1549.

La pena applicata con il patteggiamento in questione è, dunque, inferiore al minimo edittale ed è, pertanto, contra legem.

L’erronea qualificazione giuridica delle fattispecie è causa di invalidità della sentenza impugnata, che va, dunque, dichiarata nei termini di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Trieste per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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