Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-11-2011, n. 22935 Patti successori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 21/24 aprile 1992, S. O. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Brescia i fratelli G., A., F., anche come erede della sorella M.T., Gi. e L. per ottenere una sentenza di trasferimento del bene immobile (OMISSIS) previa dichiarazione di autenticità delle sottoscrizioni di cui alla scrittura privata in base alla quale lo stesso O. aveva dichiarato di accettare le disposizioni testamentarie del padre Gi., in base alle quali gli era stata riconosciuta la sola legittima di L. 30.000.000 mentre gli altri beni, di cui era stata nominata usufruttuaria generale la moglie Fe.Gi., erano stati lasciati agli altri fratelli, ed aveva accettato che costoro tramutassero tale quota indivisa nel trasferimento del predetto immobile, nonchè la somma di L. 40.000.000, rinunciando ad ogni azione per eventuali diritti successori derivanti dalla futura successione materna.

2. – Il Tribunale adito respinse la domanda, giudicando nulla la scrittura in quanto configurante un patto successorio in ordine alla futura successione materna.

3. – Avverso tale decisione S.O. propose gravame, rigettato con sentenza depositata il 25 maggio 2005 dalla Corte d’appello di Brescia, che, quanto alla prima censura, con la quale si sosteneva la validità della convenzione in quanto prevista per il solo caso di successione in assenza di testamento, mentre l’art. 458 c.c. prevede la nullità dei soli patti rinunciativi ad una successione a favore di chi vi rinuncia, e che altro è rinunciare al diritto, altro rinunciare all’azione per eventuali diritti successori, non essendo la seconda una vera e propria rinuncia, ma attenendo solo ad aspetti patologici della vicenda, osservò la Corte di merito che si trattava della riproposizione di motivi già svolti nel giudizio di primo grado, e respinti con congrua motivazione dal primo giudice, relativa alla circostanza che la rinuncia era comunque riferibile ai diritti connessi ad una successione futura. La Corte rilevò altresì che la distinzione proposta dall’appellante non aveva ragion d’essere perchè l’azione non è che il mezzo attraverso il quale si esercita il diritto sostanziale.

Quanto al secondo motivo, con il quale si sosteneva che la clausola in questione sarebbe stata affetta da nullità parziale, sicchè non sarebbe stata idonea a travolgere l’intero negozio in quanto avrebbe avuto un’esistenza autonoma e avrebbe perseguito un risultato distinto, e che comunque essa non sarebbe stata essenziale, rilevò la Corte che il tenore testuale della convenzione non lasciava dubbi sul fatto che si trattasse di clausola essenziale nell’economia dell’intero contratto poichè l’appellante era stato tacitato con il trasferimento di un bene immobile e la somma di L. 40.000.000, sicchè, essendo la nullità originaria, il vizio era eliminabile solo attraverso una vera e propria rinegoziazione.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.O. sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso S.G., che, a sua volta, ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 458, 1362 e 1418 cod. civ. e dell’art. 99 cod. proc. civ..

Avrebbe errato la Corte di merito nel giudicare nulla la clausola in questione, relativa alla rinuncia dell’attuale ricorrente ad ogni azione per eventuali diritti successori derivanti dalla futura successione materna, in quanto l’art. 458 cod. civ. prevede la nullità dei patti successori rinunciativi, mentre la convenzione in esame sarebbe stata limitata al solo caso di successione in assenza di testamento. Inoltre, con la clausola di cui si tratta S. O. aveva affermato di rinunciare non alla propria quota successoria della futura successione materna, ma, come dianzi riferito, ad ogni azione per eventuali diritti successori.

2.1. – La doglianza è infondata.

2.2. – Essa si risolve sostanzialmente nella riproposizione di argomenti già svolti in primo grado e disattesi dal Tribunale di Brescia, quindi nuovamente sollevati nel giudizio innanzi alla Corte d’appello di Milano, la quale ha condiviso le motivazioni del primo giudice, ritenendo, pertanto, che la convenzione di cui era stato chiesto l’adempimento si sostanziava in un patto successorio in ordine alla futura successione materna, alla quale S.O. aveva rinunciato verso corrispettivo. Nè alcun rilievo ha assunto nella vicenda della convenzione de qua la distinzione, evidenziata dal ricorrente, tra la rinuncia al diritto, cui esclusivamente farebbe riferimento l’art. 458 cod. civ., e la rinuncia all’azione di riduzione, che si sarebbe verificata nella fattispecie.

Al riguardo, la Corte di merito ha rilevato che l’azione è il mezzo attraverso il quale si esercita il diritto, sicchè la rinuncia all’azione coincide con la rinuncia al diritto.

2.2. – In effetti, la distinzione operata dal ricorrente non trova fondamento nel dettato normativo: l’art. 458 cod. civ. fa divieto – sanzionato dalla nullità – da un lato, di convenzioni aventi per oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, dall’altro di ogni convenzione che abbia per oggetto la costituzione, modificazione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e faccia sorgere un vinculum iuris, di cui la successiva disposizione testamentaria rappresenti l’adempimento.

3. – Con la seconda censura si deduce la violazione dell’art. 1419 e degli artt. 1362 e 1367 cod. civ.. Avendo la clausola in questione un’esistenza autonoma, e perseguendo un proprio risultato, essa non potrebbe essere ricondotta alla restante parte del contratto si da determinarne la nullità. La contraria affermazione, relativa alla interdipendenza delle clausole, avrebbe dovuto comunque essere provata. Inoltre, la clausola in questione costituirebbe un quid pluris che potrebbe essere considerato tamquam non esset nella economia generale del contratto, nel senso che senza di essa la convenzione del 16 aprile 1986 conserverebbe il proprio oggetto, rappresentato dalla liquidazione della quota di legittima di S. O. attraverso la dazione di un bene e di una somma.

Troverebbe, pertanto, applicazione nella specie il principio generale di conservazione del contratto di cui all’art. 1367 cod. civ., rispetto al quale la estensione della nullità di una clausola all’intero negozio costituisce l’eccezione, e non la regola. In particolare, in tema di patti successori – si osserva nel ricorso, la nullità degli stessi, secondo la giurisprudenza, non produce la nullità degli atti in cui essi sono contenuti ove non risulti che i contraenti non li avrebbero conclusi senza quella clausola. Nella specie, il carattere non essenziale della clausola in questione sarebbe confermato dalla perizia depositata nel giudizio innanzi al Tribunale di Brescia, dalla quale si desumeva che il valore complessivo della massa ereditaria era pari ad Euro 2.505.000,00, mentre il valore della convenzione del 16 aprile 1986 ammontava ad Euro 120.550,00, e quello dell’oggetto della clausola in questione era di circa Euro 7500,00. Inoltre, tra l’altro, S.F. e A. avevano dichiarato che avrebbero sottoscritto la convenzione anche in assenza della clausola de qua.

4.1. – La doglianza è destituita di fondamento.

4.2. – Anch’essa – come la prima – ha già formato oggetto, in buona sostanza, del giudizio di appello: la Corte territoriale, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha giudicato la clausola in esame essenziale nella economia dell’intero contratto, motivando correttamente e plausibilmente il proprio convincimento alla stregua del rilievo che l’attuale ricorrente aveva ottenuto la proprietà dell’immobile (OMISSIS) e la somma di L. 40.000.000, non solo a fronte dei suoi diritti di legittimario sull’eredità paterna, ma anche quale corrispettivo della rinuncia alla quota di spettanza sull’eredità materna.

In presenza di siffatta esaustiva motivazione, nessun potere sindacatorio residua in capo a questa Corte.

5. – Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 184 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata ammissione dei mezzi istruttori, nonchè la insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato il giudice di secondo grado nel non ammettere le prove per testi dedotte con riguardo, tra l’altro, ai movimenti della gestione patrimoniale della madre e dei fratelli del S., ammissibili e rilevanti in quanto idonee a confermare che l’accordo transattivo in questione fosse stato spontaneamente adempiuto da alcuni dei fratelli S..

6.1. – La doglianza è inammissibile.

6.2. – La Corte di merito ha esaminato le richieste istruttorie del S., escludendo la necessità dell’acquisizione di ulteriori dati, alla stregua del rilievo della estrema chiarezza della volontà delle parti estrinsecatasi nella convenzione de qua, che rendeva, a suo avviso, superflue le deduzioni istruttorie dell’attuale ricorrente senza considerare che la eventuale volontà degli altri fratelli di quest’ultimo non avrebbe comunque potuto acquisire alcun peso avendo S.G., uno di essi, invocato la nullità della convenzione.

7. – In tale situazione, il ricorrente sembra volere, in sostanza, inammissibilmente ottenere da questa Corte un nuovo esame degli atti di causa ed una rivalutazione delle acquisizioni probatorie.

8. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio – che vengono liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza e vanno, pertanto, poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3700,00, di cui Euro 3500,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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