T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 23-06-2011, n. 674 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 19.04.2010 il sig. L.M.X., cittadino cinese, ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, il provvedimento Cat. A.12/09 Uff. Imm. n. 54/09 con il quale il Questore di Biella, il 5.05.2009, aveva disposto la revoca del suo permesso di soggiorno per lavoro subordinato, rilasciato in base a un contratto di soggiorno stipulato con la ditta D.D. di X. con sede ad Ivrea, risultata di fatto inesistente.

Il ricorrente ha lamentato 1) violazione di legge in relazione all’art. 5 co. 5 ed art. 22 d.lgs. n. 286/98, eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti, carenza ed erroneità della motivazione, difetto di istruttoria; 2) violazione di legge in relazione all’art. 5 co. 5 d.lgs. n. 286/98, eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti, carenza ed erroneità della motivazione, difetto di istruttoria; 3) violazione di legge in relazione all’art. 5 co. 5 d.lgs. n. 286/98, violazione di legge in relazione all’art. 10 bis l.n. 241/90, eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti, carenza ed erroneità della motivazione, difetto di istruttoria; 4) erronea applicazione dell’art. 10 bis l.n. 241/90, violazione di legge in relazione agli artt. 7, 8 e 10 l.n. 241/1990, omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 l.n. 241/90.

In data 12.05.2010 si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, deducendo l’infondatezza sia della domanda cautelare che del ricorso.

Con ordinanza n. 344/i/2010 del 13.05.2010 il Tribunale, ritenuto necessario integrare gli elementi di giudizio, ha ordinato all’Amministrazione di depositare atti e documenti relativi al procedimento definito con il provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 480/2010 del 24.06.2010 (confermata dal Consiglio di Stato) il Collegio ha rigettato la sospensiva per mancanza del fumus boni iuris.

All’udienza pubblica del 18.05.2011 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di ricorso il sig. L.M.X. ha dedotto l’insufficienza di motivazione del provvedimento impugnato, nel quale l’Amministrazione non avrebbe considerato la sua buona fede nel prestare attività lavorativa per la ditta D.D. di Y.X.X., la brevità del suo rapporto di lavoro con tale impresa, sostituito da un contratto a tempo indeterminato con altro datore di lavoro, e, soprattutto, l’avvenuto esercizio da parte sua del ricongiungimento familiare con la moglie ed i figli minori.

Tali censure non sono fondate e devono essere rigettate: come evidenziato dalla Questura di Biella nel provvedimento impugnato – e come più diffusamente illustrato nel rapporto sui fatti di causa depositato in atti – il permesso di soggiorno del ricorrente è stato revocato per l’inesistenza dell’impresa con la quale era stato sottoscritto il contratto di soggiorno.

A seguito delle indagini della Squadra Mobile di Biella circa un sodalizio criminale italocinese dedito alla creazione di documentazione fittizia per favorire l’immigrazione clandestina e la permanenza illegale di stranieri di nazionalità cinese in Italia, il nominativo del ricorrente è, infatti, comparso nell’elenco dei soggetti coinvolti e l’indirizzo da lui fornito per il recapito sul territorio nazionale – Strada Barazzetto Vandoro n. 91 a Biella – è risultato coincidente con una delle residenze fittizie indicate dai cittadini stranieri nelle istanze di rilascio dei permessi di soggiorno.

Alla luce di tali fatti correttamente la Questura di Biella ha provveduto alla revoca del titolo rilasciato al ricorrente: stabilisce, invero, l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 che il permesso di soggiorno è revocato "…quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato (…) sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio..".

Pertanto, se si accerta che lo straniero, come nel caso in questione, – al fine di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato – ha prodotto, in sede procedimentale, documentazione falsa, attestante un rapporto di lavoro in realtà insussistente, il titolo, erroneamente rilasciato, non può che essere revocato.

Tale interpretazione non si pone in contrasto con le norme invocate dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio.

Come ha avuto modo di affermare anche la Corte Costituzionale, l’interesse dello straniero a soggiornare nello Stato non è, infatti, tutelato in maniera incondizionata, ma deve essere bilanciato con altri interessi di carattere generale, quali quelli inerenti all’assicurazione di un ordinato flusso migratorio ed alle esigenze di sicurezza pubblica (cfr. Corte Cost. sent. 16/05/2008 n. 148). Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno, ove non sussistono i presupposti richiesti dalla legge per il suo rilascio, deve reputarsi costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati e, secondo una condivisibile opinione giurisprudenziale, affinché possa essere disposta la revoca non è necessario che la falsità degli atti sia dichiarata da una sentenza penale definitiva di condanna, potendo l’autorità amministrativa procedere ad una autonoma valutazione che, se condotta alla stregua di criteri di ragionevolezza e confortata da idonei elementi di riscontro, non è soggetta al sindacato del giudice amministrativo (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV, 20/07/2009 n. 4386; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 11/03/2009, n. 1400).

Non condivisibili sono, inoltre, le argomentazioni svolte circa la pretesa violazione dell’art. 5 comma 5 del d.lgs. n. 286/98 nella parte relativa alla necessità per l’Amministrazione di valutare, in caso di esercizio del ricongiungimento familiare, i legami familiari del cittadino straniero in Italia ed i rapporti con il Paese di origine.

Da un lato, come evidenziato dalla Questura nel rapporto sui fatti di causa, la documentazione falsa posta alla base della domanda di permesso di soggiorno è stata utilizzata dal ricorrente anche per ottenere il ricongiungimento familiare, dall’altra nella stessa data del 5.05.2009 (giorno dell’emissione del provvedimento impugnato) l’Amministrazione ha anche negato alla moglie del sig. L.M.X. il permesso di soggiorno per motivi familiari.

Da qui la superfluità di qualsiasi ulteriore valutazione dei legami familiari dell’interessato sul territorio nazionale, visti la mancanza di un presupposto indefettibile per la sua lecita permanenza in Italia (la presentazione, in allegato alla domanda di rilascio del titolo di soggiorno, di documentazione veritiera circa il possesso di una occupazione lavorativa) ed il carattere insanabile della violazione costituita dall’allegazione di documentazione fittizia.

La necessità che i dati forniti all’amministrazione siano genuini, oltre a rappresentare una ineludibile condizione di qualsivoglia procedimento amministrativo, è, infatti, particolarmente sentita dal legislatore che, in tema di stranieri, ha espressamente stabilito all’art. 4, comma 2, ultimo cpv., d.lgs.n. 286/98 che "la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda".

Orbene, non v’è chi non veda, come il rinvio dinamico operato dall’art. 5 del T.U. sull’Immigrazione all’art. 4 fornisca autonomo rilievo alla circostanza storica della falsità in sé e per sé considerata, così da rendere ininfluente anche la successiva prova di una eventuale nuova attività lavorativa.

Da tale norma discende, dunque, come detto, il fatto che l’autorità amministrativa debba necessariamente revocare allo straniero il titolo di soggiorno qualora accerti che gli elementi presi in esame e indispensabili per la lecita permanenza sul territorio nazionale non sono, in realtà, sussistenti, perché falsi.

Parimenti infondati sono, infine, anche gli ultimi due motivi, relativi all’inidoneità della omessa comunicazione da parte del ricorrente della variazione del suo domicilio abituale a determinare la revoca del permesso e alla concessione di un termine eccessivamente breve (dieci giorni) per la presentazione di memorie e documenti nel corso del procedimento.

Da un lato, infatti, come evidenziato dall’Amministrazione l’inosservanza dell’art. 6 comma 8 d.lgs. n. 286/98 non è stata posta alla base della revoca del permesso, ma è stata menzionata nel provvedimento impugnato solo "per formulare un complessivo giudizio negativo riguardo all’inserimento dello straniero in Italia, che ha dimostrato un’incapacità nel rispetto delle regole", dall’altro il ricorrente, dopo soli cinque giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio, risulta aver partecipato al procedimento producendo la visura camerale della ditta per cui svolgeva attività lavorativa, senza chiedere un ulteriore termine per allegare ulteriori documenti o argomentazioni a sostegno delle sue ragioni.

In base alle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, rigettato.

Per la natura della controversia sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando,

– rigetta il ricorso;

– compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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