Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-02-2011) 21-06-2011, n. 24782Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 10 agosto 2010 e pubblicata il 16 settembre successivo il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da C.F.A., ha escluso la circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito in L. n. 203 del 1991, di cui ai capi a) e b) dell’editto accusatorio, confermando nel resto l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, in data 21 luglio 2010, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del C., sottoposto ad indagini per i delitti previsti dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12- quinquies convertito in L. n. 356 del 1992 capo a) e dall’art. 629 cod. pen. Capo b).

Dopo aver rigettato la preliminare eccezione difensiva circa l’inutilizzabilità degli atti di indagine ex art. 407 c.p.p., comma 3, non emergendo da alcun elemento del fascicolo che essi fossero stati compiuti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari, da computare a partire dall’Iscrizione del C. nel registro delle persone indagate in relazione agli specifici reati oggetto di contestazione, il Tribunale del riesame ha precisato che il procedimento de quo costituisce uno stralcio da altro precedente procedimento, recante il n. 3687/2004 r.g.n.r. della Procura della Repubblica di Catanzaro, nell’ambito del quale, in data 6 novembre 2006, il P.M. aveva emesso un decreto di sequestro preventivo d’urgenza nei confronti, tra gli altri, dello stesso C., in relazione ai delitti di cui agli artt. 416-bis, 353, 648-bis, 323 e 322 cod. pen., che era stato convalidato con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 20 novembre 2006, il quale aveva anche adottato un autonomo provvedimento di sequestro di un’altra serie di beni (denaro, titoli azionari, beni immobili e beni mobili registrati).

La vicenda che qui interessa si inserisce, dunque, nel contesto della predetta più ampia indagine ed è relativa, quanto al capo a), alla società "Catarsi Marine s.r.l." (di proprietà del C.), società di costruzione di imbarcazioni, e alla dismissione dell’assetto aziendale di essa in favore di altra società, la "CNC Cantiere Navale Crotone s.r.l.", operante nel medesimo settore, che, seppure formalmente intestata ad altri soggetti, è stata ritenuta riconducibile allo stesso C., sulla base dei contenuti di intercettazioni telefoniche puntualmente illustrati nell’ordinanza del Tribunale.

Da essi sarebbe emerso: a) che l’indagato, già dal 1 settembre 2006, stava lavorando alla creazione di una nuova società, la predetta "CNC s.r.l.", al solo scopo, secondo l’impostazione accusatoria, di mettere al riparo la "Catarsi Marine s.r.l." ed il relativo compendio aziendale da provvedimenti giudiziari conseguenti alle indagini da tempo avviate nei suoi confronti per presunti collegamenti con la cosca mafiosa degli Arena, sfociate nell’emissione del provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza di cui si è detto e, prima ancora, nella negazione del certificato antimafia alla "Catarsi Marine" da parte della Prefettura; b) che il C. poteva contare su una serie di personaggi a lui devoti, quali M.F. (alias Ma.), C.F., G.G. (alias P.) e Ca.An., per portare a termine il trasferimento aziendale; c) che la chiusura della "Catarsi Marine s.r.l." e l’apertura di una nuova società che avrebbe preso in affitto l’azienda della prima, al fine di metterne al riparo i beni da probabili interventi dell’Autorità, erano state espressamente prospettate dal C. ad un suo interlocutore telefonico e si erano storicamente concretizzate nella costituzione, il 20 ottobre 2006, della predetta "CNC s.r.l.", originariamente compartecipata al 10% da Ca.An. (segretaria oltre che cugina del C.) ed al 90% dal pur fidato G.G. (alias P.), il quale aveva trasferito le sue quote alla "So. Mo. Trans. Ma.", con sede in (OMISSIS) (legalmente rappresentata da F.B., persona a sua volta legata al C.), e, successivamente, il 7 gennaio 2009, alla predetta Ca. che era divenuta, pertanto, esclusiva titolare delle quote della CNC, di cui solo il 10% era stato ceduto, il 14 ottobre 2009, ad A.S., dipendente della medesima società.

Di fatto, quindi, secondo il Tribunale del riesame, la CNC era stata voluta, costituita e costantemente rimasta nella piena disponibilità del C., come dimostrato anche da altri elementi investigativi (la sua diretta partecipazione al sopralluogo nella sede sociale e alla pratica assicurativa conseguenti alla denuncia, in data 1 settembre 2009, di danneggiamenti ad opera di ignoti), e ciò al fine di consentire il fittizio trasferimento ad essa dei beni e del compendio aziendale della Catarsi Marine, essendo l’indagato esposto a misure di prevenzione patrimoniali, e per agevolare la perpetrazione dei delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen., in relazione ai quali, il 20 novembre 2006, il Giudice per le indagini preliminari aveva convalidato l’iniziale sequestro di altre società pure riconducibili al C., per le sue frequentazioni con Ar.Pa. e L.P., noti per essere esponenti della cosca Arena imperante nella provincia di (OMISSIS).

Riguardo al reato di estorsione, contestato al capo b), il Tribunale del riesame ha confermato i gravi indizi di colpevolezza, desumendoli dal contenuto delle intercettazioni telefoniche; dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, B.P.; e dalle vicende delle società Catarsi Marine s.r.l., CNC s.r.l. e Blue Ship s.r.l.

(quest’ultima legalmente rappresentata dal predetto B.).

Secondo l’impostazione accusatoria, condivisa dal giudice, l’elemento di raccordo tra le due contestazioni (quella di trasferimento fraudolento di valori e di estorsione) risiederebbe nella dichiarazione dello stesso C. ai suo interlocutore telefonico, in data 26 ottobre 2006, del seguente testuale tenore:

"Si chiude questa attività e si apre un’altra società con il fitto d’azienda (…) per evitare che questi possano davvero creare questa difficoltà, nel frattempo l’esercizio continua".

In queste parole sarebbe racchiuso il programma criminoso dell’indagato, il quale, per salvare il compendio aziendale e l’assetto societario della Catarsi Marine, e sottrarlo ai provvedimenti dell’Autorità giudiziaria e della Prefettura di Roma, non solo avrebbe costituito una società ad hoc, la CNC s.r.l., fittiziamente intestata a persone a lui vicine e destinata ad acquisire il patrimonio a rischio della Catarsi, ma, nell’ottica di fornire una parvenza di regolarità alla detta operazione e non palesare il passaggio del pacchetto aziendale della Catarsi Marine alla CNC comunque riconducibile al C., aveva previsto un’operazione intermedia, rappresentata appunto dal "fitto" dell’azienda della Catarsi Marine alla Blue Ship, affitto che, nel progetto dell’indagato ignoto al B., avrebbe dovuto essere solo temporaneo e concludersi con il definitivo trasferimento dell’intero compendio aziendale della Catarsi alla sola CNC. L’interposizione della Blue Ship s.r.l., la quale, rappresentata dal B., stipulò un contratto di affitto aziendale con la Catarsi Marine in data 3 gennaio 2007 seguito, a distanza di pochi mesi, il 13 dicembre 2007, dalla cessione del medesimo contratto alla CNC s.r.l., costituisce l’episodio oggetto della contestazione di estorsione.

Il C., dopo aver ceduto in affitto l’azienda della Catarsi Marine alla Blue Ship, avrebbe sottoposto il B. a continue pressioni e vessazioni, integranti gli estremi della minaccia implicita, indiretta e/o larvata, idonei a configurare il delitto di estorsione, con le seguenti condotte: a) permanenza costante negli uffici della Catarsi comportandosi come titolare; b) formulazione di indebite richieste di denaro al B., mascherandole quali anticipazioni sul canone trimestrale, conseguendo, già dopo il primo trimestre, ben 100.000 Euro a fronte dei 25.000 + iva previsti in contratto; c) pressante richiesta di stipulare un contratto di assicurazione contro gli incendi per tutelare beni e macchinari (cosa che il B. faceva, indotto anche da un incendio subito dal C. in (OMISSIS)); d) costrizione del B., esasperato dall’invadente comportamento del C., a trovare altri locali dove trasferirsi (quelli presi in affitto dal fallimento della Frigo Service s.r.t.), con richiesta di risoluzione del contratto con la Catarsi; e) induzione (rectius: costrizione) del B. a cedere il contratto di affitto con la Catarsi alla CNC, a lui indicata dallo stesso C., per l’irrisorio prezzo di Euro 1.000,00 a fronte di un complessivo corrispettivo di cessione dell’affitto aziendale stimato in tre milioni di euro; f) mancata restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di anticipo sui canoni d’affitto, nonostante la cessione del contratto.

Confermati i gravi indizi di colpevolezza con riguardo ad entrambe le ipotesi criminose, il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente la contestata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 con la quale si attribuiva al C. il fine di aver voluto "agevolare le attività illecite dell’associazione di stampo mafioso denominata "cosca Arena" attualmente operante nel territorio di (OMISSIS) e la cui esistenza veniva accertata con sentenze del Tribunale di Crotone n. 149 del 7.7.1996 e n. 91 del 3.5.1996 ormai definitive".

Ad avviso del Tribunale, infatti, pur emergendo chiari legami tra l’attività imprenditoriale di C. ed esponenti di rilievo della cosca Arena, nulla, allo stato degli atti, ricollegava le condotte delittuose come sopra contestate, e, quindi, le vicende della Catarsi Marine s.r.l. e della CNC s.r.l., agli interessi economici della predetta associazione mafiosa; nè era possibile rinvenire elementi indiziari, seppure minimi, per ipotizzare il coinvolgimento nelle attività economiche suddette, di altri soggetti legati alla medesima organizzazione criminale.

Quanto alle esigenze cautelari, esclusa la presunzione legislativa di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, il Tribunale ha ritenuto comunque sussistere, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., un quadro cautelare tale da imporre la misura di massimo rigore, con riguardo al concreto pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, attesa la condotta criminosa non isolata del C., indice di inclinazione a delinquere e di scaltra personalità, in grado di contare su una rete di contatti utili al perseguimento dei suoi fini illeciti, e di conseguire con ogni mezzo i propri obiettivi anche in danno di altri imprenditori inconsapevoli.

Il Tribunale ha valutato come sussistente, altresì, l’esigenza cautelare probatoria, considerata la necessità di approfondire le Indagini con riguardo ad ulteriori operazioni economiche di dubbia liceità riconducibili al C. (simulazione di compravendita di un terreno tra la "ITA Immobiliare s.r.l." dell’indagato e la "Milano Marittima", cui si connette il reperimento, nel corso di una perquisizione domiciliare a suo carico, di copia di titoli del 2008 mai incassati); il concreto pericolo di condizionamento del B. da parte dell’indagato; e il serio ostacolo alla collaborazione della persona offesa costituito dalla libera circolazione del C..

In particolare, la misura della custodia in carcere è stata ritenuta l’unica idonea a salvaguardare le predette esigenze poichè gli arresti domiciliari avrebbero consentito al C. margini di movimento e libertà con esse incompatibili, tenuto anche conto dei rapporti preferenziali dell’indagato con esponenti di spicco della cosca Arena (dimostrati da un vicenda relativa alla vendita di un’autovettura blindata del gruppo mafioso per sottrarla ai provvedimenti dell’Autorità giudiziaria e al ricorso ad esponenti politici locali, tramite Ar.Pa., per rimediare al mancato rilascio del certificato antimafia) e della gestione, da parte del C., di somme assolutamente ingiustificate rispetto agli esigui redditi dichiarati. Queste ultime circostanze, pur non rivelando con sufficiente gravità indiziaria una matrice mafiosa delle somme investite dal C. nella Catarsi Marine prima e nella CNC dopo, sono state tuttavia apprezzate come sintomatiche di una personalità criminale di elevato profilo e di una pericolosità dell’indagato non arginabile col regime cautelare di tipo domestico.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorrono per cassazione sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro sia il C. tramite i suoi difensori, avvocati Pantaleone Sulla e Vincenzo Ioppoli.

3. Il Procuratore della Repubblica denuncia vizio di motivazione con riguardo all’esclusione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per avere il Tribunale del riesame, da un lato, sbrigativamente negato i gravi indizi di sussistenza della detta aggravante con riguardo ai delitti contestati, e, dall’altro lato, per avere evidenziato, nella motivazione in tema di esigenze cautelari giustificanti la conferma della misura di massimo rigore, i legami del C. con esponenti della cosca mafiosa Arena di (OMISSIS) (risalenti almeno all’anno 1985), attestati dalle sue notevoli disponibilità economiche sproporzionate ai redditi dichiarati, dall’essersi adoperato per sottrarre l’autovettura blindata di pertinenza della cosca a misura di prevenzione reale, dall’avere frequentato e mantenuto contatti con Ar.Pa. e L.P., eminenti esponenti del medesimo sodalizio, coinvolti negli affari del C. e, in particolare, in quelli relativi al "Consorzio del Legno".

Il Tribunale, quindi, da un lato, avrebbe apprezzato il ruolo del C. quale "riciclatore" della cosca Arena e l’Ingerenza di quest’ultima nelle attività economiche ricondudbili dal primo (dal Consorzio del Legno alla Catarsi Marine), e, dall’altro lato, contraddicendo se stesso, sarebbe pervenuto all’esclusione della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 donde la richiesta di annullamento, in parte qua, dell’ordinanza impugnata.

4. I difensori del C., da altra prospettiva, ricorrono a questa Corte per denunciare con tre motivi l’inosservanza di norma processuale prevista a pena di inutilizzabilità e la mancanza di motivazione con riguardo alla ribadita violazione dell’art. 407 c.p.p., u.c.; la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo sia ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza che alle esigenze cautelari, e, quindi, alla conferma della misura di massimo rigore.

4.1 Con il primo motivo si deduce che il procedimento "de quo" sarebbe, in realtà, un’articolazione del procedimento già iscritto nell’anno 2004 sulla base di indagini relative alle attività imprenditoriali del C. e alla sua presunta vicinanza al sodalizio mafioso degli Arena (n. 3687/2004 r.g.n.r., cit.).

Nell’ambito del detto procedimento la Guardia di Finanza di Crotone depositò, il 10 ottobre 2008, un’ulteriore comunicazione di reato a carico del C., di G.G. e di Ca.An., indagati per il delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12- quinquies convertito nella L. n. 356 del 1992, per la costituzione della C.N.C., s.r.l.. Altra informativa della Guardia di Finanza in data 4 maggio 2010, riassuntiva delle complesse indagini, fu preceduta da un decreto di perquisizione e conseguente sequestro probatorio della documentazione contabile della Catarsi Marine s.r.l., della ITA Immobiliare s.r.l. e della ITA s.r.l., emesso dal Pubblico ministero il 13 ottobre 2009.

Il successivo 7 luglio 2010 il Pubblico ministero dispose lo stralcio delle posizioni del C., del G. e di F. B., testualmente motivando la separazione e l’iscrizione del nuovo procedimento con l’esigenza di avanzare richiesta di misure cautelari (personale e reale), effettivamente proposte.

Ad avviso del ricorrente, quindi, risulterebbe evidente l’identità tra il procedimento principale e quello stralciato, l’uno e l’altro aventi il medesimo oggetto ovvero le attività imprenditoriali del C., col conseguente espletamento, a termini ampiamente scaduti, degli atti investigativi posti a fondamento dell’ordinanza coercitiva impugnata, e, segnatamente, dei sequestri eseguiti nel (OMISSIS) e delle dichiarazioni rese da B.P. il 2 e 3 febbraio 2010 e il successivo 30 marzo, di cui alle più recenti informative.

L’ordinanza Impugnata avrebbe omesso di rilevare la denunciata inutilizzabilità, trincerandosi dietro un’apparente motivazione (pretesa apoditticità della sollevata eccezione), pur avendo i difensori del C. rappresentato tutti i predetti dati in sede di udienza camerale.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riguardo ad entrambi i delitti contestati.

Sono rappresentati, in particolare, i seguenti elementi: a) l’assetto aziendale della "Catarsi Marine s.r.l." non fu in alcun modo dismesso in favore della CNC o di altra impresa. L’intero compendio aziendale (beni mobili ed immobili della società, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Crotone in data 17/06/2009, sono tuttora nella disponibilità della curatela fallimentare che ne ha stimato il valore in Euro 11.500.000,00; b) la società CNC non ha mai posseduto beni mobili ed immobili della "Catarsi Marine s.r.l.", ma è stata costituita al solo fine di dare continuità all’attività della Catarsi e di evitare la perdita di numerosi posti di lavoro, dopo il diniego del certificato antimafia da parte della Prefettura di Roma;

c) tra la "Catarsi Marine s.r.l." e la "CNC s.r.l." è intercorso un regolare contratto d’affitto d’azienda, per cui l’assetto aziendale è rimasto di proprietà della Catarsi e, quindi, facilmente aggredibile da parte dei creditori e dell’Autorità giudiziaria, senza alcun effetto traslativo della proprietà.

Ne consegue, secondo il ricorrente, che l’intento del C. non era quello di eludere o sottrarsi alle disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale e di agevolare reati di riciclaggio, ma quello di dare continuità all’impresa, di assicurare i contratti di forniture e di approvvigionamento, di portare a compimento gli investimenti programmati, di accedere al credito e, soprattutto, di mantenere i livelli occupazionali pregressi.

Riguardo, poi, alle presunte condotte intimidatorie attribuite al C. nei confronti dell’amministratore della "Blue Ship", B.P., esse sarebbero sfornite di alcun supporto probatorio, certamente non ravvisabile nelle dichiarazioni della pretesa persona offesa, la quale non ha mai riferito di pressioni o costrizioni da parte dell’indagato, e, inoltre, resterebbero smentite dal tenore della scrittura privata in data 13 dicembre 2007, redatta e sottoscritta nello studio del notaio Mario Capocasale e regolarmente prodotta in sede di riesame, ma ignorata dal Tribunale, con la quale il C. e il B. concordarono le modalità della restituzione della somma di Euro 100.000,00 dal primo al secondo.

Ulteriore elemento idoneo a fugare ogni dubbio in ordine all’insussistenza dell’estorsione sarebbe costituito, secondo il difensore, dalle dichiarazioni dell’avvocato Giovambattista Iannone, cognato del B., in data 3 settembre 2010, acquisite ex art. 391-bis cod. proc. pen.; il quale fu l’estensore della predetta scrittura e ha riferito che le sue condizioni furono liberamente concordate dalle parti contraenti, le quali uscirono tranquillamente dallo studio del notaio dopo aver sottoscritto l’accordo, addirittura brindando al buon esito della trattativa.

4.3. Con l’ultimo motivo di gravame si denuncia l’insussistenza delle esigenze cautelari, una volta esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 considerato che le fonti di prova sono costituite per lo più da non alterabili documenti e contenuti di intercettazioni telefoniche, che la presunta persona offesa è stata più volte sentita e che, quanto al pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, esso è scongiurato dal fatto che i beni di proprietà del C. sono stati tutti sequestrati.

In ogni caso, sussisterebbero tutti gli estremi per l’applicazione della misura gradata degli arresti domiciliari anche in considerazione della personalità dell’indagato e della sua biografia penale.

Motivi della decisione

5. Nell’udienza in camera di consiglio del 17 febbraio 2011 i difensori di C.F.A. hanno prodotto i seguenti atti: a) avviso del Pubblico ministero all’indagato della conclusione delle indagini preliminari, al sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen., depositato in segreteria il 26 novembre 2010; b) ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, in data 7 dicembre 2010, che ha dichiarato l’inefficacia, per decorrenza dei termini di fase, della misura cautelare personale applicata nei confronti del C. con provvedimento dello stesso Giudice in data 21 luglio 2010, qui impugnato, limitatamente al delitto di cui al capo a) della rubrica; c) provvedimento di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione dell’indagato, con riguardo ai residui titoli di reato ascritti al C., di cui alla predetta ordinanza del 21 luglio 2010 e a quella del 15 ottobre 2010;

d) richiesta del Pubblico ministero, in data 10 gennaio 2011, di sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora del C. nel Comune di residenza;

c) ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, in data 13 gennaio 2011, di accoglimento della predetta istanza e conseguente sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo del C. di dimora nel Comune di residenza, con il divieto di uscire dalla propria abitazione dalle ore 21,00 alle ore 6,00 di ogni giorno.

I difensori dell’indagato, all’esito delle dette produzioni, hanno dichiarato di rinunciare al ricorso, insistendo invece per il rigetto del ricorso del Pubblico ministero.

6. Riguardo alla rinuncia dei difensori al ricorso da loro proposto nell’interesse del C., il quale era in custodia cautelare in carcere al tempo della presentazione del gravame avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di conferma, a suo carico, del provvedimento coercitivo di massimo rigore, rileva la Corte che permane l’interesse del C., il quale non ha personalmente rinunciato al gravame nè conferito a tal fine procura speciale ai suoi difensori, alla pronuncia di questa Corte limitatamente ai motivi proposti, essendo egli tuttora sottoposto alla misura coercitiva, sebbene meno afflittiva, dell’obbligo di dimora nel proprio Comune di residenza, col divieto di allontanamento nella fascia oraria di cui sopra, in relazione al delitto di tentata estorsione di cui al capo b), come emerge dalle più recenti produzioni difensive.

In coerenza con la giurisprudenza di questa Corte (c.f.r., tra tutte, Sez. 6, n. 4222 del 26/11/2007, dep. 28/01/2008, Reinthaler, Rv.

238719, e Sez. 6 n. 25859 del 18/06/2010, dep. 06/07/2010, Qoshku, Rv. 247780), che riconosce la carenza di interesse della persona sottoposta alle indagini a coltivare l’impugnazione avverso il provvedimento restrittivo della sua libertà personale nel caso in cui, nelle more del procedimento di impugnazione davanti alla Corte di cassazione, la misura cautelare personale venga revocata o divenga inefficace, salva la manifestazione da parte del ricorrente dell’effettiva intenzione di servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’esperimento dell’azione di riparazione per l’ingiusta detenzione, deve escludersi che analoga sopravvenuta carenza automatica di interesse si verifichi quando la misura coercitiva personale non sia revocata ma solo sostituita con altra meno afflittiva, come verificatosi nella fattispecie, con riguardo al delitto di cui al capo b) (previsto dall’art. 629 cod. pen.), essendo invece sopravvenuta, come si è detto, l’inefficacia della medesima misura con riguardo al reato di cui al capo a) (previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992).

6.1. Ciò posto, è infondato il primo motivo di ricorso del C. che denuncia l’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 407 c.p.p., u.c., con la conseguente inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza dei termini di durata massima delle indagini preliminari, che sarebbero stati addotti a fondamento dei ritenuti gravi indizi di colpevolezza a suo carico.

Come è stato ammesso dallo stesso ricorrente, la prima informativa di reato della Guardia di finanza, contenente specifica notizia di reato nei suoi confronti, reca la data del 10 ottobre 2008 e attiene all’ipotizzato delitto previsto dall’art. 12-quinquies cit., aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito nella L. n. 203 del 1991.

La detta comunicazione è seguita da ulteriore informativa di notizia di reato, a carico dello stesso C., che reca la data del 4 maggio 2010 e riassume le complesse attività investigative relative ai rapporti tra l’indagato e la cosca della ‘ndrangheta, facente capo al gruppo degli Arena.

Se tali, dunque, sono le date delle notizie di reato relative al C., determinanti l’obbligo di iscrizione del suo nome nell’apposito registro di cui all’art. 335 c.p.p., comma 1, non avendo il ricorrente indicato elementi diversi da cui possa desumersi, come da lui sostenuto, che il suo nome quale presunto autore degli ipotizzati fatti criminosi fosse emerso fin dal 2004, allorchè sarebbero iniziate le investigazioni pertinenti alle attività economiche della cosca Arena e degli imprenditori ad essa vicini, è chiaro che i due anni di durata massima delle indagini preliminari, come previsti dall’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), n. 3, per i reati aggravati ai sensi del D.L. n. 192 del 1991, art. 7 ipotizzati a carico del ricorrente, non erano ancora decorsi al tempo dell’emissione, il 21 luglio 2010, dell’ordinanza applicativa della misura cautelare custodiate, oggetto dell’attuale gravame.

6.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, poichè esso contesta la sussistenza dei ritenuti gravi indizi di colpevolezza con riguardo all’ipotizzato delitto di estorsione, limitandosi a valorizzare solo alcune circostanze (scrittura privata del 13 dicembre 2007 tra il C. e il B., redatta nello studio del notaio Mario Capocasale, e informazioni rese al difensore, ex art. 391-bis cod. proc. pen., dall’avvocato Giovambattista Giannone, estensore della predetta scrittura), senza una specifica critica degli altri elementi addotti nell’impugnata ordinanza come integranti il compendio indiziario, erroneamente postulando che il giudice di legittimità possa pronunciarsi sulla mancanza di indizi, mentre il sindacato di questa Corte, in tema di provvedimenti cautelari, riguarda di regola il difetto ovvero la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla gravità indiziaria nella fattispecie solo genericamente denunciata dal ricorrente.

6.3. La censura relativa all’insussistenza delle esigenze cautelari, che, tutt’al più, potrebbero giustificare l’applicazione della meno rigorosa misura degli arresti domiciliari, è, da un lato, generica con riguardo alle negate ragioni di prevenzione speciale, e, dall’altro lato, è superata dall’attuale applicazione della meno afflittiva misura dell’obbligo di dimora.

7. Anche il ricorso del Pubblico ministero con il quale si lamenta l’esclusione, nell’ordinanza del Tribunale del riesame, della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito nella L. n. 203 del 1991, con riguardo ad entrambi i reati oggetto di contestazione in sede cautelare, è infondato, poichè postula l’indimostrato assioma che i ritenuti rapporti tra il C. ed alcuni esponenti della cosca Arena di (OMISSIS) equivalgano all’avere l’indagato posto in essere le condotte ascrittegli al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, attribuendo alla motivazione dell’ordinanza impugnata una contraddittorietà che non sussiste.

8. Segue il rigetto di entrambi i ricorsi con condanna del C. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

A scioglimento della riserva assunta il 11 febbraio 2011.

Rigetta il ricorso del Pubblico ministero nonchè quello dell’indagato, C.F.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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