T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 23-06-2011, n. 182 Energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’APER (associazione produttori energia da fonti rinnovabili) è l’organismo esponenziale degli interessi delle imprese operanti nel settore della produzione di energia elettrica a mezzo di fonti rinnovabili, ed ha, tra i propri scopi statutari, quello di curare la tutela giudiziale degli interessi dei propri associati.

Espone che, malgrado le sentenze della Corte costituzionale 29 maggio 2009, n. 166 e 2 novembre 2009, n. 282 abbiano sancito che le Regioni, in assenza di linee guida nazionali approvate in Conferenza Unificata ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, non possono dettare autonomamente dei propri criteri di bilanciamento tra gli interessi primari legati alla conservazione dell’ambiente, e l’interesse, anch’esso primario, all’aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, la perdurante assenza di linee guida nazionali ha indotto le Regioni a procedere con interventi unilaterali.

Rappresenta come, nel descritto contesto, la Regione Umbria abbia progressivamente adottato provvedimenti volti ad ostacolare lo sviluppo delle fonti rinnovabili; dapprima, con il piano energetico regionale (di cui alla delibera del Consiglio regionale 21 luglio 2004, n. 402), ha circoscritto quanto più possibile il territorio potenzialmente interessato dall’installazione di parchi eolici, poi, con delibera di G.R. 11 maggio 2005, n. 729, è stato approvato un atto di indirizzo per l’inserimento paesaggistico ed ambientale degli impianti eolici, contenente disposizioni sull’impatto visivo ed avifaunistico dei progetti.

Quindi, con la delibera di G.R. 22 dicembre 2008, n. 1909, impugnata in questa sede, è stata avviata una politica di ulteriore limitazione della possibilità di realizzare parchi eolici nel territorio regionale per asserite esigenze di tutela della fauna selvatica, con riduzione delle aree che il P.E.R. del 2004 considerava potenzialmente adatte alla localizzazione degli impianti, predisponendo, in collaborazione con la Sezione di Biologia Animale ed Ecologica dell’Università degli Studi di Perugia, "uno strumento tecnico capace di definire inequivocabilmente i siti regionali la cui importanza naturalistica non è sostenibile con le trasformazioni generate dalla realizzazione degli impianti per lo sfruttamento dell’energia generata dal vento".

L’associazione ricorrente aggiunge come il programma varato dalla delibera in questione si sia concretizzato nell’introduzione di un onere indebito, irragionevole e sproporzionato a carico dei proponenti dei progetti per la realizzazione di impianti eolici; ed invero con delibera 13 luglio 2009, n. 985, pure oggetto di gravame, la G.R. ha approvato un protocollo di monitoraggio faunistico ante operam della durata di almeno dodici mesi, elaborato dal gruppo di lavoro istituito dalla delibera n. 1909/08 e l’ha reso obbligatorio per la redazione degli studi di impatto ambientale finalizzati alla realizzazione di impianti eolici.

Avverso i suindicati provvedimento deduce i seguenti motivi di diritto:

1) Violazione degli artt. 21, 22, 28 e 35 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, anche in relazione all’art 5 della direttiva 85/337/CE, all’art. 5, comma 2, lett. b), della l.r. 9 aprile 1998, n. 11, alla delibera di G.R. 30 giugno 2008, n. 806 ed al d.P.C.M. 27 dicembre 1988.

L’imposizione di un monitoraggio faunistico in sede di redazione dello studio di impatto ambientale è contraria ai principi ed alle regole che disciplinano l’istituto della valutazione di impatto ambientale, rispetto alla quale gli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 152 del 2006 stabiliscono gli oneri informativi che possono essere addossati al richiedente.

A tali regole le Regioni debbono adeguare i propri ordinamenti ai sensi dell’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006.

Ai fini della redazione dello studio di impatto ambientale non è di regola richiesto alcun monitoraggio, lasciandosi al giudizio del proponente la decisione di ricorrere anche a "rilevamenti diretti della fauna realmente presente", quando il caso lo richieda.

Del resto, se fosse sempre richiesta a priori una diretta e completa ricostruzione di tutti gli elementi (vegetazione, flora e fauna) realmente presenti nell’ambiente considerato, i costi dello studio di impatto ambientale risulterebbero del tutto insostenibili e sproporzionati rispetto alla funzione della valutazione di impatto ambientale.

Ne consegue che il monitoraggio faunistico ante operam previsto obbligatoriamente per la redazione degli studi di impatto ambientale relativi a progetti di impianti eolici dalla delibera impugnata si pone in evidente e grave contrasto con i principi sopra richiamati.

2) Eccesso di potere per sviamento, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, manifesta illogicità, irragionevolezza, disparità di trattamento e violazione del principio di proporzionalità.

Emerge anzitutto uno sviamento di potere dal rapporto tra la delibera n. 985/09 e la precedente delibera n. 1909/08; si intende dire che, non esistendo alcuna base scientifica e normativa che imponga un monitoraggio ante operam generalizzato, quello stabilito dalla delibera n. 985/09 risulta funzionale alla delibera n. 1909/08, il cui scopo principale è, appunto, quello di individuare aree ad alta qualità naturalistica, ove vietare in maniera assoluta la realizzazione di impianti eolici.

In tale modo, la Regione verrebbe ad acquisire, a spese degli operatori, i dati necessari per elaborare la progettata Carta delle aree regionali ad alta qualità naturalistica, ove vietare la realizzazione dei parchi eolici.

La delibera n. 985/09 è altresì inficiata da difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto non sono indicate le ragioni per le quali il monitoraggio imposto è ritenuto indispensabile ai fini della valutazione di impatto ambientale dei progetti di impianti eolici.

Inoltre se la delibera impugnata ha inteso imporre il monitoraggio come requisito necessario di scientificità degli studi faunistici finalizzati alla valutazione di impatto ambientale, non sussiste alcuna ragione che giustifichi l’applicazione di tale requisito solo ai progetti per la realizzazione di impianti eolici, e non per qualsiasi altro progetto di opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, con conseguente eccesso di potere per disparità di trattamento.

Risulta altresì violato il principio di proporzionalità, atteso che la misura non appare affatto necessaria ai fini della valutazione di impatto ambientale, e sproporzionata rispetto al sacrificio imposto al privato.

3) Violazione dell’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, anche in relazione all’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, all’art. 6 della direttiva 2001/77/CE, ed all’art. 13 della direttiva 2009/28/CE; carenza di potere, nella considerazione che entrambe le delibere impugnate contrastano con la disciplina comunitaria e nazionale di promozione delle fonti rinnovabili di energia, finalizzate a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, e dunque alla salvaguardia dell’ambiente.

La pretesa di individuare aree di pregio naturalistico completamente al di fuori degli strumenti di tutela della fauna vigenti, nelle quali vietare aprioristicamente in maniera assoluta la realizzazione di impianti eolici, viola la primarietà dell’interesse allo sviluppo delle fonti rinnovabili, che imporrebbe un bilanciamento di interessi effettuato caso per caso.

Ha aggiunto la Corte costituzionale con le sentenze nn. 166 e 282 del 2009 che il bilanciamento tra l’interesse allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e gli interessi paesaggisticoambientali deve essere basato su di una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, per modo che le singole Regioni, anche in ragione della competenza esclusiva statale in materia di ambiente ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, non possono imporre limitazioni generali alla localizzazione degli impianti eolici se prima non sono state approvate in Conferenza Unificata le linee guida di cui all’art. 12, ultimo comma, del d.lgs. n. 387 del 2003.

Di conseguenza, ogni limitazione che le singole Regioni pretendano di imporre con atti amministrativi generali o regolamentari, in assenza delle citate linee guida, è da considerarsi illegittima.

Si è costituita in giudizio la Regione Umbria, eccependo l’inammissibilità, per carenza di interesse attuale, del ricorso avverso la delibera di G.R. n. 1909 del 2008, e comunque la sua complessiva infondatezza nel merito, assumendo che l’art. 22 del d.lgs. n. 152 del 2006, dedicato allo studio di impatto ambientale, prevede, al comma 3, che il medesimo "contiene almeno" le informazioni descritte, lasciando pertanto alle Regioni di stabilire che lo studio stesso, ove lo richiedano particolari situazioni del territorio, possa pretendere, per la realizzazione di talune opere, anche informazioni ulteriori, come, ad esempio, il monitoraggio preventivo della fauna (la cui indispensabilità è spiegata dalla relazione dell’Università degli Studi di Perugia).

All’udienza del 6 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. – Occorre principiare la disamina del ricorso dalla considerazione che nelle more del giudizio sono state adottate, con d.m. 10 settembre 2010, le "linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili", in attuazione di quanto stabilito dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387.

A questo proposito, l’Amministrazione regionale assume che anche le nuove linee guida giustificano le limitazioni ed i divieti posti nei gravati atti di tipo programmatorio per l’installazione di impianti alimentati a fonti rinnovabili.

L’associazione ricorrente, da parte sua, invoca il d.m. 10 settembre 2010 al contrario scopo di evidenziare il contrasto con lo stesso (ed in particolare con l’allegato 4) della pretesa regionale di monitoraggio avifaunistico, sostenendo altresì la sopravvenuta inefficacia degli atti impugnati.

Ora, la delibera di G.R. n. 985 del 2009 ha reso obbligatorio, per chi intenda realizzare impianti eolici, un monitoraggio faunistico ante operam della durata di almeno dodici mesi delle aree interessate; le linee guida, nell’allegato 4, punto 4.2., prescrivono, con riguardo all’analisi dell’impatto sulla fauna, che "l’analisi dello stato iniziale dei luoghi dovrà generalmente comprendere: – Analisi faunistica sulle principali specie presenti nell’area di intervento e nell’area circostante, con particolare riferimento alle specie di pregio (IUCN, convenzioni internazionali, direttive comunitarie, liste rosse regionali e nazionali, normative regionali); – Individuazione cartografica dei Siti Natura 2000, delle aree naturali protette e delle zone umide, di aree di importanza faunistica quali siti di riproduzione, rifugio, svernamento e alimentazione, con particolare riguardo all’individuazione di siti di nidificazione e di caccia dei rapaci, corridoi di transito utilizzati dall’avifauna migratoria e dei grossi mammiferi; grotte utilizzate da popolazioni di chirotteri; l’individuazione deve essere supportata da effettivi e documentabili studi di settore reperibili presso le pubbliche amministrazioni, enti di ricerca, università, ecc.; -Analisi del flusso aerodinamico perturbato al fine di valutare la possibile interazione con l’avifauna". Inoltre è previsto che "deve essere effettuata l’analisi degli impatti distintamente sulle specie più sensibili e su quelle di pregio (in particolare sull’avifauna e sui chirotteri), valutando i seguenti fattori: modificazione dell’habitat, probabilità di decessi per collisione, variazione della densità di popolazione".

Applicando le linee guida, ai fini della realizzazione di impianti eolici, si richiedono dunque essenzialmente analisi di tipo probabilistico o prognostico e basate su dati già esistenti, e non sono imposti specifici monitoraggi ante operam, salvo che per circoscritte specie di pregio o comunque sensibili.

Si potrebbe obiettare che, in ogni caso, essendo il procedimento amministrativo informato al principio del tempus regit actum, la legittimità di un provvedimento amministrativa va valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è stato adottato, con conseguente irrilevanza delle linee guida ministeriali ai fini del decidere.

E’ però vero che, nella fattispecie in esame, la situazione giuridica soggettiva non si è consolidata, ed in giurisprudenza è stato affermato che l’Amministrazione non può non prendere in considerazione lo ius superveniens, qualora esso introduca una disciplina più favorevole all’interessato (Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5856).

Ma v’è di più: il già richiamato comma 10 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, nel prevedere l’approvazione di linee guida, in sede di conferenza unificata, volte ad assicurare un corretto inserimento degli impianti (eolici) nel paesaggio, specifica che "in attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Le regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali".

La norma, in altri termini, impone alle Regioni di conformare la propria disciplina in materia di inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti eolici alle linee guida nazionali, assegnando alle stesse un termine per adeguarsi di novanta giorni dalla data della loro entrata in vigore (il d.m. 10 settembre 2010 è stato pubblicato nella G.U. n. 219 del 18 settembre 2010).

2. – Le considerazioni che precedono indurrebbero, in definitiva, a dichiarare improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso, dovendo l’Amministrazione regionale conformare la propria disciplina relativa al procedimento autorizzatorio, di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili alle linee guida nazionali adottate in sede di conferenza unificata.

Al contrario, non appare al Collegio che si possa condividere, con un sufficiente margine di sicurezza, l’assunto della Regione circa la carenza di interesse connessa all’impugnazione di un atto generale, in assenza di un atto applicativo.

Ed infatti la delibera n. 985 del 2009 non è atto a contenuto meramente programmatico, ma, stabilendo le modalità di monitoraggio faunistico ante operam con riguardo alle aree interessate da progetti di impianti eolici, ha un contenuto specifico, idoneo ad incidere direttamente la sfera giuridica quanto meno di un’associazione di categoria, quale è l’APER, esponenziale degli interessi di tutte le imprese operanti nel settore della produzione di energia elettrica a mezzo di fonti rinnovabili.

Ciò chiarito, ove si ritenga che le linee guida sopravvenute in corso di giudizio non possano assumere rilievo come parametro di legittimità delle delibere oggetto di gravame, ed in particolare della delibera di G.R. n. 985 del 13 luglio 2009, contenente il "Protocollo di monitoraggio faunistico ante operam in aree interessate da progetti di impianti eolici", su cui si concentra il prevalente interesse di parte ricorrente, appare fondato il terzo motivo di ricorso, che ha una portata assorbente rispetto alle altre censure, e va dunque esaminato prioritariamente.

Con questo mezzo la ricorrente deduce, appunto, la violazione, tra l’altro, dell’art. 12 del d.lgs n. 387 del 2003, nell’assunto che le Regioni non possono imporre limitazioni, anche solo modali o quantitative, alla localizzazione degli impianti eolici se prima non sono state approvate in conferenza unificata le linee guida.

Giova ricordare come la Corte costituzionale abbia, anche recentemente, dichiarato l’illegittimità costituzionale di varie leggi regionali che, prima dell’adozione delle linee guida nazionali di cui al predetto art. 12, comma 10, vietavano la realizzazione di impianti di varia natura per la produzione di energia elettrica in determinate parti dei territori regionali, affermando che l’assenza delle linee guida non consente alle Regioni di provvedere autonomamente all’individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. In altri termini, l’individuazione di aree territoriali ritenute non idonee all’installazione di impianti (eolici e fotovoltaici), non ottemperando alla necessità di ponderazione concertata degli interessi rilevanti in questo ambito, espressiva del principio di leale cooperazione, risulta in contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (in termini Corte cost., 26 marzo 2010, n. 119; 1 aprile 2010, n. 124; 26 novembre 2010, n. 344).

Il fondamento di razionalità di tali decisioni riposa nella considerazione che tali norme provocano l’impossibilità, o comunque rendono assai più difficile la realizzazione di impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio; e ciò deve ritenersi precluso prima dell’adozione delle linee guida nazionali, espressione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, sancita dall’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione.

La Corte costituzionale, da ultimo, ha ravvisato un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale nelle norme (regionali) che impongono limitazioni all’installazione di impianti eolici prima dell’adozione delle linee guida nazionali, e cioè la violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, il quale, nella misura in cui attribuisce alla legislazione concorrente la materia del "trasporto e della distribuzione nazionale dell’energia" (ove rientra anche la disciplina degli insediamenti degli impianti di energia eolica: così Corte cost., 6 maggio 2010, n. 168), stabilisce che i principi fondamentali sono riservati alla legislazione dello Stato. In questa prospettiva, l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 pone il principio fondamentale che consente l’intervento della legislazione regionale soltanto in attuazione delle linee guida nazionali (Corte cost., 3 marzo 2011, n. 67; Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2011, n. 200).

Risulta dunque chiara, nella giurisprudenza costituzionale, l’illegittimità delle norme regionali che prevedono aree non idonee alla installazione degli impianti eolici o stabiliscono criteri per individuare le sudette zone (così, esplicitamente, Corte cost., 26 novembre 2010, n. 344) in assenza dell’approvazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento di detti impianti da parte della conferenza unificata.

Tale criterio vale, a maggiore ragione, ove l’imposizione di criteri limitativi alla realizzazione degli impianti eolici sia stata effettuata, come è accaduto nella fattispecie in esame, con atti amministrativi generali, in assenza delle linee guida.

3. – Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della delibera di G.R. n. 985 del 13 luglio 2009, nei limiti dell’interesse, strettamente connesso alla necessità, da parte della Regione, di procedere all’indicazione di aree e siti non idonei all’installazione di impianti eolici in conformità alle linee guida adottate con d.m. 10 settembre 2010.

Le spese di lite, in relazione anche alla complessità della vicenda ed alla sopravvenienza delle linee guida nazionali in corso di giudizio, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, con conseguente annullamento della delibera di Giunta regionale n. 985 del 2009.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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