T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 24-06-2011, n. 399 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ditta è regolare concessionaria di una zona portuale da adibire e deposito attrezzature e movimento merci.

A seguito di presunte difformità rispetto a quanto assentito, la Capitaneria di porto emanava il provvedimento – ingiunzione qui gravato.

I motivi di ricorso sono i seguenti:

1. Erronea applicazione della normativa citata nell’atto gravato, che riguarda l’occupazione abusiva di beni demaniali, non già la parziale difformità delle opere ivi realizzate.

2. Incompetenza, in quanto alla fattispecie andava applicata la normativa urbanistica e non già il codice della navigazione.

Si tratta di una modesta variante in corso d’opera, che richiedeva una sanzione pecuniaria.

3. Violazione articoli 1, 10 e 10 bis della legge 241 del 1990, difetto di motivazione e violazione dei principi comunitari, sviamento.

Bisognava valutare le osservazioni della ditta e comunque l’ingiunzione non rispetta il principio comunitario di proporzionalità.

La ditta dettaglia poi le opere modificate per spiegarne la necessità tecnica e l’irrilevanza.

4. Mancata motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione.

Con successiva memoria la ditta ha ulteriormente illustrato le proprie tesi.

Il Ministero resiste in giudizio contestando le censure di cui al ricorso.

Sia il ricorrente sia il Ministero hanno con apposite memorie ulteriormente precisato le rispettive argomentazioni.

Infine, nel corso della pubblica udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

Oggetto del presente ricorso è un’ingiunzione di demolizione e rimessa in pristino emessa dalla capitaneria di porto a carico della ditta ricorrente, per aver effettuato modifiche e innovazioni su opere in maniera difforme rispetto a quanto autorizzato.

Va innanzitutto osservato come non rilevi l’eventuale erroneità della normativa citata nel provvedimento, in quanto va esaminata la sua sostanza.

Risulta invece fondata la censura relativa alla mancata motivazione in relazione alle osservazioni proposte dalla ditta dopo aver ricevuto l’avviso di avvio del procedimento. Invero, il procedimento amministrativo si caratterizza proprio per la possibilità per il destinatario di interloquire con l’amministrazione e di far presente il proprio punto di vista. Anche se non è necessaria una dettagliata e puntuale confutazione di tutte le osservazioni, pur tuttavia nel caso in esame è mancata una motivazione che – sia pure in linea di massima – tenesse conto dei rilievi proposti dalla ditta.

Dal punto di vista sostanziale invece risulta chiaramente violato il principio di proporzionalità. Nel caso, infatti, le modifiche rispetto alle opere autorizzate risultano tutte, nessuna esclusa, di minore entità e comunque giustificate da precise ragioni tecniche. L’ordine di demolizione e rimessa in pristino pertanto risulta non proporzionato rispetto alle violazioni effettuate.

Invero, il noto principio di proporzionalità si può definire con l’affermazione secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi sia con atti amministrativi, restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore, vale a dire sproporzionata, rispetto a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare.

Il principio di proporzionalità, anche se certo conosciuto storicamente nel processo amministrativo italiano sia pure con terminologie variegate, ha assunto indubbiamente un ruolo centrale a seguito di numerose pronunce della corte di giustizia europea.

In particolare, la proporzionalità e adeguatezza dell’attività amministrativa costituiscono un parametro e una misura della legittimità stessa dell’operato dell’amministrazione. Invero, qualora la pubblica amministrazione, pur agendo nell’ambito astratto dei poteri conferiti, sacrifichi in concreto un interesse del privato in modo eccessivo rispetto all’interesse pubblico perseguito, può essere sanzionata con l’annullamento dell’atto amministrativo stesso.

Il principio di proporzionalità ha in un certo senso scardinato alcuni noti e usuali canoni interpretativi della giustizia amministrativa italiana, ad esempio la cosiddetta insindacabilità del merito dell’attività amministrativa, la predominanza del riferimento alla norma attributiva del potere, la prevalenza quasi automatica dell’interesse della pubblica amministrazione rispetto all’interesse del privato. Il principio di proporzionalità invero introduce la necessità di cercare un equilibrio tra i vari interessi pubblici e privati presenti nel caso concreto e contestualmente consente al giudice amministrativo di indagare sul fatto per verificare il raggiungimento o meno dell’equilibrio tra l’attività dell’amministrazione e il sacrificio richiesto al cittadino.

Si può invero affermare che l’applicazione delle regole comunitarie della proporzionalità, dell’adeguatezza e della ragionevolezza, rendono illegittime alcune misure adottate da un’amministrazione, sia pure astrattamente consentite dall’ordinamento (tra le tante, T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 10 marzo 2005, n. 850).

Per tutte le sue indicate ragioni il ricorso merita accoglimento e il provvedimento impugnato va annullato, anche se la parziale novità delle questioni giuridiche affrontate induce il collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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