Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-02-2011) 21-06-2011, n. 24852

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23 settembre 2009 il giudice di pace di Corato ha condannato T.E. alla pena pecuniaria di legge per i delitti di ingiuria, minaccia e lesione personale in danno di D.C.V., unificati dal vincolo della continuazione.

Ha ritenuto il giudicante che la colpevolezza dell’imputato fosse provata dalle dichiarazioni della persona offesa, ritenute improntate all’equilibrio e alla credibilità.

L’imputato ha proposto appello con due atti distinti, l’uno inoltrato personalmente e l’altro sottoscritto dal difensore, deducendo i motivi di seguito esposti.

L’atto personalmente stilato dal T. contiene una rievocazione della lunga storia dei rapporti conflittuali fra il deducente e il D.C., unitamente a una descrizione delle condizioni economiche e familiari di quest’ultimo, assertivamente incompatibili col reddito percepito; segue una dettagliata contestazione di quanto riferito dalla persona offesa nella querela, con la conclusiva protesta d’innocenza e richiesta di assoluzione.

L’atto a firma del difensore, Avv. Luigi di Rella, è affidato a un solo motivo articolato in più censure. Con esso si contesta che la sussistenza del fatto-reato possa dirsi provata in base alle sole dichiarazioni della persona offesa, senza un attento controllo della sua credibilità oggettiva e soggettiva. Si contesta, altresì, l’efficacia dimostrativa della certificazione medica, rilasciata sulla base soltanto di una sintomatologia soggettiva, e si pone in dubbio sotto più profili la affidabilità del narrato del D. C..

Il Tribunale di Trani in composizione monocratica, in considerazione dell’inappellabilità della sentenza del giudice di pace, contenente condanna alla sola pena pecuniaria, ha trasmesso gli atti alla Corte di Cassazione quale giudice competente a conoscere del gravame.

Motivi della decisione

Bene ha operato il Tribunale nel trasmettere gli atti a questa Corte Suprema, dovendo l’impugnazione essere qualificata come ricorso ai sensi dell’art. 568 c.p.p., comma 5, stante l’inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, emessa dal giudice di pace ( D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 37).

Ciò detto, occorre ancora precisare che, dei due atti d’impugnazione presentati nell’interesse dell’imputato, al primo soltanto – e cioè a quello sottoscritto personalmente dal T., depositato il 4 novembre 2009 – può essere riconosciuta la qualità di ricorso;

mentre il secondo atto, redatto dal difensore e depositato il 7 novembre 2009, per la sua posteriorità rispetto al primo deve essere considerato alla stregua di una memoria recante motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4.

Orbene, per quanto si riferisce al primo degli atti menzionati, ne va rilevata l’inammissibilità.

Il ricorso per cassazione è un gravame a critica vincolata, i cui motivi devono necessariamente appartenere al novero di quelli elencati nell’art. 606 c.p.p.. Di contro nell’atto d’impugnazione presentato in proprio dal T. non si rinviene alcuna censura riconducile a violazione di legge, processuale o sostanziale, ovvero a vizi della motivazione, o ancora alla mancata acquisizione di una prova decisiva. Il narrato che informa lo scritto si caratterizza per una serie di querimonie riguardanti condotte pregresse del D. C. e, solo in parte, s’indirizza a contestare l’attendibilità della versione fornita dalla persona offesa in ordine ai fatti cui l’imputazione si riferisce. In quest’ultima parte – la sola che in qualche modo abbia riguardo all’oggetto del processo – le doglianze del ricorrente si appuntano invariabilmente su questioni di merito, senza addurre alcuno dei vizi di legittimità che, come dianzi annotato, sono tassativamente elencati nell’art. 606 c.p.p..

La rilevata inammissibilità del ricorso proposto dal T. già varrebbe a travolgere i nuovi motivi presentati dal difensore, alla stregua di quanto disposto dal citato art. 585 c.p.p., comma 4. Ma in aggiunta a ciò vi è da osservare che, anche ad un’autonoma valu- tazione, le censure ivi proposte non attingono la soglia dell’ammissibilità: vuoi per manifesta infondatezza, vuoi per estraneità al novero dei motivi consentiti in sede di legittimità.

Sotto il primo profilo va detto che il rimprovero di errata motivazione, mosso al giudice di pace per avere, secondo il ricorrente, dato credito alle dichiarazioni della persona offesa senza averle sottoposte al prescritto vaglio di attendibilità, s’infrange nella semplice lettura della sentenza impugnata; nella motivazione, invero, si coglie agevolmente la verifica di credibilità cui il giudicante ha sottoposto la deposizione del D. C., pervenendo a conclusione positiva in base alla rilevata sua linearità e al connotato riguardante l’esposizione delle sole circostanze fattuali, non accompagnate da commenti inconferenti o da integrazioni inutili. A fronte di tale congruo – e logicamente ineccepibile – discorso giustificativo, gli ulteriori argomenti spesi dal ricorrente per screditare la deposizione testimoniale del D. C. si risolvono nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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