T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 24-06-2011, n. 3391 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 15 gennaio 2010 e depositato il successivo 9 febbraio R.A. ha impugnato la determinazione dirigenziale prot. n. 25903 del 13/11/2009 del Comune di Piano di Sorrento, notificatagli in data 17 novembre 2009, recante l’annullamento d’ufficio in autotutela del permesso di costruire in sanatoria concessogli con determinazione dirigenziale prot. 28406 del 29 dicembre 2008, nonché gli atti presupposti richiamati nel medesimo provvedimento e segnatamente la relazioni redatte dal personale tecnico dell’Ufficio Tecnico 5° settore e la relazione di sopralluogo del 22/09/2006.

A sostegno del ricorso ha dedotto in punto di fatto che:

a) con determinazione dirigenziale prot. 28406 del 29 dicembre 2008 il Comune di Piano Sorrento gli aveva rilasciato permesso di costruire in sanatoria per le opere realizzate presso l’immobile di sua proprietà, sito in via Creta n. 16, individuato al catasto al foglio 10, particella 1678, consistenti, per stessa ammissione della P.A. in opere di carattere manutentivo, aventi ad oggetto manufatti risalenti ad epoca assai remota;

b) tale permesso di costruire era stato rilasciato dopo attenta istruttoria in merito alla risalenza dei manufatti e alla loro effettiva consistenza, come evincibile dalla motivazione del provvedimento medesimo;

c) con la successiva determinazione dirigenziale, prot. n. 25903 del 13/11/2009, il Comune richiamata la relazione prot. n. 25530 del 2009, redatta dal persole tecnico, aveva invece incomprensibilmente annullato d’ufficio il predetto permesso di costruire in sanatoria, per presunte e niente affatto dimostrate incongruenza di carattere tecnico e amministrativo, in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne avevano consentito il rilascio.

Ciò posto in punto di fatto, ha articolato in cinque motivi di ricorso le seguenti censure avverso gli atti in epigrafe:

1) Violazione e falsa applicazione della legge 241/1990; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento.

Il gravato provvedimento è illegittimo perché adottato senza il rispetto delle garanzie partecipative previste dall’art. 7 della legge n. 241/90, che per costante giurisprudenza trovano applicazione nei procedimenti volti all’adozione di atti di secondo grado.

Né vale ad escludere tale obbligo l’affermazione, contenuta nell’atto impugnato, in ordine alle particolari esigenze di celerità del provvedimento, in primo luogo in quanto, per stessa ammissione dell’Amministrazione, l’immobile era sottratto alla disponibilità del ricorrente, trovandosi sottoposto a sequestro penale e, in secondo luogo, in quanto le ragioni di celerità dovevano comunque essere esplicitate.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 nonies l. 241/90; eccesso di potere; difetto di motivazione; violazione dei principi generali in materia di legittimo affidamento; violazione del giusto procedimento.

Il provvedimento impungnato è altresì illegittimo per difetto di motivazione.

Esso infatti, in quanto atto di secondo grado, presenta natura tipicamente discrezionale e andando ad incidere su una sitazione giuridica soggettiva necessitava di una congrua motivazione in ordine alla valutazione comparativa degli interessi in conflitto, valutazione questa ulteriore rispetto a quella avente ad oggetto il mero riscontro della illegittimità dell’atto da eliminare.

Nell’ipotesi di specie la motivazione relativa alla necessità della tutela dell’ordinato assetto del territorio e delle bellezze naturali non appare congrua, non essendosi specificato in che modo la trasformazione edilizia abbia inciso negativamente sull’ambiente e sull’assetto urbanistico del territorio e non essendosi valutato l’affidamento ingenerato nel destinatario del provvedimento.

Inoltre il provvedimento impugnato non è stato adottato entro un termine ragionevole, essendo stato emanato a quasi un anno di distanza dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria oggetto di annullamento, con conseguente violazione, anche sotto tale profilo, dell’art. 21 nonies l. 241/90.

3)Violazione e falsa applicazione della L. 241/1990; difetto di motivazione; eccesso di potere; difetto di motivazione; inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto; contraddittorietà; pretestuosità sviamento.

Il provvedimento impugnato risulta viziato per manifesta contraddittorietà, pretestuosità, difetto di motivazione.

Infatti esso si pone in evidente contrasto con quanto affermato nel permesso di costruire in sanatoria rilasciato al ricorrente, in cui lo stesso Comune, valutando le risultanze dell’istruttoria tecnica, nonché la copiosa ed esauriente documentazione prodotta dalla parte, aveva riconosciuto la piena corrispondenza tra l’attuale consistenza plano volumetrica dei manufatti in questione e quella originaria, concludendo per la piena compatibilità degli interventi edilizi di natura manutentiva eseguiti in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, ammettendoli a sanatoria, esplicitando che non vi erano documenti da cui poteva risultare una configurazione diversa da quella chiarita dalla parte mediante i documenti risalenti al 1895.

Tale valutazione viene invece completamente ribaltata nel provvedimento impugnato, senza che quella copiosa ed esauriente documentazione risulti contraddetta da nuovi atti e documenti atti ad inficiarne l’efficacia probatoria, limitandosi l’Amministrazione a contraddire ovvero smentire l’istruttoria da essa stessa condotta in occasione del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, sulla scorta di quegli stessi documenti già all’epoca presi in esame e ritenuti probanti ai fini che qui interessano.

Da ciò si evince il vizio di eccesso di potere ravvisabile secondo la giurisprudenza allorquando vi sia contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà o con precedenti atti istruttori in difetto di idonea motivazione sul punto.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990; difetto di motivazione; eccesso di potere; inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto; violazione dei principi generali in materia di onere della prova; sviamento di potere.

Erroneamente l’amministrazione ha annullato il permesso di costruire ritenendo non sufficientemente provata dal ricorrente la preesistenza dell’immobile nella sua attuale consistenza planovolmetrica.

Ed invero, come evidenziato nella documentazione allegata all’istanza di sanatoria ed in particolare nella relazione tecnica, l’immobile in questione è di antichissima costruzione, riportato nella mappa di impianto depositata nell’archivio storico di Napoli con l’attuale sagoma, riportante il rivelamento effettuato tra il 1895 e il 1986.

Nel corso degli anni l’immobile andava sempre più in rovina, fino a subire gli ultimi ed ulteriori danni in occasione del sisma del 1980, con la parte costituente il piano terra ridotta a semirudere, senza che venissero effettuati lavori di ripristino e consolidamento, non ravvisandosene la necessità in quanto non più in uso.

La circostanza che la parte costituente il piano terra si presentasse da tempo allo stato di semirudere faceva si che non venisse considerata ai fini dell’accatastamento ed inserita negli atti ma non per questo la sua esistenza in termini di superfici e volumi poteva essere ignorata ai fini urbanistici, per cui si poteva agevolmente ipotizzare che la sua consistenza fosse quella riportata nella planimetria catastale di impianto del 1896.

Inoltre la sua esistenza era documentata dai rilievi areofotogrammetrici, ivi compresi quelli del 1996, da cui emergeva non solo l’esistenza del corpo centrale su due livelli ma anche le porzioni di fabbricato poste al piano terra.

Pertanto il ricorrente aveva fornito un principio di prova in ordine alla consistenza plano volumetrica dell’immobile in questione e della sua conformità a quella originaria.

L’amministrazione per contro non ha fornito la prova contraria alle deduzioni esposte dal ricorrente, come era suo onere a fronte del principio di prova offerto dallo stesso ricorrente.

5) Violazione e falsa applicazione dlgs. 42/2004; Violazione l. 241/90; eccesso di potere; difetto di istruttoria; inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto pretestuosità.

Erroneo si presenta l’assunto dell’Amministrazione in ordine alla necessità del preventivo rilascio del parere della Soprintendenza per BB.AA., avendo il ricorrente realizzato mere opere di natura manutentiva, conformi al P.U.T. e al P.R.G. vigente – che non hanno modificato la sagoma e l’aspetto esteriore del preesistente – volte al recupero di volumi e superfici da sempre esistiti, per cui non era necessario il rilascio dell’autorizzazione prescritta dall’art. 146 Dlgs. 42/2004, ai sensi del disposto dell’art. 159 lett. a) Dlgs. 42/2004.

Né alcun pregio avevano infine, secondo il ricorrente, le considerazioni dell’Amministrazione sulla mancanza di informazioni sulle destinazione d’uso dell’immobile, in quanto nella relazione tecnica allegata alla richiesta era precisato che l’immobile in questione era una casa colonica annessa ad un fabbricato signorile concessa in uso al contadino che coltivava il fondo.

In data 30 aprile 2010 l’Amministrazione resistente si è costituita, producendo memoria di stile e depositando documenti, fra cui la relazione tecnica prot. 25530 del 19/10/2009, richiamata nel provvedimento impugnato.

In data 28 marzo 2011 parte ricorrente ha prodotto documenti e in data 30 marzo 2011 memoria difensiva, in cui ha ulteriormente illustrato i motivi posti a fondamento del ricorso.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 5 maggio 2011.

Motivi della decisione

1. Il Collegio ritiene di esaminare i motivi di ricorso secondo un ordine logico, analizzando in via prioritaria le censure di carattere sostanziale, nell’ottica di maggiore satisfattività degli interessi di parte ricorrente, ed esaminando congiuntamente le censure che si presentano connesse da un punto di vista logico e strutturale. Ciò anche in considerazione del rilievo che l’atto oggetto di impugnativa si presenta come atto plrurimotivato, sorretto cioè su una pluralità di motivazioni, ciascuna delle quali in grado di sorreggerne la legittimità.

2. In tale ottica si ritiene di dovere analizzare in via postergata il primo motivo di ricorso, basato sulla violazione dell’art. 7 l. 241/90, in quanto implicante un vizio di carattere meramente procedimentale, anche ai fini della possibilità di applicazione dell’art. 21 octies comma 2 l. 241/90.

3. Ai fini di una compiuta disamina degli altri motivi di ricorso, basati sul difetto di motivazione del gravato provvedimento, anche in relazione ai presupposti di fatto e di diritto posti a base del medesimo, giova il richiamo alla motivazione contenuta nel provvedimento di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, nonché a quella contenuta nel provvedimento di annullamento del medesimo, impugnato in questa sede.

3.1 Ed invero nel provvedimento di rilascio del permesso di costruire in sanatoria si evidenzia:

– "che le porzioni immobiliari, di antichissima costruzione, hanno subito ripetuti danni a seguito di vari eventi sismici degli anni "60 e "80 e che non sono stati mai eseguiti interventi di recupero e risanamento delle porzioni crollate;

che verosimilmente, per anni, detta porzione immobiliare – ad eccezione della parte centrale realizzata in tufo su due livelli – si è presentata semidiruta, abbandonata e coperta da vegetazione, tanto da non essere tenuta in considerazione nemmeno ai fini del censimento catastale della consistenza stessa;

– che dalla consultazione della cartografia del 1996, corrispondente all’aereofogrammetria in possesso di questo Comune, si rileva il corpo principale su due livelli dell’intera porzione immobiliare, mentre la parte della rimanente posta al piano terra viene rappresentata con simbologia di tettoie;

– che a supporto dell’adeguatezza delle opere riscontrate la parte ha prodotta nuova ed esauriente documentazione a supporto della legittimità delle preesistenze in loco, consistente in certificato di consultazione delle tavole censurararie e di revisione storica risalente al 1985/1986 dove si rileva la consistenza reale della particella 382 (oggi 1678), da cui si evince planimetricamente l’attuale configurazione che non emergeva precedentemente dagli atti in possesso di questo Comune;

– che a maggiore conferma di tale consistenza è stata prodotta ulteriore documentazione consistente in "foto aerea" eseguita dalla AEROFOTOTECNICSA s.a.a e custodita negli archivi della Alisud dal 3/06/1975, dalla quale si evince, oltre alla consistenza del corpo di fabbricato rurale centrale, anche la zona laterale posta su un solo livello:

– che la consistenza così definita veniva denunziata all’UTE di Napoli quale fabbricato urbano in data 29/06/2006".

A tale stregua il Comune, "valutata la documentazione e i nuovi atti prodotti a supporto della legittimità dell’attuale stato di consistenza e riscontrato che non vi sono documenti che potrebbero far ritenere una configurazione diversa da quella chiarita dalla parte mediante documenti risalenti sin dal 1895/1896 e che non si rileva con chiarezza dal rilievo aereofotogrammetrico del dicembre del 1974"; "rilevato che le porzioni immobiliari di che trattasi ricadono in zona E 4 (agricole Ordinarie) e in zona 4 (riqualificazione insediativi d ambientali di 1° grado del P.U.T., approvato con Legge Regionale 35/87)"; "visto che "l’art. 87 del vigente Piano Regolatore Generale che prevede che in tutte le zone – ad eccezione della zone C,F,G,H,I,L,M e N – ed inoltre se non coincidenti con le Z.T. 1a e 1b del P.U.T. è consentito, previo rilascio di permesso di costruire oneroso, di cui alle vigenti norme, il ripristino di edifici fatiscenti e semidiroccati, purchè lo stato di conservazione dell’edificio, con l’eventuale ausilio integrativo di idoneo supporto documentario certo (certificazioni catastali, fotografie etc..), consenta di determinare cono precisione gli aspetti quantitativi (volume, superficie utile) e tipologici del ripristino da effettuare, conservando la destinazione d’uso originaria"…ha rilasciato al ricorrente il suddetto permesso di costruire in sanatoria in relazione all’immobile de quo, previa demolizione del porticato posto fra il fabbricato di che trattasi e l’immobile adiacente, ritenuto per contro incompatibile con la normativa vigente e la tutela del vincolo.

3.2 Per contro nell’atto di annullamento d’ufficio del predetto permesso di costruire in sanatoria, rilevato che nella relazione prot. n. 25530 del 10/11/2009 erano state evidenziate alcune incongruenze, di carattere tecnico e amministrativo, in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che avevano consentito il rilascio del permesso in sanatoria, si sono evidenziati in particolare i seguenti aspetti:

"- la documentazione tecnica presentata dal proprietario non specifica per quale destinazione d’uso si chiede il permesso di costruire in sanatoria;

– per le opere relative al permesso è necessario il preventivo parere della Soprintendenza BB.AA;

– la mappa catastale storica riferita all’anno 1895 non fornisce alcuna informazione in merito alla volumetria;

– nella documentazione presentata dalla parte in sede di istanza della sanatoria sono inoltre indicate alcune circostanze non documentate a sostegno della tesi della preesistenza (eventi sismici degli anni "60 e "80, presenza di ruderi mai identificati nemmeno fotograficamente) circostanze che non danno conto di cosa (e quando) effettivamente fosse preesistente;

– il richiamo all’aerofotogrammetria del 1996, agli atti del Comune, conferma che l’unica preesistenza in termini di corpo di fabbrica fosse di consistenza ben minore (40 mq), e che nell’intorno vi fossero solo tettoie, di consistenza minore rispetto al fabbricato realizzato nel 2006 ed oggetto di sequestro (cfr relazione di sopralluogo del 22/09/2006)".

3.3 Detta motivazione è inoltre da intendersi completata per relationem dai rilievi contenuti nella relazione prot. 25530 del 10 novembre 2009, richiamata nel provvedimento oggetto di impugnativa.

In tale relazione si precisa in primo luogo che il corpo di fabbrica oggetto di permesso di costruire in sanatoria ha superficie pari a 134,86 e volume pari a mc. 445,04, evidenziandosi che nel permesso in sanatoria non risulta specificato per quale destinazione d’uso lo stesso sia stato rilasciato e che neanche la documentazione tecnica presentata dal proprietario contiene alcun elemento in tal senso.

Si sottolinea inoltre che il permesso in sanatoria è stato rilasciato senza la necessaria acquisizione del parere della Soprintendenza, come prescritto dall’art. 167 comma 5 Dlgs. 42/2004, ai fini del rilascio ex post dell’autorizzazione paesaggistica, nonostante il ricorrente avesse richiesto anche l’accertamento della conformità paesaggistica.

All’uopo viene precisato che " i lavori di ricostruzione di un fabbricato preesistente non rientrano nella fattispecie per le quali l’art. 149 stabilisce la non necessità del preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ("interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici"). E’ appena il caso di ribadire che gli interventi previsti dall”art. 149 sono tutti di tipo conservativo di un immobile esistente, tra i quali non può ricomprendersi la ricostruzione di un fabbricato (forse) preesistente (molti decenni or sono)".

Nella relazione si rappresenta altresì" l’insufficienza della documentazione presentata dalla parte per documentare la preesistenza del fabbricato oggetto di sanatoria, in quanto la mappa catastale storica risalente al 1895/1896 reca l’annotazione solo per terreni e pertanto non appare probante circa la consistenza planimetrica di un fabbricato. Si rileva inoltre che la mappa catastale storica di impianto potrebbe essere al più idonea a dimostrare la preesistenza di un fabbricato in termini di superficie lorda, ma non la volumetria, non indicando l’altezza dei fabbricati. La stessa inoltre si rileva inidonea alla rappresentazione della volumetria, conformazione, sagoma, prospetti, destinazione d’uso del presunto fabbricato.

Detta mappa catastale inoltre era in contrasto con le successive mappe catastali, almeno dal 1960 in poi, con la foto aerea del 1974 – non costituente rappresentazione bidimensionale e inidonea a fornire alcuna informazione sulla volumetria del fabbricato – e con l’aerofotogrammetria del 1996 oltre che con l’evidenza dei luoghi. In particolare si pone in luce come "il corpo di fabbrica che si vede nella foto aerea non è affatto quello rappresentato nella mappa di impianto del 1865, ma ha consistenza ben minore (corrispondente alla vera preesistenza pari a circa 40 mq, come accertato dal tecnico comunale nel corso del sopralluogo del 22 settembre 2006; cfr relazione tecnica prot. 24011 del 18/10/2006). Del resto nella foto aerea del 1974 – a differenza di quanto asserito dalla parte e condiviso dal funzionario che ha rilasciato il permesso in sanatoria – non poteva comparire il fabbricato rappresentato nella mappa catastale del 1895, perché già la mappa catastale del 1960 esibita dalla parte (doc. n. 4 – mappa di revisione) rappresenta il corpo di fabbrica nella sua effettiva preesistenza, avente consistenza molto minore – circa 40 mq – a conferma di quanto accertato dal tecnico comunale in data 22/09/2006"…"Il richiamo all’aerofotogrammetria del 1996, agli atti del Comune, conferma che l’unica preesistenza in termini di copro di fabbrica fosse di consistenza ben minore (40 mq), e che nell’intorno vi fossero solo tettoie, di consistenza minore rispetto al fabbricato realizzato nel 2006 ed oggetto di sequestro (cfr. relazione di sopralluogo dl 22/09/2006)".

Nella relazione tecnica si sottolinea quindi la non conformità del permesso di costruire in sanatoria rilasciato con l’art. 87 del P.R.G. vigente in quanto:

"a) non vi era alcun edificio fatiscente o semidiroccato da ripristinare, almeno sin dal 1960; in altri termini, all’atto di dell’esecuzione dell’intervento edilizio posto in essere da R.A., non erano nemmeno le tracce dell’edificio oggi esistente ed oggetto della sanatoria. Bensì solo un corpo di fabbrica di 40 mq (cfr relazione si sopralluogo del 22/09/2006); pertanto non si può parlare di ripristino;

b) gli atti prodotti dalla parte a corredo dell’istanza di sanatoria, ed innanzi esaminati, non consentono in alcun modo di documentare "lo stato di conservazione dell’edificio", ne tantomeno "con precisione gli aspetti quantitativi (volume, superficie utile) e tipologici del ripristino da effettuare, conservando la destinazione d’uso originaria, come già innanzi evidenziato".

4. Ciò posto, in ordine alle motivazioni contenute negli atti impugnati, e segnatamente nell’atto di annullamento d’ufficio del permesso di costruire in sanatoria, da intendersi integrata da quella contenuta nella relazione prot.25530 del 2009, possono essere esaminati le censure di cui all’odierno ricorso.

5. Come evincibile dalle suddette motivazioni l’atto di annullamento d’ufficio del permesso di costruire in sanatoria si basa essenzialmente su un duplice rilievo d’illegittimità:

a)sull’assenza del necessario nulla osta paesaggistico;

b)sul contrasto con la normativa urbanistica e segnatamente con l’art. 87 del P.R.G. per assenza dei relativi presupposti, anche in considerazione della circostanza che non era precisato per quale destinazione d’uso si fosse richiesto il permesso di costruire in sanatoria.

5.1 L’atto di annullamento si presenta pertanto come atto plrurimotivato, con la conseguenza che anche la fondatezza di una delle motivazioni relative alla riscontrata illegittimità dell’atto oggetto di impugnativa è da sola idonea a sorreggere la motivazione dell’atto medesimo, quanto al riscontrato profilo d’illegittimità dell’atto di primo grado, posto a base dell’atto di autotutela (giurisprudenza costante, cfr T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 17 gennaio 2011, n. 63 secondo cui "Per un atto c.d. "plurimotivato", anche l’eventuale fondatezza di una delle argomentazioni addotte non potrebbe in ogni caso condurre all’annullamento dell’impugnato provvedimento sindacale, che rimarrebbe sorretto dal primo versante motivazionale risultato immune ai vizi lamentati; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 14 gennaio 2011, n. 139 secondo cui "Nel caso di provvedimento di esclusione da una gara d’appalto "plurimotivato", la riconosciuta legittimità di una delle ragioni dell’atto è sufficiente a reggere il provvedimento di estromissione"; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 14 gennaio 2011, n. 164 secondo cui "Nel caso in cui il provvedimento impugnato sia fondato su di una pluralità di autonomi motivi (c.d. provvedimento plrurimotivato), il rigetto della doglianza volta a contestare una delle sue ragioni giustificatrici comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici atteso che, seppure tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato, che resterebbe supportato dall’autonomo motivo riconosciuto sussistente").

6. Ciò posto, in considerazione dell’assorbenza del profilo relativo all’insussistenza del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto indefettibile atto presupposto del permesso di costruire, il Collegio ritiene di esaminare in via prioritaria il quinto motivo di ricorso, con cui parte ricorrente contesta la necessità del rilascio della suddetta autorizzazione, sulla base del rilievo che nell’ipotesi di specie verrebbero in questione opere di mera manutenzione, volte al ripristino di un edificio preesistente, per le quali non sarebbe necessario il rilascio del l’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 149 lett. a) del Dlgs. 42/2004.

6.1 La deduzione di parte ricorrente, oltre a contrastare, alla luce di quanto risultante dalla relazione prot. 25530 innanzi richiamata, con il comportamento della parte che aveva invero richiesto, oltre all’accertamento della conformità urbanistica, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 D.P.R. 380/01, l’accertamento della conformità paesaggistica, contrasta con le previsioni di cui al Dlgs. 42/2004, in considerazione della qualificazione degli interventi de quibus, che non possono in alcun modo considerarsi ricompresi nel novero di quelli che, ai sensi dell’art. 149 Dlgs. 42/2004, non necessitano di nulla osta paesaggistico.

6.2 In particolare gli interventi de quibus, anche a volerli ricomprendere nel novero di quelli assentibili ai sensi dell’art. 87 del P.R.G. del Comune di Piano di Sorrento, non possono essere considerati come interventi di "manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici" ai sensi dell’art. 149 lett. a) dlgs. 42/2004.

Il citato art. 87 del vigente Piano Regolatore Generale prevede come detto che "in tutte le zone – ad eccezione della zone C,F,G,H,I,L,M e N – ed inoltre se non coincidenti con le Z.T. 1a e 1b del P.U.T. è consentito, previo rilascio di permesso di costruire oneroso, di cui alle vigenti norme, il ripristino di edifici fatiscenti e semidiroccati, purchè lo stato di conservazione dell’edificio, con l’eventuale ausilio integrativo di idoneo supporto documentario certo (certificazioni catastali, fotografie etc..), consenta di determinare cono precisione gli aspetti quantitativi (volume, superficie utile) e tipologici del ripristino da effettuare, conservando la destinazione d’uso originaria"

6.3 Norma di riferimento, ai fini della qualificazione degli interventi previsti dalla citata norma, non può che essere l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 che detta le definizioni dei diversi interventi edilizi.

L’intervento di ripristino previsto dal citato art. 87 del P.R.G..(da assimilarsi ad un ripristino filologico) si sostanzia quindi nella ricostruzione di parti di manufatti, in quanto oggetto di demolizioni o crolli, purché lo stato attuale di conservazione dell’immobile o le fonti iconografiche certe consentano di ricostruire il fabbricato così come si presentava alle sue origini ed ha ad oggetto i ruderi ed i sedimi costituiti dai residui di crolli o demolizioni, anche se non necessariamente recenti.

6.4 Ciò posto, detti interventi non possono rientrare nell’ambito della categoria della "manutenzione ordinaria, straordinaria, del consolidamento statico e del restauro e risanamento conservativo".

Ed invero, a norma dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, sono:

a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienicosanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;

c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.

Al riguardo si evidenzia che la giurisprudenza, anche di questo TAR, ha precisato la nozione di interventi di ripristino di edifici diruti riportandola ad organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura e non totalmente da ricostruire (TAR Campania, Napoli, sezione IV, 14 dicembre 2006 n. 10553) e, correttamente, ha negato che essi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo (TAR Campania, Napoli, sezione IV, 23 dicembre 2010, n. 28002; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 novembre 2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina, 15 luglio 2009, n. 700).

A maggiore ragione si deve ritenere che, ove manchino anche in parte le mure perimetrali, per essere il fabbricato ridotto a semirudere, la ricostruzione non possa rientrare nel novero degli interventi di restauro e risanamento conservativo.

Del pari evidente è la non sussumibilità degli intereventi de quibus fra quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria, che non possono che concernere il rinnovo di parti esistenti degli edifici e non la ricostruzione totale o parziale degli edifici medesimi ridotti, anche parzialmente, a rudere.

6.5 La riconduzione degli interventi di cui al citato art. 87 Del P.R.G. alle categorie edilizie note va effettuato pertanto ai seni del citato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, ove la scelta tra le possibili opzioni sono nuova costruzione o ristrutturazione edilizia.

Ai sensi del comma 1, lett. d), dell’art. 3 del predetto D.P.R. n. 380/2001, rientrano, difatti, tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.

Già l’art. 31, comma 1, lett. d), della legge 5 agosto 1978, n. 457, definiva lavori di ristrutturazione edilizia "quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi impianti".

La giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva ripetutamente chiarito che, ai sensi della norma avanti citata, il concetto di ristrutturazione edilizia comprendeva anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicurasse la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto e venisse, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (si veda, fra le tante, C. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906).

È poi intervenuto, a definire siffatto intervento edilizio, l’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che, nel testo originario, menzionava il criterio della "fedele ricostruzione" come indice tipico della tipologia di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione.

Per effetto, poi, della normativa introdotta dall’art. 1 del d. lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, il vincolo della fedele ricostruzione è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto della ristrutturazione edilizia, che, per quanto riguarda gli interventi di ricostruzione e demolizione ad essa riconducibili, resta distinta dall’intervento di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito (Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4011; Cons. St., V, 30 agosto 2006, n. 5061).

Non può invece dirsi venuto meno il vincolo della necessaria prossimità fra la demolizione e la ricostruzione.

La "ratio" della ragionevole prossimità del tempo della ricostruzione a quello della demolizione, criterio privo di riscontro positivo, ma costantemente presente nella giurisprudenza, va infatti individuata nell’esigenza di assicurare un rapporto di necessaria strumentalità dell’abbattimento alla successiva ricostruzione (Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2004, n. 5791).

Nei casi di demolizione e ricostruzione, pertanto, la sussumibilità dell’intervento nella categoria della ristrutturazione, ovvero della nuova costruzione dipende, pertanto, dalla circostanza se la ricostruzione sia avvenuta con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente oltrechè dalla circostanza del fattore temporale.

Infatti, come precisato, la giurisprudenza ha evidenziato l’importanza del fattore temporale nel senso che il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione venga effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 21 ottobre 2010, n. 11911).

Ed ancora viene posto in rilievo, accanto al fattore temporale, quello collegato della preesistenza dell’immobile, assumendo che una ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare – ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie vigenti al momento della riedificazione (Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7476; T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 05 febbraio 2010, n. 54).

Ne consegue che, pur non esulando dal concetto normativo di ristrutturazione edilizia la demolizione del fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele ricostruzione, ai fini della qualificazione di un intervento ricostruttivo come ristrutturazione, da un lato, non è sufficiente che un anteriore fabbricato sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione, essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine, ruderi e macerie, e, dall’altro, che la ricostruzione di esso, oltre ad essere effettuata in piena conformità di sagoma, di volume e di superficie, venga eseguita in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della avvenuta demolizione per cause naturali od opera dell’uomo (Cassazione civile, sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22688; da ultimo proprio in relaziona ad una fattispecie di ripristino filologico Tar Campania Napoli, sez. IV, 15 giugno 2011 n. 3184).

6.6 A tale stregua gli interventi previsti dall’art. 87 del P.R.G., ove come nella specie riferiti alla ricostruzione di manufatti, anche in parte ridotti a rudere, perché non dotati di tutte le mure perimetrali dell’edificio preesistente oggetto di recupero, vanno pertanto qualificati quali interventi di nuova costruzione.

A tale qualificazione conduce anche il notevole lasso di tempo fra demolizione – per cause naturali – e ricostruzione, alla stregua di quanto innanzi indicato.

Anche la giurisprudenza penale ha del resto ritenuto che la ricostruzione su ruderi effettivamente preesistenti all’atto dell’intervento edilizio non può ricondursi nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Cassazione, sez. III pen. 21/10/2008, n. 2101; Cassazione, sez. III pen. 8/07/2008, n. 1731).

Evidente è pertanto nel caso di specie la non sussumibilità delle concrete opere assentite in sanatoria nella categoria della ristrutturazione edilizia, consistendo l’intervento in questione nella ricostruzione, a notevole distanza di tempo, di un edificio almeno in parte completamento diruto (essendo residuato, secondo quanto evincibile dal medesimo atto oggetto di annullamento con l’atto gravato, il solo corpo centrale, avente la ben minore consistenza, secondo quanto dedotto dall’Amministrazione nella relazione istruttoria non oggetto di contestazione sul punto di 40 mq, rispetto 134,86 mq oggetto di ricostruzione).

6.7 L’intervento de quo deve pertanto considerarsi come nuova costruzione.

Lo stesso non poteva pertanto essere realizzato senza il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

6.8 La circostanza che l’intervento de quo, anche in ragione del lasso di tempo intercorso fra demolizione e ricostruzione, non possa annoverarsi fra gli interventi di ristrutturazione edilizia a parità di volume e superfici, ma fra quelli di nuova costruzione, a prescindere dalla medesimessa di volumi e superfici rispetto a quanto preesistente molti anni or sono, deve inoltre portare a ritenere che il nulla osta paesaggistico non potesse nemmeno essere conseguito in via postuma, ex art. 167 comma 5 Dlgs. 42/2004.

Ed invero, intanto può assegnarsi rilievo all’identità di volumi e superfici, di cui al citato art. 167, in quanto si rientri nell’ambito della ristrutturazione edilizia per la contestualità fra demolizione e ricostruzione, connotandosi per contro la ricostruzione a notevole lasso di tempo, a prescindere dalla sua assentibilità ai sensi del più volte citato art. 87 P.R.G:, come "nuova costruzione", connotata in quanto tale da nuovi volumi e superfici, non assentibile pertanto in via postuma a livello paesaggistico.

6.9 Alla stregua di tali rilievi, l’atto oggetto di impugnativa è sufficientemente ed autonomamente motivato con il richiamo alla riscontrata illegittimità del permesso di costruire in sanatoria, in considerazione del mancato preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

7. Ed invero il richiamo a tale illegittimità era da solo sufficiente a motivare l’atto di autotutela, a prescindere da ogni valutazione sull’interesse pubblico e sulla comparazione degli interessi in gioco, in quanto, in considerazione del rilievo costituzionale assegnato al patrimonio paesaggistico ex art. 9 Cost, assurgente a principio fondamentale della Costituzione, alla cui tutela è inteso il procedimento di valutazione della compatibilità paesaggistica, deve ritenersi in re ipsa la prevalenza di detto interesse, anche al cospetto di altri interessi di rilievo costituzionale, non assurgenti però a principi fondamentali, quali il diritto di proprietà ex art. 42 Cost. (cfr in tal senso T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 14062010, n. 14156).

7.1 A tale stregua va anche disatteso il secondo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente lamenta il difetto di motivazione del gravato provvedimento per la mancata indicazione delle ragioni di pubblico interesse poste a base dell’atto di autotutela e della comparazione effettuata con l’interesse di parte ricorrente al mantenimento del provvedimento oggetto di annullamento.

Infatti come detto, nell’ipotesi di specie, in considerazione del rilievo dell’interesse paesaggistico, costituente una delle ragioni dell’atto di annullamento, l’interesse pubblico deve considerarsi in re ipsa prevalente sugli eventuali interessi confliggenti.

Ciò anche applicando l’analogo e consolidato orientamento giurisprudenziale relativo all’annullamento del permesso di costruire per motivi urbanistici – applicabile comunque anche in via diretta alla fattispecie de qua in relazione al profilo urbanistico posto a base dell’atto di annullamento, che sarà oggetto di successiva disanima – secondo cui "l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.(cfr ex multiis Consiglio Stato, sez. IV, 06 ottobre 2010, n. 7342; Consiglio Stato, sez. V, 19 giugno 2009, n. 4053; in senso analogo Consiglio Stato, sez. IV, 26 ottobre 2007, n. 5601 secondo cui "Il provvedimento recante annullamento d’ufficio di concessione edilizia non necessita di specifica motivazione sul pubblico interesse, specie se è stato disposto in considerazione del suo permanente contrasto con lo strumento urbanistico e soprattutto se interviene dopo un breve lasso di tempo dal rilascio del titolo concessorio, senza che l’edificazione sia stata ultimata").

Nell’ipotesi di specie peraltro il Comune non ha del tutto omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla comparazione degli interessi in conflitto, ma ha evidenziato che il permesso di costruire in sanatoria oggetto di annullamento non aveva dispiegato in sostanza alcun effetto giuridico, atteso che il fabbricato non era mai stato dissequestrato dall’A.G. e che pertanto alcuna opera edile – ad eccezione delle opere eseguite in violazione dei sigilli – risultava eseguita; e ciò in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale da ultimo citato, secondo cui non necessita di puntuale e particolare motivazione il provvedimento di annullamento di un atto, com’è nel caso di specie, che non abbia dispiegato in pieno i suoi effetti e che quindi non abbia comportato rilevanti limitazione all’esercizio dell’interesse privato (richiamando al riguardo la decisione Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6465/2006), sulla base del rilievo che il privato non aveva ancora dato inizio agli ulteriori lavori oggetto del permesso rilasciato, ma aveva eseguito opere in assenza di titolo.

Alla stregua di quanto innanzi esposto ed in particolare della primazia dell’interesse paesaggistico, costituente una delle ragioni dell’atto di annullamento, il gravato provvedimento, pur configurandosi come atto di autotutela, si presenta immune dai censurati profili di difetto di motivazione.

7.2 Né può ritenersi, come dedotto da parte ricorrente nel secondo motivo di ricorso, che il potere di autotutela sia stato esercitato oltre il termine ragionevole, in violazione del disposto dell’art. 21 nonies l. 241/90.

Ed invero da un lato va sottolineato come non possa dirsi irragionevole l’esercizio del potere di autotutela intervenuto, come nella specie, a distanza di soli undici mesi dall’emanazione dell’atto oggetto di annullamento (anche in considerazione del rilievo che nel testo dell’art. 21 nonies approvato dal Senato, poi modificato dalla Camera nella versione entrata in vigore con la l. 15 del 2005, era statuito che il termine non potesse essere superiore al decorso di due anni dall’efficacia dell’atto oggetto di annullamento – termine pari ad oltre il doppio di quello che qui viene in questione – limite poi omesso per l’inopportunità della previsione di un unico termine valevole per tutte le tipologie di atti amministrativi) ed in secondo luogo come la ragionevolezza del termine per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela vada calibrata alla luce delle ragioni sottese all’annullamento e dell’affidamento ingenerato nei soggetti incisi dall’atto di autotutela.

Nella specie è pertanto evidente la legittimità, anche sotto il profilo temporale, dell’esercizio del potere di autotutela, in considerazione della preminenza dell’interesse pubblico sotteso all’annullamento e dell’insussistenza di profili di affidamento "qualificati" in capo al ricorrente, che non aveva potuto legittimamente eseguire alcuna opera edile sulla base del permesso di costruire in sanatoria oggetto di annullamento, in considerazione della sussistenza sull’immobile de quo del sequestro dell’A.G.

8. Alla stregua di quanto innanzi esposto in ordine alla sufficienza motivazionale dell’atto oggetto di gravame, in relazione al riscontro del mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, venendo come detto nella specie in rilievo un atto plrurimotivato, difetterebbe l’interesse del ricorrente alla disamina del terzo e quarto motivo di ricorso, basati sul difetto di motivazione e di istruttoria del gravato provvedimento in relazione al ritenuto contrasto delle opere assentite con il permesso di costruire in sanatoria con l’art. 87 del P.R.G..

8.1 Peraltro il Collegio ritiene di poter prescindere dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso sotto questo profilo, in considerazione della manifesta infondatezza delle censure medesime.

Ed invero in primo luogo vi è da evidenziare come nell’ipotesi di specie, secondo quanto indicato nel provvedimento gravato e nella relazione tecnica ivi richiamata, non si fosse precisato, né nel permesso di costruire in sanatoria, né nella relazione tecnica prodotta dalla parte, la destinazione d’uso per la quale era stato richiesto il permesso di costruire in sanatoria, precisazione questa fondamentale in quanto, come detto, l’art. 87 del P.R.G. consente il ripristino di edifici fatiscenti e semidiroccati, ove, fra gli altri presupposti, sia conservata la destinazione d’uso originaria.

Né tale profilo può dirsi superato dal rilievo, contenuto nel quinto motivo di ricorso, che nella relazione tecnica di parte era precisato che la destinazione d’uso originaria era quella di casa colonica, in quanto il profilo mancante è quello della destinazione d’uso dell’immobile risultante dalla ricostruzione assentita in sanatoria e non quella sussistente ab antiquo, da assumersi come parametro per l’accertamento della conservazione della destinazione d’uso medesima, quale prescritta dal citato art. 87.

8.2 Inoltre, alla stregua della compiuta motivazione contenuta nell’atto impugnato, da intendersi come detto integrata per relationem da quella della relazione tecnica richiamata nell’atto medesimo, è evidente, come al contrario di quanto superficialmente ritenuto nel permesso di costruire in sanatoria, non vi fosse alcuna certezza della consistenza plano volumetrica del manufatto preesistente in quanto la mappa catastale del 1895 – 1896 non recava l’indicazione dei volumi ma della sola superficie lorda ed era in contrasto, a partire dal 1960, con le successive risultanze catastali, confermate anche dall’accertamento dello stato dei luoghi, che confermavano una preesistenza per soli 40 mq, di gran lunga inferiore ai 134,86 mq oggetto di ricostruzione.

Da qui l’insussistenza di quel profilo di certezza d’identità planovolumetrica, fra quanto sussistente "ab antiquo" e quanto ricostruito, richiesto invece dall’art. 87 del P.R.G., non surrogabile con il ricorso ad un principio di prova, tra l’altro smentito dalla compiute valutazioni contenute nella relazione tecnica richiamata nel gravato provvedimento, in ordine alla quale parte ricorrente non ha mosso alcuna contestazione a seguito della sua produzione in giudizio da parte della P.A., avendo con la memoria depositata in data 30 marzo 2011 reiterato le medesime censure contenute nel ricorso.

8.3 In considerazione di ciò vanno disattesi anche il terzo e quarto motivo di ricorso, non potendosi neanche ravvisare il prospettato vizio di eccesso di potere per contrasto di valutazioni, vizio questo senza dubbio non ravvisabile rispetto ad atti di autotutela, come nella specie congruamente motivati, essendo la diversa valutazione dei profili di legittimità dell’atto oggetto di annullamento sottesa per definizione all’adozione degli atti di autotutela.

9. In considerazione dell’infondatezza di tutti i motivi di ricorso, valutata anche alla stregua della produzione documentale dell’Amministrazione resistente e segnatamente dalla relazione tecnica prot. 25530, va del pari disatteso il primo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della l. 241/90, avendo l’Amministrazione resistente omesso la necessaria partecipazione procedimentale.

9.1 Ed invero deve sottolinearsi, anche a volere qualificare l’atto de quo come atto connotato da discrezionalità, in quanto atto di autotutela – deve peraltro sottolinearsi che ove, come nella specie, l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto affetto da illegittimità sia in re ipsa, la discrezionalità normalmente sottesa agli atti di autotutela scema, per cui l’atto assume i connotati di atto vincolato, soggetto come tale alla disciplina dell’art. 21 octies comma 2 prima parte – ben può farsi applicazione del disposto di cui all’art. 21 octies comma 2 seconda parte secondo cui "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

9,2 In primo luogo va osservato come non possa darsi rilievo alla censura meramente generica che non indichi, come nella specie, quali apporti il ricorrente avrebbe potuto offrire in sede procedimentale, aderendo all’orientamento giurisprudenziale di cui alla pronuncia del Consiglio Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786 (secondo cui "è vero che la norma di cui all’art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990 pone in capo all’amministrazione (e non del privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso. Tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbero introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la p.a. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile").

9.3 Peraltro, a prescindere da questo superiore rilievo, è evidente come il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, alla stregua di quanto risultante dalla motivazione del gravato provvedimento e delle risultanze dell’istruttoria tecnica prodotta dall’Amministrazione resistente, soprattutto in relazione al riscontrato profilo dell’assenza di autorizzazione paesaggistica rispetto al quale, in considerazione della necessità della stessa, nulla avrebbe potuto dedurre il ricorrente.

La censura va pertanto in ogni caso rigettata ai fini dell’annullamento, in applicazione del disposto dell’art. 21 octies comma 2 seconda parte.

10. In considerazione dell’infondatezza di tutti i motivi di gravame il ricorso va rigettato.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite nei confronti dell’Amministrazione resistente, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad i.v.a. e c.p.a, se dovuti, come per legge

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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