Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-02-2011) 21-06-2011, n. 24850

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 29 settembre 2009 la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto I.D. responsabile, in concorso con altri due imputati giudicati a parte, del furto aggravato di un’autovettura.

A confutazione dell’assunto difensivo, secondo cui non si sarebbe trattato di furto ma di appropriazione indebita, in quanto uno dei compartecipi prestava servizio quale custode nell’autorimessa ove era avvenuta la sottrazione, ha osservato quel collegio che il custode di un garage non ha un potere di disponibilità sul veicolo ivi ricoverato: ha quindi concluso che l’asportazione dell’automezzo aveva provocato lo spossessamento del proprietario.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo il ricorrente insiste nella tesi giuridica secondo cui il dipendente dell’autorimessa, avendo ricevuto con la consegna delle chiavi la detenzione del veicolo ai fini di custodirlo, era titolare di un potere di fatto idoneo a costituirlo "possessore" ai fini del diritto penale: donde la qualificazione del fatto come appropriazione indebita e non come furto.

Coi motivi secondo e terzo, illustrati congiuntamente, deduce la carenza di prova in ordine alla consapevolezza, da parte propria, del fatto che il proprio amico non avesse titolo per disporre dell’automezzo e farvi salire lui stesso e gli altri coimputati.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Resiste al controllo di legittimità il capo della sentenza nel quale la Corte di merito ha ricondotto la qualificazione giuridica del fatto nell’alveo degli artt. 624 e 625 c.p.; correttamente, infatti, ha escluso quel collegio che il coimputato – giudicato a parte – A.R., in quanto dipendente dell’autorimessa depositarla dell’autoveicolo, esercitasse su di esso un potere di fatto qualificabile come "possesso" ai fini dell’art. 646 c.p.. La giurisprudenza di legittimità, invero, è costante nell’affermare che, ai fini della distinzione tra i reati di furto e di appropriazione indebita, possono bensì rientrare nella nozione penalistica di possesso varie fattispecie civilisticamente inquadrabili nella detenzione: ma solamente quando si tratti di detenzione nomine proprio, e non nomine alieno. In sostanza, perchè si abbia il possesso in senso penalistico è necessario che la cosa sia nella disponibilità materiale del soggetto titolare della posizione giuridica che gli attribuisce la detenzione: mentre così non è nel caso del potere di fatto esercitato in virtù di un rapporto di dipendenza dal titolare del diritto alla detenzione (cfr.

Cass. 14 marzo 2008 n. 23091; Cass. 10 maggio 2007 n. 32543; Cass. 15 gennaio 1997 n. 2032; Cass. 20 dicembre 1993 n. 4853/94).

Quanto alla consapevolezza dell’illiceità della condotta in capo all’ I., vi è soltanto da rilevare che, essendo a sua conoscenza l’altruità del veicolo ricoverato nell’autorimessa, nonchè lo status del R. di mero dipendente del depositario, non può sussistere dubbio in ordine alla sua coscienza e volontà di porre in essere i fatti costituitivi dell’illecito, che alla stregua di quanto dianzi osservato riveste gli estremi del furto aggravato.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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