Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-11-2011, n. 22904

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto n. 933/94, emesso in data 11 giugno 1994, il Tribunale di Messina ingiungeva al Comune di Nizza di Sicilia il pagamento in favore della ricorrente ditta P.S. della somma di L. 90.240.000 oltre interessi e spese, a titolo di corrispettivo -per gli anni 1992/1993- dell’appalto del servizio di gestione provvisoria dell’impianto di depurazione comunale, conferito con contratto del 24.2.1988 ed espletato, secondo quanto dedotto dalla ricorrente, sino al 30.4.1994. Proponeva opposizione il Comune, deducendo che il suddetto contratto, di durata annuale, dopo varie proroghe aveva definitivamente cessato i suoi effetti nell’anno 1992, anche perchè aveva preso servizio il personale comunale addetto all’impianto e tale circostanza, ai sensi dell’art. 2 del contratto, poneva fine immediata al rapporto; e che infatti, con delibera consiliare del febbraio 1992, al P. era stato conferito il più limitato incarico di direzione tecnica dell’impianto stesso, con una diversa e più ridotta retribuzione. La ditta P., costituendosi, eccepiva la nullità, dell’opposizione per difetto di procura ad litem al momento della costituzione in giudizio dell’opponente, e nel merito ne deduceva l’infondatezza. L’adito Tribunale di Messina rigettava l’opposizione, rilevandone peraltro in motivazione anche la nullità per mancato deposito in atti della procura ad litem.

L’appello proposto dal Comune di Nizza di Sicilia veniva rigettato, con onere delle spese a carico dell’appellante, dalla Corte di Appello di Messina con sentenza n. 486/2004, sulla base delle seguenti considerazioni. In primo luogo, nessuna statuizione poteva esprimere la corte in ordine al motivo di gravame relativo alla nullità della opposizione, non avendo il tribunale dichiarato tale nullità nel dispositivo, solo rilevata in motivazione. In secondo luogo, non meritava condivisione – perchè smentita dalla documentazione in atti – la tesi del Comune secondo la quale con la Delib. 18 febbraio 1992 il contratto di appalto per la gestione provvisoria dell’impianto era da ritenere caducato; inoltre in tale delibera il Comune, da un lato, non aveva disdettato il contratto di appalto del 1988, dall’altro aveva espressamente attribuito al proprio deliberato anche valore negoziale di proposta richiedendo accettazione scritta da parte dell’interessato, che il medesimo non aveva apposto. In terzo luogo, era privo di fondamento il richiamo, da parte del Comune, alla normativa di cui al D.Lgs. n. 342 del 1997 modificativo del D.Lgs. n. 77 del 1995, entrambi inapplicabili nella specie ratione temporis. Infondate infine erano anche le doglianze relative, rispettivamente, alla condanna alle spese conseguente ex art. 91 c.p.c. alla soccombenza – ed alla inidoneità della fattura, emessa dalla ditta ingiungente, a costituire di per sè stessa prova del credito, avendo il Comune eccepito infondatamente l’avvenuta disdetta del titolo contrattuale posto a base dell’azione della ditta P..

Avverso tale sentenza, depositata il 17 dicembre 2004, il Comune di Nizza di Sicilia ha, con atto notificato il 20 ottobre 2005, proposto ricorso a questa Corte basato su sei motivi, illustrati anche con memoria. Resiste la ditta P. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il Comune denuncia violazione e mancata applicazione degli artt. 112, 132 e 156 c.p.c. nonchè vizio di motivazione: la corte di merito, ritenendo che il primo giudice, non dichiarandola nel dispositivo, non si era pronunciato sulla nullità dell’opposizione proposta da esso ricorrente, non ha considerato che la portata, precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo ma anche della motivazione.

1.1. Con il secondo motivo, il Comune denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.L. n. 66 del 1989, art. 23 nonchè vizio di motivazione. Premesso che la medesima Corte d’appello, nella precedente sentenza n. 316 del 23.7.2003, passata in giudicato, emessa in un distinto giudizio fra le stesse parti avente ad oggetto altra pretesa della ditta appaltatrice relativa allo stesso rapporto giuridico (pagamento dei corrispettivi relativi al periodo gennaio-aprile 1994), aveva accertato che il contratto era cessato il 18 febbraio 1992 e quindi rigettato la domanda, sostiene che la sentenza qui impugnata, esponendo la tesi opposta secondo la quale il contratto di appalto del febbraio 1988 ha avuto tra le parti vigenza fino al 30 aprile 1994, ha, attribuendo alle stesse prove documentali altro significato, disapplicato l’art. 2 del contratto stesso (che prevedeva la durata annuale, salva proroga espressa), ignorando altresì: a) che tale clausola contrattuale prevedeva che "in ogni caso l’appalto avrà termine dal giorno in cui assumerà servizio il personale previsto dall’organico del Comune"; b) che con Delib. consiliare 25 gennaio 1992 erano stati dichiarati vincitori del concorso relativo gli operai esecutori dell’impianto di depurazione con decorrenza dal 1.3.1992; c)che il P. aveva prestato adesione alla Delib. febbraio 1992 – prorogata con successive Delib. del 1993 e del 1994- che gli aveva affidato la sola direzione tecnica, avendo emesso le varie fatture bimestrali (versate in atti) per il compenso previsto dalla suddetta delibera.

1.2. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alla immotivata non ammissione della prova per testi richiesta specificamente nelle conclusioni dell’atto di appello, finalizzata a provare le limitate mansioni svolte ed accettate dal P. a partire dal 18.2.1992. 1.3. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. e vizio di motivazione in relazione al rigetto del motivo di appello – frainteso dalla Corte di merito – concernente la inapplicabilità nel caso in esame del D.Lgs. n. 342 del 1997, art. 5. 1.4. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 633 e 645 c.p.c. in relazione al rigetto del motivo di appello concernente la inidoneità probatoria della sola fattura emessa dall’opposto, in contrasto con il principio secondo cui nel giudizio di opposizione è l’opposto, attore in senso sostanziale, a dover provare le proprie pretese.

1.5. Il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e vizio di motivazione sulla condanna alle spese di tutto il giudizio.

2. La doglianza espressa con il primo motivo significativamente incerta nella denuncia del vizio e delle sue conseguenze – si palesa inammissibile per carenza di interesse del ricorrente ad una pronuncia sulla nullità della sua opposizione, che è stata rigettata nel merito.

3. Con il secondo motivo, come sopra esposto, il Comune ha censurato la statuizione della corte di merito in ordine alla questione centrale relativa alla prosecuzione del rapporto sino al 1994, da un lato evidenziando come tale statuizione si ponesse in contrasto insanabile con la precedente sentenza n. 316/2003 (della cui motivazione riporta ampi stralci), passata in giudicato nelle more del giudizio di appello conclusosi con la sentenza qui impugnata, dall’altro denunciando la illegittimità e carenza, della motivazione che sostiene tale statuizione.

3.1. Esaminando prioritariamente la prima questione concernente la violazione del giudicato esterno (peraltro rilevabile, al pari di quello interno, anche d’ufficio:cfr. ex multis S.U. n. 26482/2007), il ricorso merita accoglimento.

E’ conforme all’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa corte di legittimità il principio secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. ex multis S.U. n. 13916/2006; S.U. n. 26842/2007; Sez. 5^ n. 9512/2009; Sez. L. n. 8650/2010). Nel caso in esame, è incontroverso, e risulta comunque dalla copia della sentenza n. 316/03 e dagli altri documenti in atti, che: a) i due giudizi hanno ad oggetto lo stesso rapporto giuridico tra le parti, avendo la ditta P., con i due decreti ingiuntivi oggetto delle rispettive opposizioni, frazionato la propria pretesa al corrispettivo; b) la sentenza n. 316/03 è passata in giudicato, per mancata impugnazione nel termine previsto dall’art. 325 c.p.c., il 20.12.2003, quindi nelle more del giudizio di appello qui in esame, senza peraltro che sulla relativa questione si sia pronunciata (esplicitamente o implicitamente) la sentenza impugnata; c) la sentenza n. 316/03 ha motivato il rigetto della domanda di pagamento formulata in quel giudizio dalla ditta P. escludendo espressamente che il rapporto contrattuale tra le parti sia stato prorogato dopo il febbraio 1992; d) sulla identica questione, di diritto e di fatto, comune ai due giudizi, la sentenza qui impugnata si è pronunciata in senso opposto. Così statuendo, la Corte d’appello di Messina ha dunque disatteso il principio del "ne bis in idem", corrispondente ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nella eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione.

3.2. La cassazione della sentenza impugnata ne deriva quindi di necessità, restando assorbiti gli altri motivi di doglianza.

4. Sussistono inoltre le condizioni per decidere la causa nel merito, considerando per l’appunto che la preclusione, derivante dal giudicato, al riesame della questione sulla quale verte il giudizio impone, senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, l’accoglimento dell’opposizione proposta dall’odierno ricorrente, con la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

5. Quanto alle spese dell’intero giudizio (il cui regolamento si impone ex art. 336 c.p.c., a prescindere dal motivo di ricorso formulato al riguardo), se ne ritiene giustificata la compensazione integrale tra le parti, tenendo anche conto della natura della questione ritenuta decisiva, sulla quale peraltro questa Corte ha, successivamente al deposito del ricorso, modificato il suo orientamento.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo opposto. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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