Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-06-2011) 22-06-2011, n. 25009 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Z.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. "ambulatorio odontoiatrico studio dentistico dott.ssa Z.M. ed M.E." ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 38.2/1.3.2011 del tribunale di Messina che, in sede di riesame, confermava il pregresso decreto di sequestro preventivo, funzionale alla confisca anche per equivalente ai sensi degli artt. 640 quater e 322 ter c.p., emesso dal gip. dello stesso tribunale, in data 12.2.2011, nei di lei confronti in relazione ai delitti di cui agli artt. 81 cpv., 481, 483 in relazione al D.P.R. n. 445 del 2000, art. 76, art. 640 c.p., commi 1 e 2.

L’oggetto della misura cautelare reale era costituito da valori mobiliari, tratti dai c/c intestati alla prevenuta per Euro 89.893,31 ed alla società per complessivi Euro 92347,65, nonchè dallo studio dentistico sito in (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS).

2 – I fatti come ricostruiti dai giudici di merito: in seguito alla denuncia di tale M.M., venivano iniziate indagini, in un secondo tempo a largo raggio, nei confronti della Z. titolare di uno studio dentistico in (OMISSIS) convenzionato con il servizio sanitario nazionale, accertando che la predetta nell’arco degli anni 2008 e 2009 aveva con suo ingiusto profitto e danno del servizio sanitario nazionale richiesto e percepito corrispettivi in denaro per prestazioni odontoiatre mai fatte e pur documentate da impegnative, redatte dai medici di base, consegnate alla prevenuta dai singoli pazienti, da questi, in buona fede e per insipienza controfirmate e attestanti falsamente prestazioni dentarie mai avvenute ovvero diverse da quelle,modeste, praticate. I giudici del riesame affrontavano in prima battuta una serie di eccezioni sul rito, tutte respingendole: l’incompatibilità del tribunale a decidere sulla misura cautelare reale per aver in precedenza deciso sulla misura cautelare personale nei confronti della stessa indagata, l’inutilizzabilità di atti investigativi compiuti dopo la scadenza del termine fissato delle indagini preliminari, l’incompetenza territoriale del tribunale. Successivamente passavano, per la verità analiticamente, in rassegna le acquisizioni testimoniali di molti dei pazienti della indagata che riferivano quanto poi travasato nei numerosi capi di imputazione che traducevano sotto gli archetipi normativi considerati le corrispondenti condotte di falso e di truffa aggravata. Precisavano ancora quei giudici che il sequestro era diretto verso la persona fisica della Z. fino all’ (OMISSIS) e successivamente, per essere stata costituita la predetta s.a.s., verso sempre la Z. quale legale rappresentante della società e socio accomandatario della società che da quella data provvedeva a inoltrare la rendicontazione delle prestazioni odontoiatriche al Servizio sanitario nazionale, ricevendo i relativi corrispettivi.

3- Sette i motivi di ricorso depositati, tramite difensore dall’imputata, richiamando per la verità indistintamente l’art. 606 c.p.p., e denunciando la violazione delle disposizioni di cui al seguito, partitamente indicate:

a) violazione degli artt. 34 e 649 c.p.p. per l’incompatibilità del tribunale del riesame che aveva deciso, nella stessa composizione, sul riesame della misura cautelare personale nei confronti della stessa ricorrente per le stesse imputazioni;

b) violazione degli artt. 124, 335, 406 e 407 c.p.p., per essere stata svolta attività di indagine dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari.. Segnala la difesa che la ricorrente era stata iscritta nel registro degli indagati dal P.M. in data 18.12.2008, che il 5.5.2009 era stata conferita una delega di indagini alla Guardia di Finanza, che solo il 22.10.2009 era stata richiesta una proroga del termine per il reato di truffa, che non poteva essere vero che il P.M. avesse proceduto ad ulteriori iscrizioni in data 23.2.2009 per il delitto di cui all’art. 481 c.p. ed ancora altra il 16.3.2009 per ancora il reato di truffa, che le annotazioni di tali date sul frontespizio della carpetta del fascicolo non hanno alcun valore per non poter certo sostituire la richiesta scritta e firmata dal P.M. di iscrizione a Mod. 21 nel registro degli indagati. Conseguiva, ad avviso della difesa, che alla data di esecuzione dell’impugnato decreto di sequestro era scaduto il termine addirittura di durata massima di due anni, delle indagini preliminari, con la conseguenza che la misura cautelare si fondava su atti inutilizzabili;

c) violazione dell’art. 181 c.p.p., comma 1, artt. 182, 293, 294, 309 e 424 c.p.p., quale risposta alla affermazione contenuta nell’ordinanza alla cui stregua, ove anche fossero inutilizzabili gli atti investigativi posti a supporto della misura, si sarebbe verificata una sanatoria per non aver nulla eccepito in merito il difensore prima che si desse inizio all’interrogatorio di garanzia.

Ora sul punto la difesa svolge una articolata replica: la sentenza – Cass. Sez. 5 22.12.2009 n. 1586 – richiamata dai giudici del riesame secondo cui l’atto inutilizzabile per essere stato compiuto dopo la scadenza del termine deve essere denunciato dalla difesa, a pena di decadenza, prima del suo compimento dal difensore che vi assiste, ha riferimento ad uno specifico atto processuale che è l’incidente probatorio, diverso strutturalmente dall’interrogatorio di garanzia:

il primo atto comporta di necessità la conoscenza del difensore degli atti utilizzati dal giudice per la sua esecuzione, il secondo invece era stato preceduto solo dalla notifica dell’ordinanza cautelare al difensore senza che venisse dato avviso al difensore del deposito degli atti di indagine, potuti visionare solo dopo la presentazione della richiesta del riesame. Ne conseguiva, ad avviso della difesa, che le nullità di atti che non potevano essere conosciuti dalla difesa potevano essere eccepite solo prima del provvedimento emesso all’esito della udienza preliminare. d) Violazione dell’art. 8 c.p.p. per essere competente territorialmente a conoscere dei reati non il tribunale ed, ancor prima, la Procura di Messina, ma gli uffici giudiziari di Barcellona Pozzo di Gotto perchè il controllo delle impegnative e l’autorizzazione al pagamento delle prestazioni avveniva in Milazzo, sede distaccata dell’azienda sanitaria provinciale. e) Violazione degli artt. 322 ter e 640 quater c.p., art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 230 del 2001, artt. 53 e 55 e art. 27 Cost. sotto diversi profili. Il sequestro per equivalente non poteva disporsi perchè presupposto della confisca ai sensi degli artt. 640 quater e 322 ter c.p. era la condanna; il sequestro nei confronti della persona giuridica non poteva essere disposto allorchè, per la sostituzione del rappresentante legale, doveva ritenersi esclusa in astratto ed in concreto la possibile reiterazione del delitto, anche, per via della asserita sostituzione nell’elemento personale della società; il sequestro comunque aveva inciso su beni per un valore sproporzionato e non corrispondente al profitto del reato; il sequestro non poteva colpire beni, quale i beni immobili sottoposti a vincolo, per nulla collegati causalmente con l’attività criminosa perchè acquistati in epoca di molto risalente a quella delle contestata attività delittuosa; il sequestro nei confronti della società doveva ritenersi illegittimo per non essere stata iscritta la società per l’appunto nel registro delle notizie di reato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 55. f) Violazione di una serie di norme – artt. 62, 63 e 192 c.p.p., artt. 46, 48, 640 e 483 c.p., art. 61 c.p., n. 2, D.P.R. n. 445 del 2000, art. 76 – per la formulazione dei capi di imputazione imprecisi ed erronei, nella misura in cui sottacevano che una buona parte delle 178 dichiarazioni delle persone, a favore delle quali erano state falsamente rappresentate al SSN prestazioni mediche in realtà mai effettuate, dovevano ritenersi affette di nullità, perchè raccolte con violazione dei diritti di difesa, dovendosi ritenere quelle persone, appunto perchè consapevoli della falsità delle ricevute rilasciate all’indagata o alla società in merito alle prestazioni mediche mai effettuate, indagate e non semplice testimoni dei fatti di causa. g) Violazione dell’art. 324 c.p.p. perchè il tribunale, malgrado espressamente investito della questione, non aveva per nulla risposto alla richiesta di ridurre il sequestro, come operato in fase esecutiva,ed in contrasto con il disposto dell’ordinanza cautelare, al solo ambulatorio medico, e non invece a tutta l’unita immobiliare e quindi ai vani sede della amministrazione della società. 4- Il ricorso è solo in parte fondato.

Non per il primo motivo di ricorso, perchè, a tacer d’altro, le cause di incompatibilità che danno luogo alla ricusazione, stante il carattere eccezionale e tassativo delle relative disposizioni, non possono essere estese in via analogica (v. , per tutte, Sez. 1, 19.3/15.4.2009, Sanna, Rv 243747), con la conseguenza che deve escludersi potersi configurare una incompatibilità nel caso in cui il magistrato venga chiamato ad emettere, all’interno di una singola fase processuale, una pluralità di decisioni, anche di merito, concernenti lo stesso soggetto, funzionali invece a salvaguardare una esigenza di continuità e di globalità (Corte cost. n. 131/1996).

Peraltro la asserita incompatibilità non potrebbe mai determinare la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, ma solo potrebbe costituire motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, da far tempestivamente valere con la procedura di rito ex art. 37 c.p.p. e segg. (in termini, per tutte, Sez. Un. 24.11.1999/1.2.2000, Scrudato, Rv 215097).

5- Nemmeno per il terzo motivo: il tema proposto, della conoscibilità o meno degli atti al momento dell’interrogatorio di garanzia, a parte ogni pur possibile rilievo sulla certa conoscibilità degli atti indicati nell’ordinanza cautelare per essere posti a sostegno della imputazione ivi trascritta, è motivo generico nella misura in cui non si specificano quali atti di indagine erano al momento non conosciuti e quale incidenza nel compendio probatorio essi, tenuto conto anche della peculiarità del controllo in sede di riesame avverso la misura cautelare reale, potessero avere.

6- Il quarto motivo di ricorso, centrato sulla incompetenza territoriale della Procura e del tribunale di Messina, nemmeno coglie nel segno. Invero, premesso che il tribunale del riesame, anche qualora rilevi l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, deve comunque provvedere ove verificasse la sussistenza del requisito dell’urgenza che legittima il giudice incompetente ad adottare misure cautelari (Sez. 3, 14.4/6.5.2010, B.,Rv 246994), la competenza territoriale de qua si radica allo stato nel luogo in cui si è verificato l’ultimo, in ordine di tempo, dei quattro eventi naturalistici propri del delitto di truffa:

l’induzione in errore,la disposizione patrimoniale, l’altrui danno e l’ingiusto profitto. Non rileva quindi, per il caso di specie, il luogo, richiamato dalla difesa, dove è avvenuta l’induzione in errore, ovvero dove è stata rilasciata l’autorizzazione alla spesa, ma il luogo dove si è provveduto alla liquidazione del compenso e dove si è erogato l’importo dovuto, che i giudici di merito hanno individuato, senza contestazione della difesa, nella sede della Azienda sanitaria provinciale di Messina, centro di spesa.

7- Nemmeno il quinto motivo di ricorso merita accoglimento perchè inammissibile come proposto, nella parte in cui intende denunciare l’illegittimità delle somme di denaro ai danni della società costituita dall’indagata nel contesto della complessiva azione criminosa truffaldina, sotto il profilo che la misura cautelare ai danni della predetto ente doveva essere giocoforza preceduta dalla sua iscrizione nell’apposito registro richiamato dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 2311, art. 55: a rigore, nella misura in cui la difesa del ricorrente protesta l’estraneità della somme di denaro sequestrate a persona diversa dall’indagata, difetterebbe l’interesse all’impugnazione. Il vero è che il sequestro delle somme erogate all’ente, vero e proprio schermo giuridico funzionale a nascondere la responsabilità personale della persona fisica che lo ha costituito, deve sul piano formale configurarsi come sequestro presso terzi, con la conseguente esclusiva legittimazione di questo, nella specie la s.a.s. denominata "ambulatorio odontoiatrico studio dentistico della dott.sa Z.M. ed M.E." a proporre incidente di esecuzione per contestarne la validità in punto di diritto e di fatto. Sul piano sostanziale deve però rilevarsi che le somme di denaro derivano sempre dall’attività truffaldina dell’indagata, ancor più capziosa con il tentativo di mascherarle attraverso la costituzione di una s.a.s. di cui sempre l’indagata, socio accomandatario, era il dominus.

8- Anche il motivo che denuncia l’eccessivo valore sequestrato rispetto al profitto del reato di truffa non merita accoglimento, in quanto il tribunale ha specificatamente motivato in ordine alla non sproporzionatezza del valore oggetto di sequestro rispetto al profitto del reato che dagli atti risulta ammontante a Euro 181.000,00. 9- Inammissibile, ancora, è il settimo motivo di ricorso che denuncia una discrasia tra quanto disposto con il provvedimento impugnato e quanto poi vincolato in sede di esecuzione. Il sequestro preventivo avrebbe avuto ad oggetto le sole parti dello studio dentistico, l’esecuzione del provvedimento invece avrebbe riguardato tutto l’immobile in cui era compreso il predetto studio.

Ma una tale patologica sussistente, esula dall’esame a cui è chiamata la Corte, esame limitato al provvedimento coercitivo reale per verificarne la legittimità sotto il profilo della violazione di legge. L’esecuzione, corretta o non corretta che sia, dovrà essere oggetto di un incidente di esecuzione proposto dalla parte interessata davanti al giudice del merito che ha emesso il provvedimento di cui si denuncia l’erronea esecuzione.

10- Sono fondate, invece, le censure circa l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari. Come già ritenuto in altra decisione di questa stessa Sezione – sent. n. 1199/2011-, con riferimento ad altro sequestro preventivo emesso nello stesso procedimento, nei confronti della stessa imputata ed avente ad oggetto un immobile di sua proprietà sito in (OMISSIS), la questione proposta deve essere esaminata, tenendo presente che l’intervenuta concessione della proroga, da parte del gip, in data 7.3.2011 ha indubbiamente effetto sanante, per giurisprudenza costante, per tutte le attività di indagine compiute dopo la scadenza del termine nel caso in cui la proroga sia stata tempestivamente richiesta da parte del P.M..

Nel caso di specie la proroga – come rileva il Tribunale nel provvedimento impugnato – è stata tempestivamente richiesta dal P.M. in data 22.10.2009. Con provvedimento in data 7.3.2011 il Gip ha autorizzato la prosecuzione delle indagini, rilevando che la proroga può essere concessa anche successivamente alla scadenza. Orbene per quanto la proroga possa essere concessa in tempo successivo indeterminato non vi è dubbio che essa rimane comunque soggetta alla disciplina di cui all’art. 406, comma 2 bis, che prevede che "ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi".

Pertanto il provvedimento di autorizzazione alla prosecuzione delle indagini emesso dal Gip di Messina non può estendere i suoi effetti al di là del termine di sei mesi, a decorrere dalla scadenza del semestre coincidente con la richiesta del P.M.(22.10.2009).

Il termine di durata massima delle indagini preliminari, nel caso di specie,deve considerarsi decorso alla data del 22.4.2010. Nel procedimento de quo le indagini compiute dalla Guardia di Finanza sono state consegnate il 13.7.2010. Rispetto a tali indagini devono essere considerati utilizzabili tutti e soltanto gli atti di indagine compiuti entro il 22.4.2010.

Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Messina che procederà ad un nuovo esame, utilizzando gli atti di indagine compiuti entro il 22.4.2010, restando assorbite tutte le altre questioni dipendenti sollevate con il ricorso.

P.Q.M.

Annulla con rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Messina per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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