Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-06-2011) 22-06-2011, n.Arresto 25007

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – A.R. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 10.2.2011 del tribunale di Milano, di conferma, in sede di riesame, della pregressa misura cautelare in carcere, previa convalida del fermo, disposta il 21.1.2011 dal gip dello stesso tribunale per il delitto di ricettazione continuata, deducendo nell’ordine, con il richiamo all’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e): nullità dell’interrogatorio di garanzia in sede di udienza di convalida del fermo ex art. 391 c.p.p. e della successiva ordinanza cautelare per immotivato diniego di accesso agli atti, per aver illegittimamente il giudice del riesame ritenuto che la doglianza non doveva rivolgersi al tribunale del riesame, ma al gip che aveva adottato la misura;

manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità per insufficienza degli indizi prospettati a fronte della dimostrazione offerta dall’imputato della legittima provenienza dei beni e dei valori sequestrati; carenza, infine, di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, per i precedenti lontani nel tempo del prevenuto, per le sue precarie condizioni di salute, che avrebbero quanto meno giustificato la riduzione della misura agli arresti domiciliari.

2. Il primo motivo di ricorso non è auto-sufficiente. E’ pur vero che questa Corte, di recente, ha autorevolmente chiarito che il difensore dell’arrestato o del fermato ha diritto, nel procedimento di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare; il denegato accesso a tali atti determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida, da ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell’udienza di convalida (v. per tutte, Sez. Un. 30.9/11.10/2010, G., Rv 247939). Ma dagli atti non risulta che il difensore abbia chiesto l’accesso agli atti, malgrado lo abbia eccepito prima dell’interrogatorio. Peraltro la documentazione che viene richiamata nel contesto del ricorso, come allegato 1 – "la dichiarazione dell’avv. Arturo Russo, collega e collaboratore di studio del difensore" – a parte ogni pur possibile rilievo sulla sua concludenza, non risulta di fatto allegata all’atto defensionale.

3 – Il secondo motivo di ricorso è inammissibile nella misura in cui svolge il tentativo di oltrepassare gli steccati delimitanti lo spazio entro il quale possono svolgersi censure consentite in sede di legittimità. Invero il tribunale della libertà ha richiamato l’allarmante contesto delinquenziale delle persone, in specie georgiane, dedite a condotte di ricettazione e nel quale l’imputato era pienamente inserito, attraverso frequentazioni assidue con tali C.D. e G.M., detta M., convivente, che costituivano il punto terminale delle attività di ricettazione, ha puntualizzato la circostanza che il prevenuto fu sorpreso nell’abitazione dei due ricettatori, con una rilevante somma di denaro e con in possesso di numerosi preziosi, che ancora in gran numero altri preziosi furono rinvenuti in sede di perquisizione dell’abitazione dell’indagato, ha valorizzato ancora il fatto delle numerose intercettazioni telefoniche tra il prevenuto, la M. ed altre ancora, dove si parla di acquisti di gioielli, di argento e di altri metalli preziosi. Peraltro l’imputato ha genericamente asserito che tutti i preziosi a lui sequestrati in un contesto chiaramente indiziante sono di provenienza lecita, senza fornire idonea documentazione che ne comprovasse la certa derivazione lecita. Ne consegue che proprio in base al valori della probabilità, e non già della certezza processuale, propri caratterizzanti la fase investigativa, le censure difensive debordano dai limiti della legittimità, pretendendo una esame funditus del merito processuale non consentito in questa sede.

Con riferimento poi alle esigenze cautelari i giudici del merito hanno svolto un discorso giustificativo congruo ed esente da vizi logici, rimarcando la grandissima quantità di gioielli e preziosi rinvenuti nella disponibilità dell’imputato nella sua abitazione, deponenti per una attività di ricettazione assidua, rilevante dal punto di vista economico, per il luogo del rinvenimento occulta.

Hanno anche valutato le non comprovate ragioni di salute risalenti in data anteriore ai fatti, il particolare contesto della condotta caratterizzato da una pluralità di soggetti di nazionalità non italiana, tutti dediti ad attività delittuose contro il patrimonio.

Ma a fronte di un così puntale apparato argomentativo la difesa del ricorrente insiste nella ripetuta protesta della provenienza lecita dei valori sequestrati, sulle condizioni di salute certificate da una documentazione medica risalente ad alcuni anni or sono, tutte circostanze ed argomentazioni che non valgono ad infirmare il giudizio di gravità indiziaria delle condotte delittuose contestate al ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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